Affido condiviso, pericolosi passi indietro sulla bigenitorialità
Aprile 2014 / Diritto e libertà
02 Aprile 2014
L’Italia ha dal 2006 una legge all’avanguardia sui temi della parità genitoriale e dei diritti dei minori, che prima è stata disapplicata in base a una giurisprudenza ostile e poi, con il cosiddetto “decreto sulla filiazione”, è stata sabotata nei punti su cui si regge il modello dell’affido condiviso, cioè la frequentazione sostanzialmente paritetica ed il mantenimento diretto. Urge rimedio
Sta continuando, in questa legislatura, la battaglia politica sul tema dell’affido condiviso dei figli in caso di separazione, tra coloro che desiderano una piena realizzazione della riforma del 2006 nella sua parte sostanziale e coloro che invece cercano di smontarne gli elementi fondanti.
Il modello di affido condiviso così come era stato prefigurato dal legislatore rappresentava un’importante svolta di innovazione sociale e poneva in qualche modo l’Italia all’avanguardia sui temi della parità genitoriale e dei diritti dei minori. Tuttavia, nei fatti, negli otto anni che sono passati dall’approvazione della legge sull’affido, questa non ha mai trovato una reale applicazione, al punto che nella prassi i tribunali hanno perpetuato nella sostanza il precedente affido esclusivo a un solo genitore, quasi sempre la madre. Questa forzatura è stata dovuta all’effetto combinato dell’azione di lobbying di avvocatura e magistratura e di un pregiudizio ideologico rispetto ad una riforma che, almeno apparentemente, andava ad intaccare il primato femminile nella custodia dei figli.
La battaglia è per molti versi impari. Se la posizione favorevole all’affido condiviso è portata avanti alla luce del sole e gode, almeno nominalmente, di un sostegno ampio e trasversale tra i partiti, gli avversari del modello bigenitoriale si sono avvalsi nel tempo di blitz parlamentari miranti ad introdurre nelle norme appigli giuridici sufficienti a consentire ai giudici di continuare ad operare “come se niente fosse”. In questo senso, con il recente decreto sulla filiazione (d.lgs 28 dicembre 2013, n. 154) gli avversari del condiviso hanno messo a segno l’ennesimo colpo basso.
Nei fatti, il decreto del governo Letta avrebbe dovuto solamente riguardare questioni di armonizzazione e riordino, a seguito della legge 219/2012, quali la sostituzione dell’espressione “responsabilità genitoriale” a quella di “potestà genitoriale” o l’eliminazione della distinzione tra figli naturali e figli legittimi. In eccesso di delega, e quindi in violazione dell’art.76 della Costituzione, il decreto ha invece operato modifiche sostanziali al diritto di famiglia, andando a colpire i punti chiave su cui si regge il modello dell’affido condiviso. Non è un caso che le modifiche introdotte impattino proprio i punti in cui le corti erano inadempienti rispetto alla lettera ed allo spirito della riforma del 2006.
In particolare il decreto introduce il concetto di “residenza abituale” che – va da sé – non comporta solo l’associazione del minore a un indirizzo, ma anche inevitabilmente la sua associazione univoca con uno dei due genitori, che viene, nei fatti, riconosciuto come “genitore prevalente”. Questo passo legittima anche la corresponsione di un assegno da parte dell’altro genitore, finora sempre disposta e sempre giustamente contestata come contra legem. In altre parole, vengono meno proprio i due elementi qualificanti dell’affido condiviso, cioè la frequentazione sostanzialmente paritetica ed il mantenimento diretto. Le modifiche introdotte fanno fare passi indietro sul concetto di bigenitorialità come diritto indisponibile del minore e, tra l’altro, attribuiscono al giudice la possibilità soggettiva di non ascoltare il minore se ritenuto non necessario.
Uno dei paradossi, tra l’altro, è che un decreto di armonizzazione in tema di diritto di famiglia vada a recuperare concetti della legge sul divorzio del 1970, a scapito della legge più recente. Ciò si verifica sia sui criteri di assegnazione della casa familiare, che sull’abolizione dell’obbligo di rinegoziazione delle regole della frequentazione, nel caso in cui il trasferimento di uno dei genitori interferisca con esse. Non stupisce, per molti versi, che, nella fase di audizione che ha preceduto il decreto, siano stati ascoltati solamente i gruppi di pressione contrari all’affido condiviso, mentre sono stati scientificamente esclusi tutti coloro che in passate audizioni lo avevano sostenuto.
Nelle attuali condizioni, sarebbe necessario riconoscere che con il decreto sulla filiazione si è compiuta una forzatura ed un’indebita invasione di campo su questioni che prescindevano dall’ambito nel quale l’esecutivo aveva mandato di operare. Come minimo, quindi, servirebbe che il governo Renzi emanasse un decreto correttivo che riconducesse il decreto sulla filiazione ai termini della relativa delega.
La via maestra, tuttavia, resta quella dell’approvazione di una nuova legge sull’affido condiviso che renda più vincolanti quei passaggi della legge del 2006 che per anni sono stati dolosamente elusi. Da questo punto di vista sono state depositate alla Camera due proposte di legge, una di maggioranza (la 1495 del PD) e una di opposizione (la 1403 del M5S), che attendono la discussione in Commissione. Dopo che la scorsa legislatura si è chiusa con un nulla di fatto sull’argomento, c’è da sperare che stavolta l’iter possa procedere senza insabbiamenti.