Autore Topic: Cinema, uomini, solitudini, e rabbia: "Io ho paura"(Italia 1977)di Damiano Damia  (Letto 2140 volte)

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Cinema, uomini, solitudini, e rabbia:
"Io ho paura"

drammatico, politico, poliziottesco, Gian Maria Volonté, 1977, Damiano Damiani, 1977 [ITA]

Questo “Io ho paura”, insieme al precedentemente affrontato “Goodbye & Amen -L'Uomo della CIA” uscito addirittura lo stesso anno, è il più bel film realizzato da Damiano Damiani all'infuori dei suoi famosi e notevoli film sulla mafia. Damiani ha diretto anche diverse pellicole di genere criminale-poliziesco o thriller, ma sempre realizzando delle opere molto impegnate anche sul versante politico e civile. I quali sono tutti molto interessanti, mentre questo è appunto il vero capolavoro nell'ambito di una sorta di trilogia all'interno della sua filmografia, con un Gian Maria Volonté convincente come sempre e ben diversamente che nella parte del commissario di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” ('70) di Elio Petri ma proprio in un ruolo suo contraltare, -anche toccante-, come poliziotto dalle umili origini e fedele al proprio dovere, che scopre la corruzione e comincia a vivere oppresso da un grande timore. “Una grande paura” per la propria vita, sotto la pesante cappa di piombo del 1977 romano.
Mario Adorf è grandioso come sempre, nei panni del viscido e sospettissimo personaggio del giudice Moser al quale Volontè viene riassegnato, mentre Damiani aumenta la tensione alla perfezione fino a quando il climax diventa veramente avvincente. Il film è realistico e in un certo senso anche molto triste e amaro, il che lo certamente rende ancora più credibile.
Allorquando il superbo “La Polizia incrimina, la Legge assolve” ('73) di Enzo G. Castellari diviene infatti il “film-manifesto” dei poliziotteschi italiani degli anni '70, questo splendido film di Damiani non è possibile oggi non consigliarlo altamente come gli stessi migliori “mafia-movie” di quel periodo.
Io ho paura" significa "ho paura" ... In quanto il protagonista scopre troppe cose compromettenti sui poteri occulti, alcuni dei quali purtroppo lo perseguitano da sempre come se sapessi chissà quali sconvolgenti rivelazioni.
Ma non divaghiamo, se torniamo alla pellicola in questione scopriremo che si tratta davvero di un film fantastico e inquietante che cerca di riassumere alcuni degli avvenimenti reali di quel periodo cruciale -il 1977-'78- (nonostante la canonica clausola “...è da ritenersi puramente casuale”, alla fine dei titoli, significativamente messa sotto il titolo principale "Io Ho paura" …), la vita degli “uomini di scorta” proprio poco prima dell'”Operazione Fritz” di Via Fani, i rapporti tra servizi segreti, le loro deviazioni, la criminalità e la politica. Vivendo queste comese come il protagonista dall'interno, in prima persona. Questo legame sappiamo anche oggi quanto sia stato reale durante gli anni '70, e quanto non solo sia più vivo che mai adesso, e ancora più complesso, in quanto ora sembra che includa nella loro totalità anche le banche, e le inestricabili commistioni tra mafia e massoneria. Gian Maria Volonte' ci offre qui una delle sue migliori performance nella seconda metà dei '70, nell'impersonificazione  poliziotto spaventato che viene involontariamente a conoscenza di segreti dei quali egli è perfettamente conscio che potrebbero portarlo alla propria morte. La colonna sonora di Riz Ortolani, come già nel precedente film di Damiani, “Perchè si uccide un magistrato” (1974), è perfetta. La regia di Damiani è eccellente, anche e soprattutto nelle scene d'azione e nei piani sequenza dove è sempre stato uno dei maestri del cinema italiano, il finale è splendido, e molto duro. Damiani cinque anni dopo avrebbe diretto l'enorme successo seriale in Italia come all'estero de “La Piovra” , ma "Io ho paura" rimane veramente un film fantastico del suo periodo antecedente, e ancora oggi abbastanza sconosciuto se non alla cerchia degli appassionati, un'opera dalla grande tensione, dalla eccellente recitazione, una media eccellente di tutte le sue componenti, e un allarmante messaggio di accusa, ancora realistico e quantomai concreto. Dato che anche se non sei un magistrato che si occupa di politica, come mostrano ogni giorno nuove indagini, in Italia ogni trama losca o di malavita che tocchi, ne escono connessioni con quel o quell'altro politico.
Seppur Damiani forse non sia il primo nome che viene in mente quando si elencano tutti i più grandi registi italiani d'azione, o dei registi cult degli anni '70, egli sicuramente si merita tutto il rispetto e la considerazione di cui è stato capace a ottenere, e con questo film merita un'ammirazione enorme. Mentre altri suoi famosi colleghi, come Umberto Lenzi e Enzo G. Castellari, stavano realizzando molti celebri poliziotteschi i quali erano colmi di splendidi inseguimenti , violente sparatorie e scioccanti massacri, Damiani era concentrato a fare una manciata di veementi thriller di denuncia e inchiesta sulla mafia, che erano relativamente a bassa concentrazione di violenza, ma beneficiati da sceneggiature estremamente solide e dai contenuti oltre che contesti, maggiormente realistici. Dopo i tremendamente convincenti "Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica” ('70), “L'Istruttoria è chiusa, dimentichi” ('72), e "Perchè si uccide un magistrato” ('74) - tutti e tre interpretati da Franco Nero - Damiani fece nel giro di un anno “Goodbye & Amen -L'Uomo della CIA” e "Io ho paura", i quali sono probabilmente i suoi migliori sforzi e indiscutibilmente tra i più intensi thriller polizieschi mai realizzati in Italia. Coevi a “Cadaveri eccellenti” ('76) di Francesco Rosi, al quale sono affini per una certa ermeticità kafkiana rispetto a ciò che si arguisce di quel che si vede, ma più eccitanti sotto il profilo spettacolare e dell'azione. La trama è piuttosto contorta e introduce continuamente nuovi personaggi, quindi è da prestargli sicuramente la massima attenzione, e rimanere in allerta per tutti i piccoli colpi di scena e a non farsi sfuggire subito tutte le connessioni con i veri accadimenti italiani di quei giorni e mesi; oltre a tutto ciò, “Io ho paura” resta comunque un vero e proprio racconto avvincente e pieno di suspense. Talmente emozionante da ritrovarsi specie nell'ultima mezz'ora, ad ammirarlo con gli occhi e la bocca spalancati.
Ludovico Graziano/Gian Maria Volontè è un adeguato ma apprensivo ufficiale di polizia dalla sciatta esteriorità, il quale viene assegnato come egli voleva a guardia del corpo personale all'elegante e raffinato giudice Cancedda/Erland Josephson -recentemente scomparso, bravissimo e toccante quanto l'insicuro personaggio di Volontè- il quale non è un magistrato che si occupa di politica e così pensava il povero Graziano, di rischiare meno la pelle in anni come quelli nei quali si rischiava la vita ogni giorno senza neanche sapere bene il perchè; e poiché la potente malavita organizzata e la corruzione, commistionata con il luridume dei servizi segreti ultimamente in corso a Roma nel corso del film, ha fatto assassinare parecchi giudici scomodi. Più tempo Graziano passa con l'onesto giudice Cancedda, tanto più viene coinvolto in una cospirazione altamente pericolosa e in una caccia all'uomo per la sua vita. "Io Ho paura" possiede praticamente tutto ciò che un appassionato di film di culto ricerca e vorrebbe trovare in una pellicola: un ambientazione profondamente malinconica, che rende tutta la storia plausibile e molto amara, l'autorità morale alquanto discussa e discutibile di alcuni dei personaggi, l'inquietante e labirintica vicenda, diversi veri e propri momenti di violenza (l'eliminazione della testimone femminile attraverso la sua finestra è veramente scioccante), un epilogo affascinante, come detto un magistrale score di Riz Ortolani, e abbaglianti interpretazioni di tutti gli attori. Gian Maria Volonté è veramente incredibile come cerchi per tutto il film di soffocare le paure che sempre più – e con buona ragione – gli si presentano per la sua stessa vita. L'ispettore Graziano non è certo un codardo, ma la sua paura cresce sempre di più, perché non c'è nessuno del quale può fidarsi nella polizia né intorno a lui, tra false rassicurazioni e gli sporchi e minacciosi giochi che si svolgono sopra la propria testa. Volonté riesce davvero a tradurre molto bene questo difficile agire emotivo allo spettatore. Riceve anche il supporto eccellente soprattutto nella seconda metà del film, dalla recitazione enfatica e melliflua di un quantomai splendido Mario Adorf. "Io Ho paura" è come ho detto immeritatamente ancora oscuro e dovrebbe urgentemente ricevere un'edizione corretta e possibilmente lussuosa in DVD (speriamo come si vocifera, in una prossima edizione CineKult/Nocturno come per “Goodbye & Amen”, ho chiesto al Pulici ma ancora niente, non so se ne detengano i diritti), in modo che i tanti fans del poliziottesco possano degnamente aggiungerlo ai propri preferiti.
Damiani, è stato anche un regista molto eclettico e variegato, basti vedere il sequel “Amityville Possession”('82) che girò successivamente negli Stati Uniti, molto meglio dell'originale, e come horror apparentemente ben lontano dalle sue possibilità e interessi, ed è quindi ripeto un peccato, che uno dei suoi titoli di gran lunga migliori, tra quelli svolti negli anni settanta anche sul versante di una radiografia del sistema politico-criminale in Italia, sia ancora come detto così “oscuro”. I suoi film si potrebbe altresì dire che da una parte sono certo rientrabili nel filone delle “Polizie”, che era stato generato in Italia dopo l'uscita del grande successo seminale del capolavoro di Don Siegel “Ispettore Callaghan: Il Caso Scorpio è tuo!”(Dirty Harry) (1971), anche se i lavori di Damiani spesso offrono molta più sostanza che le comunque prodigiose sequenze di inseguimenti e sparatorie viste nei film di registi anch'essi bravissimi come Stelvio Massi e Fernando Di Leo, e questo non fa eccezione. "Io ho paura" sembra prendere influenze da film come “Il Padrino” più di ogni altra cosa, infatti la trama si concentra appunto sulla criminalità organizzata. Il personaggio principale di Ludovico Graziano, è infatti un uomo assunto come guardia del corpo per un giudice troppo intelligente e incorruttibile. C'è molto presente e incombente, -il fermento politico di quelli anni terribili a Roma-, e dopo la morte (a quanto pare per suicidio) di un uomo in prigione, il giudice e la sua guardia del corpo incontrano in segreto la moglie del morto che gli rivela che il marito è stato invece sicuramente ucciso (come in un analogo nodo della trama de “L'Istruttoria è chiusa, dimentichi”), decideno dunque di provare a fare qualcosa, nonostante il fatto che stiano mettendo le loro vite in pericolo.
Il film ha alcune sequenze d'azione e continui momenti di entusiasmante suspense, forti valenze simboliche e un raffinato livello d'analisi, ma il focus del film ne è chiaramente la trama e le sue pessimistiche implicazioni. Questo non vuol dire che il film non sia interamente attanagliante, ci sono infatti diverse sparatorie -con il silenziatore, alla maniera dei servizi segreti- e inseguimenti in auto dal ritmo elettrizzante, e il modo in cui Damiani costruisce l'atmosfera del mistero è ottimamente realizzato, nel senso che è sempre interessante. Ci sono anche altri aspetti che intercorrono intorno alla trama centrale, compreso il rapporto del protagonista con la sua ragazza (Angelica Ippolito, figlia del famoso scienziato comunista, conosciuta proprio in questo film, diventerà la compagnia di Volontè), che aiuta a costruire bene la trama e a rendere il film più realistico. La recitazione è interamente superba e va rimarcata, e il film nella sua interezza è ad essere condotto da una prestazione eccellente di Gian Maria Volontè che incarna il titolo stesso, scoprendo involontariamente i segreti che potrebbero portarlo alla morte.
Rimarco ancora la grandezza dello score di Riz Ortolani, uno dei suoi migliori in assoluto sulla falsariga di quello splendido composto precedentemente per “One Way -La Faccia violenta di New York” ('74) di Jorge Darnell).
Il film è coraggiosissimo nella sua denuncia per tutta la durata sui servizi segreti come veri mandanti e “utilizzatori finali” del terrorismo (anche se non ci viene rivelato se il personaggio di Caligari/Paolo Malco sia un rosso o un nero) in termini e risultati d'espressione del disagio, che mancano totalmente al cinema italiano d'oggi. E questo rimane vero anche per lo sconfortante e disperato finale, il quale è certamente un finale davvero raggelante, duro e senza alcuna speranza,volutamente nebuloso perchè ancora più ansiogeno, ma che si adatta talmente bene alla storia che Damiani non avrebbe potuto concluderla in modo diverso. Nel complesso, uno dei migliori esempi di thriller italiani di denuncia politica sugli abomini dei servizi segreti e sulla strategia della tensione, altissimamente raccomandato.

Incontri e coincidenze. Sul set del film Volontè conosce quella che sarà la sua compagna per l'ultima parte della sua vita: si tratta dell'attrice Angelica Ippolito, la quale a sua volta è figlia di Isabella Quarantotti, compagna e poi ultima moglie di Eduardo De Filippo. Angelica collaborerà a lungo con il "patrigno" recitando in quasi tutte le rappresentazioni teatrali allestite negli anni 70, non ultime quelle trasmesse sulla Rai.

Quando Mario Adorf e Gian Maria Volontè si recano al cinema per vedere un film porno, non sanno (ma il regista sì) che quello che scorrerà sullo schermo è un pezzo di un film realizzato, nel 1976, da Mario Pinzauti “Mandinga”

TorsoloMarioVanni

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Neil McCauley/Robert DE Niro [ultime parole]:- "Visto che non ci torno in prigione?"
Vincent Hanna/Al Pacino :-"Già."
Noodles:"I vincenti si riconoscono alla partenza. Riconosci i vincenti e i brocchi.Chi avrebbe puntato su di me?"
Fat Moe:"Io avrei puntato tutto su di te."
Noodles:E avresti perso.