Fonte :
http://radiospada.org/2014/05/donna-barbuta-e-eurofestival/"DONNA BARBUTA" E EUROFESTIVAL
12 maggio 2014 by guelfonero
denmark-eurovision-song-contest-1
di Piergiorgio Seveso
Anche l’Eurovision Songcontest (o per usare il suo non tramontato nome, “Eurofestival”) , organizzato dall’Eurovision Broadcasting Union e giunto alla sua cinquantanovesima edizione, tenuta quest’anno a Copenaghen, ha subito le variazioni e le ingiurie del tempo. Partito come un paludato concorso internazionale di canzoni, con direttori d’orchestra in frac e cantanti in smoking, ha subito le mode degli anni Settanta ed Ottanta, giungendo, con una buona patinatura old-fashion e un certo tocco di istrionismo naif, sino ai pieni anni Novanta. All’epoca non mancava qualche cantante, come si soleva dire allora, “eccentrico”: pensiamo al russo Philipp Kirkorov nel 1995 o all’islandese Paul Oskar nel 1997. Indubbiamente la rottura del vaso di Pandora dell’omosessualismo LGBT ha una data precisa: il 9 maggio 1998 a Birmingham il cantante israeliano Yaron Cohen, un transessuale, (alias “Dana International”) vinceva quell’edizione dell’Eurofestival con la purtroppo nota “Diva”, dopo aver stravinto lo KDAM festival a Tel Aviv. Era in fondo l’inizio di un progressivo cambiamento d’identità per l’Eurosong, trasformatosi via via in un platea, non priva di eccessi e di una assai poco velata propaganda LGBT. Sia che si trattasse del norvegese Haldor Lægreid nel 2001, del gruppo sloveno Sestre, vestito in abiti da hostess nel 2002, sia che si trattasse dei norvegesi Wig Wam nel 2005, degli svedesi “The Ark” nel 2007 con “The worrying kind” o della grottesca ucraina Verka Serduchka nel 2007, la sostanza poco cambia. Enumerare poi gli esempi degli ultimi anni ruberebbe troppo tempo alla nostra esposizione. Cito tra tutti il dialogo tra il cantante greco Sakis Rouvas ed il conduttore olandese, sodomita notorio, Paul De Leeuw ad Atene 2006.
L’austriaco Thomas Neuwirth in “arte” Conchita Wurst (classe 1988), omosessuale in abiti femminili, non inventa quindi nulla ma semplicemente corona e sigilla un trend purtroppo costante nella recente storia dell’Eurovision Songcontest. Selezionato senza concorso interno dalla televisione austriaca già il 10 settembre 2013, il Neuwirth presentava la propria canzone il 18 marzo 2014. Sin dall’inizio la televisione e l’opinione pubblica austriaca presentavano la sua presenza all’Eurofestival come atto di riparazione contro ogni forma di omofobia e come un inno all’ “autodeterminazione sessuale”. Veicolata da Youtube e dai social networks del mondialismo, la canzone già furoreggiava in visite e convidisioni nell’aprile scorso.
Era comunque assolutamente evidente dalla seconda semifinale dell’Eurofestival, tenuta giovedì 8 maggio e stravinta anch’essa dal cantante austriaco con 169 punti che l’orientamento delle giurie e del pubblico tele votante sarebbe andato nella direzione del suo “trionfo”.
Nella finale del 10 maggio, tra le nazioni votanti della finale ben tredici hanno dato il punteggio massimo ovvero 12 punti a Thomas Neuwirth (Grecia, Svezia; Italia, Slovenia, Finlandia, Spagna, Svizzera, Olanda, Regno Unito, Belgio, Portogallo, Israele, Irlanda) e molte altre 10 punti (Islanda, Norvegia, Francia, Ungheria, Malta, Georgia, Lituania). Tra le poche lodevoli eccezioni segnaliamo gli “zero” punti dati da Bielorussia, Armenia, Polonia e (un poco sorprendentemente) San Marino. I tentativi fatti dalle televisioni russe e bielorusse di bloccare o di oscurare la partecipazione del performer austriaco sono caduti nel vuoto, così anche la minaccia della delegazione russa di ritirare le proprie cantanti, le innocue Tolmachevy Sisters. Significativamente Russia e Bielorussia si sono votate tra loro, scambiandosi il punteggio massimo. Assolutamente evidente il clima di conformismo austero a favore della “donna barbuta”: per fare qualche esempio, lo sventurato cantante armeno Aram Sargsyan (Aram MP3), arrivato quarto con la sua non spregevole “Not alone” che, in un’intervista, si era permesso di sindacare sull’ “incertezza sessuale” dell’austriaco ha dovuto porgere scuse ufficiali, benignamente accettate dalla “drag queen”. Quando il giovane portavoce della televisione lituana, il giornalista Ignas Krupavičius, ha annunciato i dieci punti per il cantante austriaco, estraendo un rasoio dal taschino e accompagnando il tutto con un benevolo “E’ tempo di farsi la barba”, il conduttore danese Nikolaj Koppel ha risposto con un piccato “Tempo di farsi la barba? Non penso proprio”. Anche il telecronista BBC Graham Norton, notorio attivista omosessuale, successore di Terry Wogan lo storico commentatore dell’Eurofestival per la BBC, ha deprecato il “gesto” nella sua telecronaca. Ad abundantiam la portavoce dell’ORF, la televisione austriaca, la commentatrice radiofonica Katharina Bellowitsch, si è presentata con una vistosa barba posticcia nel dare i voti della giuria e del televoto austriaco.
Una vistosa barba posticcia che portavano anche parecchi dei supporters austriaci presenti nel B&W Hallerne di Copenhagen, un ex cantiere navale riadattato ad arena musicale: lo spettacolo non era dei migliori. Al vitello d’oro dell’omosessualismo dilagante e del politicamente corretto hanno bruciato grani di incenso anche i commentatori RAI delle semifinali, Marco Ardemagni e Filippo Solibello, e quelli della finale, gli ineffabili Linus e Nicola Savino. In entrambi i casi erano continui i riferimenti ad una fantomatica, misteriosa e benedicente “comunità rainbow”, in ascolto dinanzi i teleschermi.
Alla fine, Thomas Neuwirth, infranta la assai tenue resistenza di Ilse DeLange e Willem “Waylon” Bijkerk ovvero i “Common Linnets”, un gruppo olandese dalle atmosfere folk, e della loro ballatina “Calm after the storm” che solo qualche decina di migliaia di malevoli ha accusato di somigliare troppo “Every breath you take”, si è involato verso una facile vittoria: a ogni buon punteggio ricevuto, la telecamera indugiava sulle tremolanti ciglia finte, inumidite di pianto, di Thomas e sull’entusiasmo del variopinto pubblico solidale, in un crescendo di emozione artefatta di cui tutti conoscevano il finale.
Finale che è arrivato puntuale e scontato per tutti. Il brevissimo discorso della vittoria è stato così sillabato dal vincitore, alzando la coppa al cielo : “Questa notte è dedicata a chiunque creda in un futuro di pace e libertà. Voi sapete chi siete. Noi siamo uniti e nessuno ci potrà fermare”. Ne prendiamo atto con serena compostezza fondata sulla Verità cattolica e sulle leggi di natura, gentile Thomas, così come prendiamo atto di alcune parole della sua canzone: “Waking in the rubble, walking over glass, Neighbors say we’re trouble, well that time has passed”. Ebbene quel tempo sembra passato ed ora, in questi anni di sessualità liquida e liquefatta, tutto appare affidato all’arbitrio della volontà dei singoli, alla tirannide del sentimentalismo e delle passioni più sfrenate (e più ignobili) ma confidiamo non possa durare tanto a lungo una tale sbornia irrealistica, confidiamo che la mostruosità e l’abominio non possa permanere legge tanto a lungo e che non possano trovare cittadinanza in alcun luogo. Perlomeno preghiamo e operiamo perché questo non avvenga.
Ma Lei, gentile Thomas, ci tiene anche nella sua canzone a significarci qualcosa di ulteriore: “Rise like a Phoenix, Out of the ashes, Seeking rather than vengeance, Retribution. You were warned”
Questa Fenice, riemersa dalle proprie ceneri, cerca quindi più che vendetta, giustizia: ne siamo avvisati. Ebbene, ci guarderemo le spalle e terremo gli occhi ben aperti.