Al tempo stesso, in Italia abbiamo un mare di complessate, tipo le pseudo giornaliste della 27ora, pagate per scrivere pseudo articoli da irrecuperabili complessate, come questo.
http://27esimaora.corriere.it/16_agosto_21/boxe-pugilato-donne-tempo-di-appropriarsi-del-ring-galassi-bianco-collaro-90ae2d5a-678f-11e6-b2ea-2981f37a7723.shtmlÈ tempo che le donne si approprino del ring
Lorenza Cerbini
Questa sera NBC Sports proporrà agli americani un match di pugilato tutto femminile. Una novità anche per gli «States», da cui — si dice (sbagliando) — partono tutti i trend. Negli States, come in Italia, la boxe al femminile non è mai veramente decollata. Sul ring salirà la campionessa newyorkese Heather Hardy (a sinistra nella foto di apertura e in basso), una che da sola vende 30 mila dollari di biglietti e vanta un personale di 17 incontri tutti vinti (con quattro ko). Una imbattuta insomma. La sfidante non è da meno: Shelly Vincent, pugile di Providence, dal vicino stato di Rhode Island con 18 incontri, pure tutti vinti (con un ko). Da anni Hardy si batte affinché il pugilato femminile ottenga la visibilità che si merita. E questa volta i promoter della serata, Al Haymon e Lou DiBella, si sono piegati al suo volere. Le due ragazze si sfideranno in diretta tv e dagli schermi in chiaro di NBC Sports avranno il compito di vendersi bene, fare share, ammaliare gli americani per invogliarli al cambiamento.
Shields, la campionessa che fa sparring con gli uomini
SulNY Times Magazine, nei giorni scorsi, la giornalista di Brooklyn Jaime Lowe ha portato alla luce i problemi che soffocano la boxe femminile, individuandone parecchi. Le atlete che riescono ad arrivare ad alti livelli stentato a vivere di pugilato, come è accaduto a Claressa Shields, prima americana a vincere una medaglia d’oro nella boxe alle Olimpiadi. Era il 2012, e a Londra la disciplina era una novità assoluta. Claressa aveva 17 anni, era un peso medio dal pugno pesante. «La gente dice che il modo in cui parlo di pugilato è troppo cattivo e duro. Ma a me piace colpire, altrimenti non sarei un pugile. Non faccio finta che non sia parte di me», ha detto Claressa alla rivista newyorchese prima di partire per i Giochi di Rio (per prepararsi bene ha fatto sparring con gli uomini) dove è giunta alla finale (pesi medi 75 kg) e oggi affronterà l’olandese Nouchka Fontijn (nella foto Reutersin basso, Claressa a Rio contro la kazaka Dariga Shakimova). Quella cattiveria e durezza che nella boxe maschile sono sinonimo di coraggio e valgono decine di migliaia di dollari (persino milioni, nel caso ad esempio di Floyd Mayweather), nella disciplina femminile non sono apprezzate. Le conseguenze lasciano il segno: mancano gli sponsor, i promoter stentano a mettere in piedi incontri tutti al femminile e quei pochi vengono snobbati dalle tv, soprattutto le ricche pay-per-view. Showtime ha mostrato il suo ultimo match femminile nel 2001. Hbo ha fatto di peggio: donne? «Niet». E senza copertura televisiva non si va lontano.
21 agosto 2016 (modifica il 21 agosto 2016 | 13:23)
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Mollare tutto per la M.M.A.?
Se il mondo della boxe pensasse al futuro in maniera intelligente, «dovrebbe riconoscere che le pugili servono», scrive il NY Times Magazine. E spiega perché: per fronteggiare la concorrenza con altri sport da combattimento che stanno dominando il mercato. Il riferimento diretto è al campionato M.M.A. (Arti marziali miste) gestito da un unico organismo, l’U.F.C. (Ultimate Fighting Championship; toccate l’icona blu per il link del sito) che assicura lavoro (incontri) costante ai suoi atleti. Guidato da Dana White (presidente), un businessman del Connecticut con la passione per il pugilato, U.F.C. ha aperto alle donne nel 2012. Il primo contratto «rosa» lo ha firmato Ronda Rousey, ex olimpionica del judo (ha gareggiato a Atene e Pechino) e modella che nella M.M.A. sta guadagnando cifre a sei zeri, è temuta e ammirata. Oggi, nel campionato U.F.C. combattono 69 ragazze e White ha definito la decisione di aprire alle donne come «la più intelligente della sua carriera». E una ragione c’è. Dana ha acquistato U.F.C. nel 2001 per 2 milioni di dollari finanziati per buona parte dai fratelli italoamericani Frank e Lorenzo Fertitta, imprenditori nel settore dei casino di Las Vegas. La società è stata venduta un mese fa per ben 4 miliardi di dollari versati dall’agenzia californiana di talenti WME-IMG (un 10% di azioni è detenuto dal governo di Abu Dhabi). Lorenzo Fertitta si è dimesso dal ruolo di chairman e Ceo, Dana è rimasto presidente. Resta da vedere l’impatto che la vendita avrà sugli atleti che adesso sono rappresentati dalla stessa WME-IMG. Quando Ronda ha combattuto (perdendo) contro Holly Holms (una ex pugile), U.F.C. ha fatto più di 50 milioni di dollari in vendite pay-per-view. Cosa succederebbe se gli atleti decidessero di emigrare altrove? (nella foto Reuters, Ronda Rousey bacia la medaglia di bronzo conquistata nel judo alle Olimpiadi di Pechino).
Anche chi non segue le arti marziali o altre discipline da combattimento, come il pugilato, non può non accorgersi di un indiscutibile dato di fatto: le donne vogliono entrare, e generalmente entrano, in ogni ambito maschile, mosse come sono da insopprimibili complessi di inferiorità, misti ad un indelebile risentimento verso il sesso maschile.
Ma non creano - né hanno mai creato - un qualcosa di loro.
Definirle delle parassite è poco.
Non a caso, da ex judoka quale sono, ho scritto più volte che gli atleti di sesso maschile sono il loro termine di paragone, il loro "punto d'arrivo".
E non per niente quando si allenano contro degli uomini, danno sempre il massimo, al contrario di quest'ultimi, che ancora oggi seguitano a fare "i cavalieri" pure in palestra.
Uomini che in quel contesto (come in altri...) sono per loro i
nemici da combattere e sconfiggere".Viceversa non esiste nulla di simile, proprio perché i maschi non percepiscono e non considerano le femmine i loro avversari naturali.
Per un maschio l'avversario da sconfiggere è un altro maschio (eccezioni a parte*); mentre per una femmina l'avversario da battere è possibilmente... un maschio.
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* Uno ero e sono io.
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ps: la tal Lorenza Cerbini,
http://27esimaora.corriere.it/author/lorenza-cerbiniLorenza Cerbini @lorenzacerbini
Ho trascorso una fetta importante della vita adulta a New York, città che ho visto trasformarsi da bordello in parco giochi per i ricchi di mezzo mondo. Ho resistito alla “gentrification”, ma non al rumore sempre più assordante delle avenue di Manhattan e alle gru dei supercondo firmati Trump. Ho attraversato indenne l’11 settembre e tre uragani, di cui l’ultimo, dal dolce nome di Sandy, mi ha lasciata fuori casa per una settimana. Grande esperienza di vita tra un sushi e una spaghettata sempre senza “meat ball”, le polpette care agli italoamericani. Toscana di nascita, conservo l’attaccamento alla terra che secondo il mio psicologo deriva da una non ben identificata origine etrusca. Se lo dice lui perché contraddirlo? E se volete saperne di più www.lorenzacerbini.weebly.com
è l'ennesima dimostrazione del fatto che alle donne fa male studiare, perché le varie lauree da 110 e lode che son solite prendere, non le migliorano affatto, bensì le peggiorano.
Ed infatti trovare una di queste laureate che non faccia i soliti
ragionamenti deficienti è praticamente una missione impossibile.