andremany
Vi posso dire che interpretare le sentenze della Cassazione senza leggerle, affidandosi al filtro dai giornali, è operazione inquietante e pericolosa. Dalla famosa pronuncia dei jeans (che in realtà era correttissima) in poi lo sport nazionale è diventato il tiro alla Suprema Corte. Purtroppo le sentenze ‒ che, per carità, possono essere sbagliatissime ‒ vengono riportate male e interpretate a piacere, specie quando ci sono di mezzo le donne. Poi si chiedono leggi liberticide dietro l'impulso delle passioni, e si producono riforme oscene.
Ma per non farsi fregare bisogna evitare di commettere gli stessi errori, perché questanon è una «bestialità» e non è nemmeno «della Cassazione».
Sta scritta su tutti i manuali di parte speciale di diritto penale dal 1996.
Se funziona con le femministe, dovrebbe funzionare anche per noi.
Non capisco perché non si accetta di combattere le femministe con le stesse armi delle femministe.
Abbiamo un nemico falso, subdolo, ingannevole...
Non possiamo permetterci il lusso di essere cavallereschi e leali.
Il problema non è il principio astratto. Sono le modalità del caso concreto che fanno la differenza.
In effetti non sembra esserci alcuna contraddizione tra la sentenza odierna e quella del 2006 citata sopra.
In ogni caso, prima di qualsiasi commento va letta la pronuncia.
M e F hanno un rapporto sessuale.
Ad un certo punto F cambia idea.
Non può essere stupro.
F deve dare ad M almeno il tempo di tirarlo fuori.
Anche perché se M fossi io, non vorrei proprio saperne di continuare una scopata con una stronza del genere.
Però c'è un'altro problema.
Forse lo si vuole ignorare apposta.
Ma F e M hanno una fisiologia diversa.
Interrompere un rapporto sessuale può causare dolori lancinanti ai testicoli.
Come un calcio nei testicoli.
Un atto stupido e di una violenza inaudita.
Lo so perché mi è successo un fatto analogo.
Se qualcuno mi tira un calcio nei testicoli però lo posso denunciare.
Ora... che strumenti ha M per potersi rivalere su F per il danno e la violenza subita?
Oltre alla violenza fisica, c'è poi quella economica.
M, per arrivare ad avere un rapporto con F ha dovuto investire una cera somma di denaro.
Perché così vuole la nostra cultura.
Quando F ha accettato l'invito a cena di M, già sapeva dove si andava a parare.
Per cui, il tacito accordo era ti invito a cena poi si va da me o da te a scopare.
Ora... se F ci ripensa, M subisce un danno economico.
Di quali strumenti dispone M per rivalersi del danno subito?
M interrompe la chiavata. M non stupra. Però F deve PA-GA-RE.
Il caso in questione, non è molto diverso da quello di una persona che prenota una camera d'albergo.
Prenota e invia la caparra (M che offre la cena) poi arriva e l'albergatore dice che la stanza è già stata occupata (F cambia idea).
Il cliente lo denuncia e l'albergatore rimborsa la caparra ed almeno la differenza che il cliente ha dovuto pagare per andare a dormire in un altro albergo nel quale non aveva prenotato.
Se poi non trovasse nulla e andasse a dormire sotto un ponte, al freddo, e si ammalasse, un bravo avvocato, forse, riuscirebbe anche a far pagare le cure e i danni morali ed esistenziali.
Ergo, F può cambiare idea ma se voglio garantire questo diritto, devo poter garantire ad M la possibilità di rivalersi su di lei.
Se non esiste l'appiglio giuridico, va costruito.
Perché oltre alla violenza fisica, subita, M deve aver diritto al rimborso della cena e del pagamento della puttana F2 alla quale si è dovuto rivolgere dopo il ripensamento della prima.
Il caso specifico è lievemente diverso. Si tratta di un rapporto S/M che, come ogni rapporto può finire, pur con degli strascichi.
Ed è molto probabile che F abbia ceduto ai ricatti di M con una certa soddisfazione.
Tuttavia deve essere un diritto di tutti, interrompere una relazione.
Certo... per essere davvero giusti bisognerebbe prevedere la restituzione delle somme investite in regali e cene offerte...
In questo modo... salveremmo la vita ad un sacco di donne..
Ma... poi... scusa... perché dovremmo farci degli scrupoli?
Abbiamo un nemico che non merita riguardi.
Non si fanno più prigionieri.