Sospettare che la Questione Maschile sia dovuta al femminismo è ridicolo.
Il femminismo nei suoi albori è stato ben visto da una parte consistente della popolazione maschile e la repressione che ha subito non è stata nè più estesa nè più radicale di quella patita da ogni altra opposizione.
Le prime conquiste femminili non hanno indotto negli uomini alcun senso di sconfitta o di rivalsa: le donniste fanno spesso riferimento al diritto di voto come ad una grande vittoria e lo vorrebbero in grande ritardo rispetto all’analogo diritto di voto maschile. In realtà il suffragio universale femminile in Italia, tolto il ventennio fascista durante il quale non votò nessuno, venne solo cinque anni dopo quello maschile .
Ma la Grande Narrazione Femminista si nutre del mito dell’oppressione maschile così come della resistenza maschile alla lotta di liberazione femminile. Anzi, il mito della resistenza maschile è necessario alla GNF forse più e più radicalmente del mito dell’oppressione femminile. Perchè consente di leggere le espressioni “oppressione maschile” e “oppressione femminile” in modo univoco: entrambe significano l’oppressione dei maschi nei confronti delle femmine.
Solo la malafede può giustificare la ripetizione di queste tesi e richiede un lavoro costante di revisione storica e di azzeramento della memoria collettiva.
Perchè ci vuole poco per controllare con quanto ritardo i diritti femminili siano stati riconosciuti rispetto agli analoghi diritti maschili. Quando non furono riconosciuti prima o nello stesso momento, seguirono di pochi anni.
Un esempio per tutti: nel 1764 a Livorno (città di briganti e puttane) il milanese Cesare Beccaria pubblicò il saggio Dei Delitti e delle Pene, solo 22 anni dopo (consideriamo i mezzi di comunicazione dell’epoca, consideriamo la rivoluzione culturale necessaria, insomma valutiamo l’insieme) nel 1786 il granduca di Toscana Pietro Leopoldo abolì la pena di morte per tutti, maschi e femmine. Tre anni ancora e la rivoluzione francese si preoccupò di applicare la pena di morte su vasta scala senza distinzione di sesso e senza processo:il 3 luglio 1792 Anne Leclerc fu la prima donna ad essere ghigliottinata. Il femminicidio ha origini rivoluzionarie e democratiche!
Se l’erudizione ci annoia e la polvere dei libri ci crea allergie, basterà un piccolo sforzo di memoria. Quando mai le manifestazioni femministe suscitarono negli uomini alcuna reazione di opposizione? Di stupore, forse talvolta, quando si sentono proclamare slogan tanto pieni di risentimento a cattiveria da restare basiti: L’assassino ha le chiavi di casa, togliamogliele. Oppure: l’assassinio per mano maschile è la principale causa di morte delle donne.
Il referendum del divorzio e quello dell’aborto o la diffusione della pillola anticoncezionale, bandiere del femminismo, non hanno diviso l’Italia tra maschi e femmine e non hanno indotto alcun sconforto nei maschi in quanto maschi.
Ma la QM si è imposta a chi stava da un lato e a chi stava dall’altro della barricata. Ha colpito chi ha votato a favore e chi ha votato contro quelle leggi, chi ha visto con favore e chi ha anatemizzato lo sviluppo sociale di quegli anni.
Sviluppo che NON ha coinciso con un aumento di autonomia femminile, con un miglioramento delle condizioni delle donne, con un maggior spazio per le donne. La donna singola, la donna concreta, l’unica vera donna che a noi sia mai stato dato di incontrare (perché la Donna rappresentata all’8% nei consigli di amministrazione nessuno l’ha mai vista) insomma la donna reale non ci ha guadagnato nulla dalla doppia preferenza nelle elezioni comunali. Assolutamente nulla. Che alcune donne abbiano una carriera politica facilitata rispetto a colleghi uomini nelle stesse condizioni, non fa altro che rinsaldare i legami di solidarietà tra le classi privilegiate, le quali sono privilegiate e possono restare privilegiate solo in tanto in quanto la maggioranza non è privilegiata. Poiché un privilegio distribuito alla massa, non è più un privilegio. La doppia preferenza alle elezioni è funzionale alle classi privilegiate che riescono a far eleggere le “loro donne” superando artificialmente gli uomini non privilegiati. Le donne elette in osservanza alle quote rosa portano via spazio agli uomini che concorrevano con gli uomini di quelle donne e in questo modo rinsaldano il controllo sociale e impediscono il cambiamento. Perché le donne che avevano e hanno argomenti ulteriori oltre al sesso non avevano e non hanno bisogno di quote rosa per essere elette e per portare via spazio anche agli uomini privilegiati. L’irrigidimento sociale conseguente all’introduzione delle quote rosa tuttavia si ripercuote e va a pesare soprattutto sulle donne, le donne non privilegiate ovvio.
La QM si è manifestata in una condizione di crescete sofferenza psichica, economica, sociale e culturale femminile, crescente sofferenza alla quale continui provvedimenti legislativi e iniziative istituzionali fingevano di rimediare destinando risorse, sottratte appunto altrove, alle stesse classi privilegiate.
Un singolo esempio è sufficiente per rendere evidente l’eterogenesi dei fini:
Il 26 Dicembre 1965 Franca Viola viene rapita da Filippo Melodia, uno spasimante sempre respinto. Per la morale del tempo Franca avrebbe dovuto sposare Filippo e la legge avrebbe considerato estinto il reato di violenza carnale con il matrimonio riparatore. Il padre rifiutò di seguire l’orientamento dominante e avvisò i carabinieri che liberarono Franca. Esempio di coraggio del padre e della figlia, esempio che si fa molta difficoltà ad accostare ai tanti falsi stupri denunciati oggi. Facciamo un torto oggettivo a Franca chiamando anche solo per ipotesi stupro la signora molestata mentre corre al parco o la fidanzata scoperta dal fidanzato a letto con un altro.
Questo accostamento rende bene, spero, l’idea di cosa è cambiato negli ultimi quaranta anni in Italia, di come dal femminismo eroico si sia passati al donnismo volgare.
Il donnismo volgare e risentito oggi si esprime nella Convenzione di Istanbul approvata ieri dalla camera dei deputati della Repubblica Italiana. Passati di moda gli stupri, le donne in carriera hanno ritenuto di alzare il livello della discussione e di cannibalizzare sul femminicidio.
Passano numeri casuali come se fossero rilevazioni scientifiche: addirittura 128 donne uccise nel 2012! Ora, il punto non è se le donne uccise siano poche o tante, il punto non è neppure se siano state uccise in quanto donne (formulazione approssimativa e ambigua in sè, ma molte di quel centinaio ucciso l’anno scorso è certo che non sono state uccise in quanto donne. Il punto è che sono stati uccisi 3 o 4 uomini per ogni donna e mentre per ogni donna uccisa ci sono pagine e pagine sui giornali, degli uomini al massimo ci sono due righe di necrologio! La morte e la violenza subita dagli uomini sono invisibili, trasparenti, leggere. Noi non contiamo.
Ma chi sono gli uomini che non contano?
Sono, siamo ovviamente noi non privilegiati, siamo noi che non possiamo permetterci di pagare centomila euro al giorno o al mese o all’anno alla nostra ex-moglie, che non possiamo permetterci regalucci di cinquemila o cinquecento o cinquanta euro alla signorina perché ci faccia intravvedere le tette. La morte dei non privilegiati non conta.
La morte dei privilegiati invece conta. Non c’è bisogno di fare esempi. E le donne, in quanto proprietà dei privilegiati, anche quelle che “incomprensibilmente” si invaghissero dei beta, vanno tutelate non in-quanto-donne, ma in quanto merce preziosa e riservata a coloro che sanno come trattarle con tanti soldi e senza violenza. Perciò anche la loro morte, delle donne, conta.
Le donniste sono lacchè e cani da guardia dei potenti.
Questo è il quadro della QM.
non credo sia così difficile fare questo conto.
Il suffragio universale maschile (senza esclusione di fattori di reddito e di istruzione) è de 1919.
http://cronologia.leonardo.it/storia/italia/moli02.htm
la marcia su Roma è del 1922, dal 1925 in poi (dopo le elezioni del 1924) si instaura l’autoritarismo fascista. Poi la guerra. E subito dopo alle elezioni del 1946 poterono votare anche le donne.
Veramente il suffragio universale maschile è del 1912, analfabeti compresi. Dal mio punto di vista, che siano cinque anni o dieci o venti non cambia molto – nel senso che per me rimane un problema capire il motivo della differenza di trattamento, in questo come in altri ambiti (cioè in generale non capisco da dove nasca questo continuo “vietato l’ingresso”) – però la data è quella. Grazie. P.S.
Dimenticavo… non è vero che durante il ventennio fascista “non votò nessuno”. Di elezioni ce ne furono.
Ciao.
PS
ovvio che votarono. Il punto è che storicamente non mi sembra che siano riconosciute come libere elezioni. Punti di vista.
Invece per il suffragio boh.. la Treccani dice di no. Che il suffragio universale maschile si ebbe con legge 1985 /1918.
http://www.treccani.it/enciclopedia/diritto-di-voto/
Il diritto di voto in Italia. – Per quanto riguarda l’esperienza italiana, sino alla proclamazione del Regno d’Italia la legislazione sarda (Regio editto n. 680/1848; R.d. n. 3778/1859), estesa al nuovo Stato (l. n. 4385/1860), prevedeva un suffragio particolarmente ristretto (circa il 2 per cento della popolazione), che combinava alti requisiti di censo e di capacità, oltre al requisito di saper leggere e scrivere. Un primo allargamento del suffragio è stato operato con la l. n. 593/1882, che ha abbassato l’età minima da venticinque a ventuno anni ed ha ridotto significativamente i requisiti di censo a favore di quelli di capacità (l’aver compiuto con buon esito il corso elementare obbligatorio), portando il rapporto tra elettori e popolazione al 7 per cento. Un più cospicuo allargamento del corpo elettorale (fino a circa il 23 per cento) si è avuto con la l. n. 665/1912, che ha introdotto il c.d. suffragio quasi universale maschile: a seguito di questa legge, sono stati ammessi al voto tutti i cittadini maschi di età superiore ai ventuno anni che avessero superato con buon esito l’esame di scuola elementare e tutti i cittadini di età superiore ai trenta anni indipendentemente dal loro grado di istruzione.
Il suffragio universale maschile vero e proprio è stato introdotto con la l. n. 1985/1918, che ha ammesso al voto tutti cittadini maschi di età superiore ai ventuno anni, nonché i cittadini di età superiore ai diciotto anni che avessero prestato il servizio militare durante la Prima Guerra mondiale. Il voto alla donne è stato riconosciuto, invece, con il d.lgs.lgt. n. 23/1945.
A me sembra che si voglia rilevare un tempo abbastanza ristretto, rispetto agli anni che ci vollero per riconoscere via via, più ampie fette di popolazione. Abbastanza fuorviante che si pensi che davvero ci sia stato il suffragio universale maschile molti anni prima di quello femminile.
Buongiorno. Il mio non è un commento, ma una domanda, relativa al punto ” In realtà il suffragio universale femminile in Italia, tolto il ventennio fascista durante il quale non votò nessuno, venne solo cinque anni dopo quello maschile “. Non mi è chiaro in base a quale cronologia si arriva a parlare, appunto, di 5 anni.
grazie