http://www.corriere.it/esteri/10_febbraio_26/iodonna-l-ora-della-vichinga-marzio-mian_2d47bc84-22c9-11df-8195-00144f02aabe.shtml«Se sono la donna del destino?». Johanna, Santa Johanna come gli islandesi chiamano la loro premier, non crede nei miracoli, e neanche nel caso. Ma crede nel destino, il suo, perché se l’è confezionato su misura giorno per giorno con una tenacia implacabile. In Parlamento ha pedalato china per trent’anni, con passo regolare, mai uno sprint o una scorciatoia di palazzo. Ha lasciato a lungo covare l’ambizione sotto una maschera imperturbabile di donna disinteressata al potere. Come i ghiacciai della sua isola, al cui interno ribollono vulcani da milioni di anni. Finché un giorno, quando non fu scelta alla guida dei socialdemocratici, sibilò: «Minn tìmi mun koma!», verrà il mio momento. Una frase che finì anche sulle t-shirt.
Ecco perché oggi che il suo momento è arrivato risponde senza infingimenti: «Sarò anche la donna del destino, ma io preferisco definirmi quella che rassetta la casa dopo che un manipolo di uomini ha fatto bisboccia». Infatti Johanna Sigurdardottir, prima governante omosessuale al mondo, dichiaratamente lesbica, è convinta che il patatrac è stato causato anche da un eccesso di testosterone; un turbocapitalismo guidato da una banda di uomini che ha mandato l’Islanda in testacoda: «Una trentina di predatori» - accusa con rabbia nella sua prima intervista a un giornale straniero da quando è stata eletta lo scorso aprile a capo di un governo rosso-verde, composto per la metà da donne.
Fa un certo effetto tornare in Islanda. Solo tre anni fa Io donna aveva raccontato la tigre boreale, 320 mila abitanti con il reddito procapite più alto al mondo, il potere d’acquisto cresciuto del 50 per cento in cinque anni; per l’Onu l’Islanda era «il paese migliore dove vivere», un paio di Suv per famiglia, Reykjavik era la «swinging Reykjavik», sei concerti live ogni sera, le etichette discografiche internazionali che andavano sul sicuro con le voci della cosiddetta Kiutt kynslodin, la “generazione carina” inaugurata dal folletto Björk. Uniche preoccupazioni il rumore dei jet privati, comprare un altro appartamento, organizzare il weekend a Parigi. Si è scoperto che erano debiti - 160 mila euro per abitante - subprime fuffa.
Poi, autunno 2008, la bancarotta. Le Range Rover ribattezzate Game Over. Il debito accumulato all’estero dalle tre principali banche fallite ha superato 10 volte il Pil. Si tira avanti grazie al prestito del Fondo monetario internazionale. Ma Inghilterra e Olanda che hanno rimborsato i loro risparmiatori attratti dal miraggio artico hanno presentato il conto: 13 mila euro per ogni islandese o sarà la gogna internazionale, addio ingresso nella Ue nel 2011, un intero paese condannato al pignoramento (in altri secoli Londra e Rotterdam avrebbero inviato le cannoniere). «Pagheremo con gli interessi» assicura Johanna. «Ma mi batto anche per incriminare e condannare i colpevoli, tabula rasa. Sono qui per fare il lavoro sporco, prendere decisioni impopolari. Non per difendere la classe dirigente». Nel Paradiso perduto c’è un’aria inquieta. La paura del clima che cambia, un inverno quasi mai sotto zero. Persino dal mare giungono brutti segnali: ora che si vorrebbe virare verso un’economia reale, quella tradizionale della pesca, le reti consegnano il 36 per cento in meno di merluzzo rispetto allo scorso anno. E poi i veleni sociali, le accuse di collaborazionismo con i raider truffatori, come accade dopo il crollo dei regimi.
Gli islandesi non vogliono pagare tutti per la colpa di alcuni. Johanna non ha ceduto alla tentazione populista e ha deciso che non c’era alternativa alla medicina imposta dall’estero. Invece il presidente della Repubblica Olafur Grinsson, entusiasta ai tempi del boom, ha chiesto un referendum dall’esito scontato e che potrebbe avere conseguenze diplomatiche altrettanto scontate. Eppure Johanna resta Santa Johanna. Com’è che una veterana della politica passa a pieni voti l’esame di un popolo schifato dalla nomenclatura ed è l’unica a godere ancora di un gradimento da far invidia a Berlusconi, nonostante stia governando a suon di tagli e stangate? La signora strizza gli occhi grigi dietro agli occhiali che sparano lampi violacei, non compie il minimo sforzo a smentire l’immagine di donna fredda («Se la baci ti viene la polmonite» è stato l’avvetimento di un ministro), s’intuisce la cura sofisticata nel voler incutere rispetto e anche il rossetto vermiglio, a contrastare i capelli color ghiaccio, sembra studiato per aumentare le distanze: «Ciò che ho fatto per trent’anni, occuparmi di quelli senza il Suv, dei giovani disoccupati, dei pescatori derubati dagli armatori, di questi tempi è visto come una garanzia. Non vengo associata alla politica accademica» risponde.
«E poi sono una donna, quindi prudente e pratica. Come la signora che guidava la Audur, la banca che è sopravvissuta. Perché c’è un modo femminile di stare sul mercato come nella politica, lontano dalle avventure. Mi raccontano che sono vista come una mamma oculata e severa». Da deputato e da ministro si è sempre e solo battuta per i servizi sociali, nottate a spuntare denari dal budget. Si dice che abbia anche aiutato personalmente alcune famiglie di pescatori. Si dice anche che era facile dedicarsi ai pochi emarginati negli anni dell’abbuffata generale. «Una solitaria, incapace di stare in squadra, la sua visione è limitata, non coglie il quadro della situazione» è il ritratto dell’ex ministro degli Esteri, Jon Baldvin Hannibalsson. Secondo molti i suoi difetti sono diventati invece la carta vincente: «Sgobbare nell’angolo, evitare cocktail e premi, tenere la sua vita privata lontano dalla stampa, le ha consegnato l’aureola dell’incoruttibile» ammette la vice segretaria del partito conservatore oggi all’opposizione, Thorgerdur Gunnarsdottir. «Solo una come lei poteva restituire fiducia alla politica».
Neanche ora che non è più nell’angolo Johanna parla del suo privato. Si sa che fino ai 40 anni è stata sposata con un banchiere, dal quale ha avuto due figli; che prima di entrare in Parlamento a 36 anni è stata per nove anni una hostess dell’Islandair e che durante uno sciopero ha esibito attributi da sindacalista tosta costringendo la compagnia a siglare un accordo svantaggioso. All’intervistatore che arriva da lontano, con una smorfia di disappunto, e sottovoce, concede una riga sul taccuino: «Appena posso mi dedico ai nipoti, appena posso cucino dolci e appena posso dormo. Contento?».
Gli islandesi hanno scoperto dalla Cnn che una premier gay all’estero fa notizia. Trovano normale che la sua compagna, con cui è unita legalmente, la giornalista e scrittrice Jònìna Leosdottir, figuri come “first lady” nel protocollo della Presidenza del consiglio. Ha fatto più scalpore sapere che non parla l’inglese - uno scandalo nella globalizzata Islanda, ma se si tratta di Johanna diventa un punto a favore nel momento in cui l’isola deve rispolverare l’identità vichinga, che significa difendere la lingua parlata più antica (un islandese d’oggi può leggere un testo di mille anni fa) e l’orgoglio del paese dopo la tempesta perfetta e la figuraccia internazionale. Il tempo di Johanna è decisamente arrivato.
Marzio G. Mian
26 febbraio 2010