Autore Topic: Cinema, uomini, solitudini, e rabbia: "ACAB-All Cops Are Bastards"(Italia 2011)  (Letto 2227 volte)

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Offline Suicide Is Painless

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Cinema, uomini, solitudini, e rabbia:
"ACAB - All Cops Are Bastards"

Azione, poliziesco/gangster, Stefano Sollima, 2011, [Italia]

“A.C.A.B. -All Cops Are Bastards” (2012) di Stefano Sollima, tratto dal libro-”inchiesta” di Carlo Bonini, è un raro film italiano contemporaneo e “realista” sulla polizia, istituzione quanto mai screditata e deprecata, il quale tenta di riuscire a raffigurare e rappresentare il vissuto quotidiano del corpo dei celerini forse e soprattutto dopo i tragici fatti di Genova e della Diaz, la rappresentazione stessa della servitù belluina del potere e dell'assoggettamento violento di ogni protesta o ribellione allo stesso potere.
Questo esordio nel lungometraggio per Stefano Sollima (ovviamente figlio del grande Sergio), dopo il buon successo di pubblico e di critica delle da lui dirette due serie tv di “Romanzo criminale”, è realizzato sicuramente con la sua propriamente consueta professionalità. La quale è molto al di sopra delle produzioni cinematografiche nazionali quasi nella sua interezza, e anche un tentativo di intraprendere nuove possibili vie per il nostro non ancora pervenuto “nuovo cinema di genere”, senza quelle solite deviazioni e squilibri, così come i tentativi di “autoriali” di giustificazioni e aggiustamenti. Professionalità, evidente soprattutto nelle sequenze d'azione, ovviamente incentrate su scontri urbani, manifestazioni, ma in particolare incentrate sulle domeniche e le tifoserie degli ultrà negli stadi, che anche se girate con evidente carenza di comparse, sono una spanna sopra a qualsiasi altre sequenze simili realizzate nel cinema e nella TV italiane contemporanee.

Sollima trae spunto e ispirazione dagli eventi avvenuti con al centro il corpo della Celere negli ultimi dieci anni, i quali aleggiano seppur nel film non ricostruiti, su tutti i protagonisti, alcuni dei quali vi hanno preso anche parte direttamente. Sollima, aiutato in questo da alcuni dei più bravi e sottoutilizzati attori italiani (ma soprattutto “romani”) cerca, e in parte riuscendoci, evento più unico che raro nel cinema italiano attuale, cerca dicevo di ricreare l'atmosfera e l'intento duro e spietato di alcuni dei nostri migliori film “sulla” polizia e i poliziotti degli anni '70, come “Io ho paura” ('77) di Damiano Damiani, per fare uno degli esempi migliori possibili. Il film cerca dunque fra molte contraddizioni, ma almeno meritoriamente non destreggiandosi fra i soliti noti e possibili “cerchiobottismi” di mostrarci come si direbbe quarant'anni fa, “L'impossibilità di essere un poliziotto normale”, soprattutto per via di alcune pesanti sovrastrutture ideologiche proto-fasciste le quali sono incoraggiate e coltivate esse stesse dal sistema per meglio controllare e rendere omogenei alle loro triviali incombenze e agli abominevoli compiti, se non apertamente inculcate, i poliziotti odierni. La prospettiva dei personaggi del film rimane soggettivamente tutta all'interno del loro spirito di corpo. Come nei loro aperti contrasti tra la propria visione del mondo e delle cose “ideologica” o “anti-ideologica” che sia, e la stridentissima disgregazione e disperazione affettiva, sociale, economica, di alcuni dei personaggi; neo-post-fascisti, razzisti, esasperati o qualunquisti ma molto più spesso soprattutto disperati -e questa è una forzatura che non mi è piaciuta molto, come fosse un po' un accomunarli a chi di solito sono loro stessi i primi a consegnare definitivamente alla povertà e all'emarginazione, mediante gli sfratti e gli sgomberi, e che in questo film colpiscono poco credibilmente anche il più giovane e inesperto del gruppo- da qui un certo rafforzamento drammatico del film, che però non ne nasconde le farraginosità e incertezze ideologiche e contenutistiche, ahimè quelle purtroppo oramai sempre presenti, in questo tipo di film italiani contemporanei. Correndo l'ovvio rischio di veicolare alla fine quello che forse si vorrebbe proprio evitare, una certa apologetica esaltazione forse no, ma certamente un' identificazione comunque pericolosa e molto negativa con gli “sbirri”, e un'elegia finale dello “spirito di corpo” e d'appartenenza, quello sì.

I tre poliziotti “nonni” del gruppo (Pier Francesco Favino/Cobra Cobra Filippo Nigro/Negro, Marco Giallini/Mazinga) interpretati da attori bravi qui più che in altri film (Giallini l'ho sempre seguito in quasi ogni suo lavoro, e stimato, Nigro non l'avevo mai visto prima, Favino è qui bravo come in nessuna altra occasione a cui mi era capitato di assistere, forse perchè erano soprattutto i film e i suoi personaggi a non essere veramente granchè), i quali mirano principalmente a sopravvivere alla violenza dalla quale sono pienamente coinvolti nelle strade. Nel frattempo, sono anche come travolti dalla piena del disagio sociale al quale sono la principale barriera arginante preposta, affinchè non travolga con essi anche il potere.

Anche in funzione di questo, il loro “spirito di gruppo” e cameratismo è spesso esagerato ed esasperato, ben reso da Sollima attraverso un utilizzo molto adrenalinico della macchina da presa, che però sa anche cogliere e prendersi le giuste pause e aperture introspettive ai suoi personaggi, facendo propria molta della lezione manniana-un suo evidente ispiratore-, tra violenti scontri di strada e pestaggi, vendette e ritorsioni, giustizialismo privato; inserite in un film che vorrebbe anche essere “scioccante” e dal tono gelido e raggelante, ma che non dice alla fine niente di nuovo sull'istituzione della polizia e della repressione, la quale non fosse stato già detta nei film americani di quarant'anni fa come “I Nuovi Centurioni”(The New Centurions)('73) di Richard Fleischer, o “Fragole e Sangue” (The Strawberry Statement) ('70) di Stuart Hagmann, e che comunque vorrebbe ugualmente offrire un ritratto verista e allarmante delle vite vere dietro le divise dei tutori della reazione, se non altro ben lontana dai ritrattini agiografici, estetizzanti e anestetizzanti, veicolati in continuazione dalle buoniste e consolatorie serie tv e di fiction nostrane. A.C.A.B., acronimo nato nella Gran Bretagna dei movimenti e delle gang giovanili degli anni '80 in un decennio britannico di grandi tensioni, sommosse e scontri sociali, sta appunto come sigla di “Tutti i Poliziotti Sono Bastardi”, adesso utilizzata soprattutto dagli Ultrà e quindi nelle curve degli stadi, e in una singolare “concertazione” da tutte le frange della cosìdetta “area antagonista” come anche dai gruppi estremisti di destra quali Casa Pound.

Il film di Sollima è molto “urlato” ma non appare mai sopra le righe o eccessivo, come nemmeno i suoi personaggi, ritratti tutti e senza quasi distinzioni, anche e soprattutto nei loro connotati fortemente negativi. L'Italia è restituita come un paese da un contesto sociale ed economico estremamente degradato e deteriorato, da una convivenza civile inferocita, dove si respira nell'aria e che stavolta, dopo oltre quarant'anni vissuti per molti, troppi, allegramente e bellamente ma comunque sempre sull'orlo del baratro, qualsiasi evento sociale possibile, possa adesso accadere davvero. Come d'altronde suggerito nell'allucinatorio e bel finale ambientato a Roma la notte dell'11/11/2007, durante la violentissima rivolta contro la polizia e i carabinieri, da parte soprattutto degli ultrà laziali e romanisti per una volta addirittura unitisi, dopo l'assassinio da parte di un poliziotto del tifoso laziale Gabriele Sandri. Intanto, tra chi come Il Negro, con i suoi gravi problemi personali con l'ex-moglie cubana per la custodia della figlia piccola, c'è chi come Mazinga ha i suoi problemi con il figlio adolescente dalla testa rasata, che unitosi ad un gruppo di frequentatori di Casa Pound, se ne va in giro a massacrare col passamontagna romeni e albanesi che chiedono insistentemente spiccioli nei parcheggi di un supermercato, come ad accoltellare nelle gambe lo stesso padre, durante uno scontro con i poliziotti in prossimità dello stadio Flaminio. Soltanto che poi il film non riesce -ma era almeno parzialmente, ampiamente prevedibile- a prendere una posizione di giudizio chiara e univoca, a mio parere anche per l'assenza nel film di un vero contraltare e di un giudizio da sinistra: i poliziotti sono anche loro stessi “vittime” del sistema (bella la sequenza -che trae spunto da un fatto realmente accaduto- del Negro che va di matto per la questione dell'affidamento negatogli della figlia, inveendo in divisa ed urlando per i suoi diritti calpestati, -durante un servizio davanti a Montecitorio-, all'indirizzo dei soliti “parlamentari ladri che sono protetti solamente da loro poliziotti, contro la gente che li vorrebbe aggredire per quanto stanno rubando”), e bella anche la parte con Adriano/Domenico Diele, la matricola, il più giovane e idealista del gruppo, sfrattato con la madre e senza assegnazione di una casa popolare, perché già occupata abusivamente da una famiglia tunisina. Il quale cerca aiuto da un suo ex-amico il quale è adesso diventato un giovin e viscido politicante, aspirante consigliere comunale per la circoscrizione di periferia dalla quale entrambi provengono, impegnato in campagna elettorale per il PDL e per Alemanno, come si evince da alcuni manifesti appesi dietro di lui per le infauste elezioni comunali del 2008. Naturalmente non l'aiuterà mai, e dopo tante false promesse si prenderà anzi un cazzotto in faccia e in mezzo alla strada, sceso dall'auto blu, da Domenico, dopo una arrogante battuta :-”Solo uno stupido può mettersi a fare il celerino”- mentre Domenico, dopo che l'ha atterrato ed è con la bocca sanguinante :- “Tieni, e mò chiama pure le guardie”.

O dunque sono appunto i poliziotti, loro stessi i volenterosi e compiaciuti responsabili in prima persona, attuatori ed esecutori di un sempre più imponente apparato di repressione, anche preventiva, in un'Italia ancora troppo addormentata e rassegnata? Difficile per Sollima come per chiunque, date anche le stantie esigenze di visibilità distributiva e di finanziabilità di un tale progetto, fornire quelle risposte chiare e nette come quei giudizi lucidi ed intransigenti, (la mancanza più evidente, come molti altri hanno giustamente ravvisato, è il liquidare con pochi insignificanti e reticenti aggettivi ciò che è successo al G8 di Genova, laddove i protagonisti del film furono quasi tutti di servizio in prima persona) dei quali ci sarebbe per altro un gran bisogno in questi tempi per molti -ma certo non per tutti, né troppi- così duri, cupi, e spietati, nei quali, per parafrasare e adattare una famosa battuta fatta pronunciare da Gian Maria Volontè, in uno dei migliori western “politici” del cotanto padre di Stefano, Sergio Sollima: “Al massimo si viene solamente uccisi, oggi non con un revolver ma soprattutto economicamente e civilmente, consegnati quindi all'emarginazione e alla miseria probabilmente perenne, ma cercando almeno di farlo senza scatenare rancori sociali e di classe, e SEMPRE con la massima CIVILTA'”.

Suicide Is Painless

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Neil McCauley/Robert DE Niro [ultime parole]:- "Visto che non ci torno in prigione?"
Vincent Hanna/Al Pacino :-"Già."
Noodles:"I vincenti si riconoscono alla partenza. Riconosci i vincenti e i brocchi.Chi avrebbe puntato su di me?"
Fat Moe:"Io avrei puntato tutto su di te."
Noodles:E avresti perso.