Sulla rete è molto frequente imbattersi in siti, che suggeriscono agli uomini che il rimedio alla condizione maschile consiste semplicemente nell’evitare il matrimonio e darsi a sterili attività del tempo libero: pesca, ippica e chi più ne ha più ne metta.
Sono consigli superflui: vi è già una marcata tendenza degli uomini, anche quelli non informati sulle tematiche della questione maschile, ad evitare il matrimonio e le relazioni a lungo termine. Lungi dall’avanzare proposte per cambiare le cose, questi siti si limitano a constatare uno stato di fatto e a suggerire di conformarvisi. È sufficiente questo a migliorare la condizione maschile?
Ci si sente rispondere che i nostri governi sono contrari alla famiglia e discriminano gli uomini. Vero, ma presentato così il quadro è alquanto incompleto. Evitare di mettere su famiglia e ritirarsi nel proprio particulare è esattamente l’effetto desiderato dalle leggi e dalla cultura misandrica oggi in vigore.
È troppo semplicistico pensare che basti ignorare le donne e darsi all’ippica per risolvere i problemi maschili: malgrado l’idealizzazione che se ne fa sulla rete, la vita del single medio sarà sempre più vicina a quella di uno schiavo moderno, che a differenza di quelli dell’antichità non può nemmeno permettersi una famiglia. Il maschio disporrà di un reddito di mera sussistenza, compensato da abbondanti circenses: tv, pornografia, intrattenimento vario che lo manterranno in uno stato di docile, abulica apatia.
In mancanza di proposte costruttive, la funzione di certi consigli superficiali si traduce inevitabilmente nell’adattare il maschio allo status quo, trascurando la desertificazione simbolica del ruolo maschile e l’irrilevanza economico-sociale dell’uomo contemporaneo.
Secondo questa mentalità, il maschio dovrebbe essere felice di una vita relativamente insignificante, poiché può beneficiare delle meraviglie del turbo-consumismo vigente, che si vuole unico fine ed esigenza dell’essere umano: beni spesso superflui, mercificazione e superficialità delle relazioni, svilimento del tempo libero. Che, di fatto, può essere occupato solo con hobby, viaggi e sport, che non disturbano più di tanto la digestione di chi siede ai piani alti.
Un aspetto troppo poco considerato è che la civiltà è un artefatto complesso, bisognoso di “manutenzione”, ovvero della collaborazione di tutta la collettività sulla base di principi comuni: il benessere, l’amministrazione, la libertà e i diritti umani –anche maschili- non crescono sugli alberi, e più ci limiteremo ad occuparci del nostro particulare, più ci sarà spazio per l’erosione di diritti e libertà fondamentali per il tornaconto personale di pochi.
Per la prima volta nella storia si rinuncia ad una società in cui vi siano ruoli maschili e femminili integrati, in favore di una massa solitaria organizzata sul modello di un alveare: lavoranti di sesso e psicologia neutri, incapaci di relazioni umane autentiche e feconde. La riduzione dell’essere umano ad unità tecnologica elementare.
Questa rinuncia ad una ipotesi di società integrale riflette una mancanza di prospettiva affascinante comune per uomini e donne, dovuta essenzialmente al fatto che i media hanno impiantato nella società un modello di rapporto di coppia inattuabile, contraddittorio e infantile: lavoro ma anche tempo sufficiente da dedicare ai figli, romanticismo adolescenziale spacciato per amore ma anche competizione rivendicativa tra i sessi.
Soltanto lo stordimento mediatico impedisce di vedere che affinché una famiglia sia unita e felice, bastano poche regole elementari: spirito di sacrificio, consapevolezza del maggior valore della famiglia rispetto alla cosiddetta carriera e alle distrazioni dispersive offerte dalla società dei consumi.
È proprio su questo che bisogna lavorare, proponendo nuovi paradigmi; impegno che richiede meno ore passate a pescare trote e più dedicate al bene comune.