Un articolo e una prima pagina su famiglia Cristiana
http://www.sanpaolo.org/fc/1009fc/1009fc28.htmArticolo sui padri separati, nuovi poveri
Padri SEPARATI E POVERI
Separazione, mantenimento dei figli, difficoltà a pagare una nuova casa. E se poi ci si mette la perdita del lavoro, la povertà è totale. Sono in aumento i papà sconfitti dalla vita. Ma a Milano qualcuno si occupa di loro.
Allegre, spensierate, anzi più ricche di opportunità e di conoscenze. In video e sulla carta le famiglie separate o ricostituite sono descritte così, dai tanti sceneggiati di successo e anche da certa stampa per ragazzi (vedi Focus Junior di marzo che dedica sei pagine, intitolate "Ops, mi si è allargata la famiglia", a spiegare ai ragazzini, in tono allegro e leggero, le differenze tra famiglie regular size, il modello classico, extralarge, con nuovi papà, nuove mamme, nuovi fratelli, e unisex con due genitori dello stesso sesso. Differenze che, secondo Focus, sono arricchimenti, di adulti a cui fare riferimento, di punti di vista diversi, di regole più appetibili. La cronaca dei giornali e l’esperienza di chi non vive nel lusso o nel mondo dello spettacolo raccontano storie ben diverse, alcune persino drammatiche, altre attraversate da una tristezza infinita che "fa differenza", eccome, nella vita delle persone coinvolte, a cominciare dai bambini, ma anche dalle mamme e dai papà. È su questi ultimi che i dati più recenti puntano l’attenzione, mettendo in luce la povertà crescente dei tanti che non ce la fanno a pagare l’affitto di un’altra abitazione con quel che rimane dello stipendio di sempre, una volta tolti il mantenimento dei figli e l’assegno alla moglie. Per non parlare di quelli a cui la crisi ha portato via il lavoro. Sono storie che non dicono tutto (perché altri padri, pur potendo, sfuggono ancora al dovere di mantenere i figli), ma che non devono restare inascoltate
Renata Maderna
Alle nove di sera nel grande atrio dell’edificio giallo di via Saponaro 40, periferia sud di Milano, ci sono molte persone di vario colore, accenti diversi. Tanti nel cortile, di più nei due piani superiori, in tutto oltre 400. C’è chi è appena arrivato e ha ancora il cappotto, altri sono già in pigiama nelle loro camere multiple. La mensa del pianterreno è deserta e pulita, i pasti caldi serali sono stati serviti un’ora fa.
Tabella.
Siamo in un centro di prima accoglienza per senza fissa dimora in zona Gratosoglio, un’ex scuola che nel 2006 il Comune ha destinato alla Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi in comodato d’uso gratuito. Poco lontano tanti palazzi alti, tutti uguali.
«Prendiamo in carico le persone, le accogliamo come sono, fino all’integrazione umana, all’autonomia professionale e abitativa. Raggiungiamo l’obiettivo nel 33 per cento dei casi», spiega padre Clemente Moriggi, saio e occhi sorridenti, mentre in guardiola controlla il nome di chi arriva. Qui si mangia, si dorme, si fa la doccia. Ci sono infermeria, assistenza sociale, consulenza psicologica, orientamento al lavoro, scuola di italiano. «Ospitiamo chi ha problemi mentali, ex tossici, ammalati di Aids, richiedenti asilo, persone in via di regolarizzazione. E anche padri separati: a oggi sono un’ottantina».
Sono i nuovi poveri, gli ex mariti italiani in difficoltà economiche: i dati dell’associazione matrimonialisti italiani parlano di 50 mila tra Milano e provincia: «Il divorzio è un privilegio per ricchi, non per i separati a bassa soglia. Chi guadagna anche 1.300 euro al mese ma deve versarne 800 per il mantenimento di moglie e figli, e deve pagare un affitto per sé perché la casa resta alla famiglia, rimane solo con gli occhi per piangere. Figurarsi se perde il lavoro».
Tabella.
Senza una casa dove andare
Come è successo a Marco, ex poliziotto, jeans e giubbotto di pelle: «Il matrimonio è finito, il lavoro pure. Ho cercato e trovato altre occupazioni temporanee: lo smistamento della posta prioritaria, la guardia del corpo in Africa sulle piattaforme petrolifere. Oggi lavoro con padre Clemente come autista dell’Unità mobile che al mattino va a svegliare i clochard che dormono per le vie di Milano. Non vedo mia figlia di 12 anni dal 2007: potrei incontrarla, ma non ho una casa dove andare. Dormo in via Saponaro: non è posto per bambini».
È invece l’unico che Milano offre ai padri poveri. «La stampa», precisa con forza il frate francescano, «ha recentemente parlato della destinazione esclusiva ai papà della casa di seconda accoglienza di via Calvino gestita dalla Fondazione, 160 posti letto». Giochi da elezioni in corso: accoglienza leghista per padri che sono italiani. «Quello non è un posto adatto. Serve la privacy, non un collegio. I figli devono avere la possibilità di essere accolti senza vergogna, in ambienti che ricordino il più possibile una casa vera».
Qualcuno prova a creare alternative milanesi a misura di bambino: l’associazione lombarda dei Padri separati, che ospita gli ex mariti in due monolocali requisiti in città alla mafia; la Provincia con il progetto Giopà (attivo ancora per poco perché non rifinanziato), che in un appartamento colorato di via Procaccini dà ai bambini la possibilità di trascorrere ore di gioco con i padri.
Niente altro. Soltanto il dormitorio. Ci vive Ivano, 51 anni, milanese. Era autista, ha perso il lavoro: «La mia ex moglie sa dove abito e non mi chiede continuamente soldi, io do qualcosa quando posso. Si è risposata con un uomo che ho conosciuto anch’io, sono contento perché è una brava persona e mio figlio con lui sta bene».
Ognuno si tiene il suo dolore
Ci vive anche Marco, da qualche tempo. Ha 54 anni, parla con un linguaggio forbito e la vergogna negli occhi. È nato a Catanzaro, lavorava in una banca milanese. Ha perso lavoro, moglie siciliana e figlia, riportata dalla madre a Trapani. La bambina aveva sette anni quando l’ha vista per l’ultima volta, ora ne ha 17: «Ho dei problemi, lo psichiatra è diventato mio amico. Mi hanno diagnosticato anche la sclerosi multipla. Qui c’è chi ci aiuta a superare le difficoltà».
Mentre parliamo nel corridoio si sentono urla: «Si litiga, tante le etnie. Io dormo in palestra», dice Marco, «ho legato con qualcuno. Ma anche tra noi non parliamo mai dei nostri problemi, ognuno si tiene il proprio dolore». La mattina esce alle sette: «Il momento più brutto? Le domeniche, Natale, Pasqua. L’altro giorno mi sono tolto uno sfizio: ho mangiato carne di maiale. A mensa non c’è quasi mai, tanti sono musulmani. Così ho risentito il sapore della festa, del Sud. Un po’ del sapore della mia casa».
Maria Gallelli
UNA CASA DOVE INCONTRARE I FIGLI
La povertà, complice anche la crisi, incombe anche sui padri che si sono separati, e le istituzioni cominciano a muoversi. A Roma, ad esempio, l’assessorato alle Politiche sociali del Comune capitolino ha di recente fatto partire una "casa per papà separati" e in difficoltà economiche per vivere e accogliere degnamente i figli nei tempi loro assegnati.
Venti miniappartamenti con saloncino e angolo cottura, camera a due letti e uno spazio comune per giocare e stare qualche ora in modo sereno con i propri bimbi.
«I padri, nella gran parte dei casi di separazione, come primo effetto perdono la casa, che è assegnata quasi sempre alla madre in ragione dell’interesse preminente dei figli, che è quello di proseguire la loro vita nell’abitazione di origine», spiega Maria Giovanna Ruo, avvocato esperto in diritto matrimoniale con studio nella capitale, già docente all’Università Lumsa di Roma.
«Nella casa, inoltre, sono state investite di solito tutte le risorse dei due coniugi e quelle delle famiglie di origine, spesso accendendo un mutuo, con il risultato che i padri, anche per i tempi molto lunghi in cui in Italia i figli si rendono autonomi, hanno davanti a sé lo spettro di molti anni di spese altissime, spesso superiori alle loro capacità economiche, e di rischio povertà».
Le conseguenze? «I padri non riescono più a mantenersi e tornano spesso nella casa dei genitori di origine, con mutamenti sociali evidenti». Di qui una proposta: «Se è giustificabile dare continuità abitativa ai figli, occorre anche immaginare soluzioni diverse per quando i figli sono diventati grandi, perché magari sono andati fuori sede per studiare all’università. In questi casi forse bisognerebbe ripensare a livello legislativo, secondo una visione più bilanciata dei diritti, una diversa assegnazione dell’abitazione. In altri termini: è giusto appesantire per un tempo così lungo la situazione economica dei padri?».
Il fenomeno della povertà dei padri colpisce comunque trasversalmente tutte le fasce sociali, «tranne nei casi dei nuclei familiari più agiati, in cui i costi sono ammortizzati dalle forti possibilità economiche proprie o delle famiglie di origine. In alcune circostanze l’eventuale indigenza provoca addirittura l’impossibilità di separarsi anche nei casi in cui questo sarebbe consigliabile, come nei casi di violenza domestica».
L’indigenza, inoltre, colpisce anche i figli: «Nonostante la legge preveda un uguale tenore di vita dei figli tra il "prima" e il "dopo", la duplicazione dei costi di fatto non lo permette. Non bisogna dimenticare infine il problema dell’occultamento dei redditi. Che fare quando, ad esempio, uno dei coniugi lavora in nero, dato che l’assegno familiare viene determinato in base al reddito dichiarato? Considerato che il lavoro nero in Italia è molto diffuso, il problema si pone in modo a volte drammatico, come constatiamo in molti casi che quotidianamente trattiamo».
Stefano Stimamiglio