Dove sta andando la Famiglia Italiana?
Sono le mamme Italiane le più vecchie dell’Ue
Matrimoni sempre più fragili, aumentano le separazioni
Leggendo “La Stampa” di ieri (28/05/2013), mi sono imbattuto in questi due articoli che fotografano la situazione delle famiglie italiane. L’età in cui le donne partoriscono il primo figlio si sta alzando, e le famiglie non si formano più come una volta e durano di meno.
In freddi numeri, del 2011, la situazione è questa:
- Circa 200.000 matrimoni all’anno (erano 290.000 nel 1995) (nel 2011 i matrimoni celebrati con entrambi gli sposi Italiani sono stati “solo” 178.000)
- Circa 80.000 separazioni all’anno (erano 52.000 nel 1995)
- Età media del matrimonio: 30 anni per le donne, 35 anni per gli uomini
- Età media delle partorienti il primo figlio da 29 a 35 anni
- Media di numero di figli per donna, nel 2011 è stata di 1,42, ancora molto al di sotto della soglia di 2,1 che permette la costanza della popolazione.
- Il 72% delle separazioni e il 62,7% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante il matrimonio.
- Il 90,3% delle separazioni di questo tipo ha previsto l’affido condiviso dei figli.
- Nel 19,1% delle separazioni è previsto un assegno mensile per il coniuge, nel 98% dei casi corrisposto dal marito.
- Nel 57,6% delle separazioni la casa è assegnata alla moglie, nel 20,9% al marito mentre nel 18,8% dei casi si prevedono due abitazioni autonome e distinte, ma diverse da quella coniugale.
Da questi freddi numeri qualsiasi analista serio ammetterebbe che la nostra società sta andando rapidamente alla deriva.
Le statistiche vanno registrando da qualche decennio il progressivo calo dei matrimoni e del numero dei figli, qualcuno indica la responsabilità, con particolare (e ironico) riguardo, alla ritrosia dei giovani maschi a distaccarsi dai genitori per fondare una nuova famiglia ed a “prendersi le proprie responsabilità”.
La parola stessa “matrimonio” deriva dal latino e significa “interesse della madre”, in effetti, fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975, la donna era sotto la “tutela” del marito e lui aveva l’obbligo di mantenerla, nonché la daonna aveva la certezza che il “patrimonio” dell’uomo passasse ai suoi figli, magari concepiti con l’amante mentre il marito era lontano, precludendolo ai figli di lui avuti da altre donne “fuori dal matrimonio”, differenziando i figli “legittimi” da quelli “naturali”.
Gli uomini, oggi, continuano a sposarsi del tutto ignari di ciò a cui vanno incontro, ignoranti sugli aspetti sociologici e, soprattutto, legali, come se la riforma del 1975 non fosse stata mai introdotta.
Alcuni credono che con la “separazione dei beni” le loro proprietà e risorse economiche siano al sicuro, altri pensano che con l’affidamento condiviso gli sia garantito il rapporto con i figli in caso di separazione.
Molte sono le richieste di frange minoritarie della società che richiedono la legislazione sulle convivenze, il matrimonio tra persone dello stesso sesso compresa la possibilità di adottare bambini, senza aver cura di analizzare le cause del costante calo del numero dei matrimoni ed il costante aumento del numero delle convivenze. Tutti vogliono ottenere, anche per loro, i famosi “diritti”, ma quali diritti? Il diritto ad assistere il convivente malato? No di certo, il diritto all’eredità ed al mantenimento in caso di rottura della convivenza o matrimonio (andate a leggere le varie proposte di legge sui DICO), ma per ogni diritto acquisito da una parte, esiste un dovere per l’atra.
Oggi il matrimonio, nel sistema attuale del diritto di famiglia, è, per i padri, la base di un contratto in cui normalmente, alla rottura, perdono i loro figli in cambio del finanziamento della distruzione della propria famiglia.
Non fatevi illudere dalle fredde statistiche, il 90% di affidamento condiviso dei figli non equivale automaticamente a che ogni genitore provvede direttamente ai bisogni dei propri figli passando con loro il 50% del tempo, o che il 20% di assegnazione della casa famigliare(1) ai padri equivale ad una remota possibilità che la casa di vostra proprietà rimanga nelle vostre disponibilità.
L’applicazione delle attuali legge, secondo la prassi rimasta invariata, nei tribunali, prevede la “collocazione” dei figli presso la madre, nella casa familiare a lei assegnata, ed il contributo mediante assegno al mantenimento dei figli a carico del padre.
Il matrimonio, e la convivenza dalla riforma della legge 54/2006, divengono così un accordo NON basato su uno scambio reciprocamente favorevole, ma solo un contratto che serve come presupposto legale per un divorzio in cui la madre ottiene (quasi) sempre la casa ed i figli, ed il padre ottiene una sentenza con l’espulsione dalla famiglia ed un assegno di mantenimento da pagare.
La paternità si è transformata (o è sempre stata?) così in un obbligo unilaterale per l’uomo, senza alcun ritorno, anche solo affettivo, per quest’ultimo.
Anche per molte donne la riforma non è mai stata introdotta e l’emancipazione dalla tutela è troppo impegnativa da raggiungere. Oggi, come un tempo, appare spesso che, per donne svagate o intraprendenti, il matrimonio sia considerato come la vittoria di un concorso o un contratto di assicurazione. Da una statistica apparsa su una rivista femminile di qualche anno fa, si evince che “solo” il 14% delle donne si sposa per amore, le altre per motivi economici o per “scappare” dalla casa familiare e ritenersi “libere”.
Tutti gli uomini, ed anche le donne, dovrebbero sapere che l’innamoramento dura al massimo 18 mesi e l’amore 7 anni, altrimenti non sarebbe stato imposto, nei millenni passati, per legge o per etica religiosa, l’indissolubilità del matrimonio.
Molti sono convinti che questo importante nucleo sociale, qual è la famiglia, debba essere tutelato e incoraggiato al massimo, ma nessuno indica con quali strumenti e che tale risultato possa conseguirsi soprattutto con un’adeguata formazione dei giovani e con un buon orientamento dei suggestivi mass-media. Ma sopratutto un saggio assetto giuridico, e l’applicazione delle attuali leggi secondo i mutamenti sociali e del costume può avere il suo peso nel miglioramento dei rapporti familiari ed invogliando i giovani, evitando di contribuire alla distruzione di un istituto così prezioso per le nuove generazioni e per tutta la società.
La nostra società dovrebbe proteggere i diritti dei padri alla cura ed alla custodia dei propri bambini. Una società che non riesce a proteggere i diritti del padre, perde l’autorità morale per chiedere a quest’ultimo di onorare le sue responsabilità.
Basterebbe iniziare con poco, variare l’articolo 31 della Costituzione, inserire le parole “e paternità” a fianco di “maternità”.
Fino a quel momento, giovani uomini e non più giovani, evitate di sposarvi e convivenze con figli in case di vostra proprietà. Salverete, almeno, la casa e la possibilità di dover mantenere una sfaccendata disoccupata che si definisce “casalinga”.
LJD
(1) L’assegnazione della casa famigliare è legata al “collocamento” ed all’interesse dei figli minori o non ancora indipendenti economicamente. I figli sono collocati prevalentemente presso la madre, per cui la casa, salvo (onerosi) accordi tra le parti ed indipendentemente da chi è il proprietario, è assegnata alla madre.
Come ho avuto occasione di dire in un altro forum,a mio avviso l’unico modo preventivo per un uomo,che nonostante tutto abbia deciso di rovinarsi la vita sposandosi,di salvare la propria casa nell’ipotesi futura di una separazione è di dare in affitto la propria casa PRIMA del matrimonio e con il ricavato affittarne un’altra dove risiederà il costituendo nucleo familiare(compresi futuri figli).Questo farà sì che in caso di separazione la casa coniugale che sarà(senza ombra di dubbio)assegnata alla moglie con la scusa di tutelare i figli NON SARA’ QUELLA DI PROPRIETA’ del marito,il quale potrà dare lo sfratto per finita locazione al proprio inquilino e prima o poi rientrarci,oppure venderla,mentre se ci risiedesse la famiglia(basta registrare la sentenza di assegnazione alla Conservatoria) ne sarebbe di fatto espropriato.Se la futura sposa informata dal futuro disgraziato su questa decisione dovesse recalcitrare sarà una prova di “non amore” e di ben altro interesse al matrimonio e dovrebbe far riflettere il candidato alla rovina sull’opportunità di compiere questo suicidio sociale.