Per la cronaca l'articolo di Blondet sulle donne iraniane vogliose di cazzo era questo:
" Iran: divagazione sulle donne , Maurizio Blondet 18/02/2007
Arrivo di un aereo a Teheran: «La cabina business al completo, affollata d'uomini d'affari iraniani coi loro bagagli di marca non lascia dubbi sulla […] prosperità della sua borghesia e la profondità dei suoi legami con l'Occidente. L'eleganza italiana, la civetteria delle donne dalle scollature ben modellate e dai sorrisi assassini tradiva tutto ciò che si nasconde sotto i veli estratti dalle borse al momento dell'atterraggio».
Queste righe iniziali del reportage dall'Iran di Bernard Guetta, dove il giornalista di France-Inter ripubblicato da «Repubblica» (Ri-pubblica) racconta l'atterraggio a Teheran, mi hanno colpito. Perché corrispondono alla mia personale esperienza di donne iraniane.
Sono spesso rimasto stupefatto, francamente, dagli sguardi assassini e dalla palese voglia di divertirsi eroticamente e civettare di quelle donne che crediamo islamiche.
Una volta in particolare, ricordo una snella e bella trentenne dai capelli neri: attaccò discorso con noi tre giornalisti italiani in un modo che avrebbe lasciato di stucco persino una sua pari età e pari bellezza italiana, donna «liberata» e (come spesso accade alle italiane belle e trentenni) un po' puttaneggiante.
Come spiegarlo?
Ripeto gli aggettivi che Guetta usa per descrivere un giovane iraniano su quello stesso volo, con cui ha attaccato discorso: «Loquace, frivolo, continuamente occupato a spogliare le hostess con lo sguardo».
Applicati a quella passeggera iraniana dallo sciolto inglese che ho conosciuto su un aereo, sono perfetti.
Poco più avanti Guetta parla di un caffè dove gli avventori (specie le donne) «hanno un'aria meno islamica possibile e persino i veli, leggerissimi e sciolti, sembrano portati più che altro per sedurre».
E' così, è proprio così.
Chiunque sia stato in Iran conosce quelle seduzioni, quegli sguardi, quei veli civettuoli e così contrari a quelli che si vedono in Arabia, o anche sulle marocchine integraliste di Milano.
E' proprio così.
Ma perché sono così le iraniane? Lo sono sempre state?
Non prendete quel che dirò come una risposta.
Prendetelo come una divagazione domenicale, ironica e senza impegno.
Forse le ragazze iraniane sono state rese così dal regime degli ayatollah, ormai detestato dalla gioventù: e la gioventù in Iran è metà della popolazione.
Forse, è la stessa reazione che abbiamo visto nei paesi dell'Est sotto il comunismo, dove le ragazze davano molto (troppo) per un paio di calze di nylon o un buon rossetto occidentale.
Spesso italiani, che si vantavano delle loro conquiste moscovite o rumene, ignoravano completamente la rabbia e il disprezzo che animava quelle ragazze «facili», la natura di protesta «politica» della loro vendetta erotica per un regime che le negava le piccole gioie femminili quotidiane, le civetterie del trucco e del mascara di buona marca.
Vado a memoria, ma all'Est si vendevano allora profumi dozzinali che si chiamavano «Stella Rossa», rossetti «Ottobre Proletario» che si sfacevano: la retorica bolsa di una «rivoluzione» depassée era collegata stupidamente, e direttamente, alla cattiva qualità, alla mancanza di bellezza. Si capiva che l'URSS non poteva durare, odiata dai suoi giovani.
Non so se è così, certo quel silenzio che piomba sull'aereo atterrato a Teheran, quando le donne iraniane eleganti e dagli sguardi assassini indossano in fretta il foulard nero, dice qualcosa di non bello: dice che sono rientrate in una patria che le «opprime».
Un regime dovrebbe avere paura di quel silenzio ammutolito, come di quella rivolta della civetteria. Trent'anni dopo la cacciata dello Scià, che la metà della popolazione non ha nemmeno conosciuto, un regime che trae da quella cacciata la sua legittimità deve in qualche modo cambiare, venire a patti, o sarà depassè, e presto superato.
Ma forse c'è un'altra ragione più impalpabile.
Esito a dirlo, tanto è imbarazzante.
Ma colpiscono i lineamenti di quelle avvenenze iraniane: sono indubitabilmente, palesemente indo-europei.
In altri tempi, si sarebbe detto di razza ariana, come infatti sono i persiani.
E' imbarazzante per chi tende a non credere che il sangue faccia una differenza decisiva nella storia, ed io non ci credo.
E tuttavia - il sangue ha le sue ragioni, che la ragione non conosce - basta percorrere le strade e le case dell'India, l'eleganza delle figlie e delle mogli dei maharaja, la pelle bianca, la sinuosa figura e l'alta statura e talora gli occhi neroblù, per sentirsi fra «gente nostra».
Una sensazione illusoria forse.
Ma è la sensazione che ebbero i greci delle falangi di Alessandro nell'Afghanistan allora buddhista - ancor oggi, certi poliziotti pashtun hanno profili barbuti da Pericle e da bronzi di Riace, cui manca solo l'elmo ellenico - e appena si affacciarono in India.
La lingua in qualche modo somigliava, si stupirono gli jonici.
Ma ancor più della lingua, doveva colpire qualcosa di essenziale: un certo rilievo orgoglioso del corpo, del corpo umano.
Questo è forse, profondamente, ciò che fa di un arya un arya: l'eloquenza del corpo.
In India, la comunione si rivela nell'arta del Gandhara.
La scultura alla greca fu subito, con intima simpatia, adottata in India.
Ci restano quei Buddha giovinetti, dal corpo appena velato da panneggi di mussola trasparente, evocazione di atleti greci dalla grazia adolescente, amorosamente scolpiti da Skopas e da Fidia.
Le giovinette nel fiore della pubertà, le korai ben panneggiate, mai nude, ma dal piccolo seno rilevato e rivelato dell'arte arcaica ellenica.
In Grecia arrivarono dall'India delegazioni di «gimnosofisti», di «filosofi-nudi»: erano yogi, e aprirono greche discussioni e dibattiti sul vero e sul bene, fra la delizie dei greci cui tanto piacque il parlare: il pensiero come «voce viva», che viene dal corpo sonora.
In India, del resto, la scultura anteriore (come la poesia) già invocava quella forma, quello speciale culto del corpo nelle divinità dal seno turgido e dalla vita stretta: l'eroico e l'erotico uniti indissolubilmente.
Anche oggi il sari indiano copre le gambe, ma rileva il seno, e mostra nude le braccia - le bianche braccia - e la curva del ventre.
E il bramino giovane e casto va col il petto nudo senza imbarazzo, come un giovane ateniese del tempo di Fidia.
Lieve, l'orgoglio ariano del corpo - regale e divino, atletico e adolescente - resta nell'induismo più puritano.
L'Islam ha coperto tutti i corpi, anche quelli ariani, anche quelli africani.
Dico la verità (e gli amici musulmani mi perdonino questa piccola malignità), fanno benissimo a coprire le loro donne, caviglie e volto, in informi abiti che non rivelano nulla.
Le donne arabe e beduine, semite, ci guadagnano a non mostrarsi.
Ma le donne iraniane ci guadagnano eroticamente a mostrarsi, e lo sanno benissimo: indomabile, l'orgoglio ariano del corpo vince le velature musulmane, la fa leggère e trasparenti, seduttive.
Stiamo parlando della Persia, la più antica delle culture ariane.
Tra le Termopili e Salamina, l'Ellade ne fermò l'avanzata, e se avesse vinto Serse l'Europa d'oggi sarebbe diversa.
Ma l'impero persiano non fu un dispotismo arbitrario e chiuso: Temistocle, cacciato da Atene, trovò cordiale rifugio nella corte persiana, i persiani e i greci non erano così diversi come gli ellenici per motivi politici pretendevano, tra le due culture ci furono intime compenetrazioni; e l'eleganza corporea fu coltivata là come qui ad Occidente.
Se Roma non avesse debellato Cartagine, allora sì l'Europa sarebbe stata davvero radicalmente diversa, e Roma lo capì tanto bene da voler cancellare quel nemico, da spargere il sale sulla città devastata fino alle fondamenta: non c'era lì possibilità di convivenza e di compenetrazione.
Ma se Persia avesse conquistato Atene, mi illudo, la contaminazione delle due culture sarebbe stata felice, vivibile e feconda.
C'era già.
Alessandro sposò Rossana e si volle politicamente persiano; i pashtun ancora lo esaltano e lo ricordano, quel re della loro stessa razza.
Imperatori romani, fra infinite guerre contro i parti, si ispirarono a questo Alessandro «orientale», a quella Persia imperiale.
Sarà quello che ci dicono le ragazze iraniane dall'aria fine e dagli sguardi assassini, con la sigaretta fra le dita, ribelli?
Sarà il sangue, l'antico sangue indo-europeo, a «parlare» nei loro corpi?
Non dico, ovviamente che gli arabi e i semiti siano più puritani, e men che meno che la sessualità degli indo-europei sia più indomabile.
Al contrario, forse.
Ma la differenza, credo, è nella finezza erotica, consapevole.
L'Islam coltiva arti eccelse ma incorporee: la calligrafia, la musica, il tappeto.
Anche la sua architettura, magica, è priva della nervosa muscolatura «romana», è un sogno di grandi bolle leggere, coperte di piastrelle azzurre e dorate, senza volumi, senza ombre.
Non a caso l'Islam vieta la raffigurazione del corpo umano, ne teme l'eros implicito, l'ombra di «divinità» immanente che rivela quando è perfetto.
Eros non significa crudamente «sesso» nel senso lussurioso.
Noi cristiani raffiguriamo il Crocifisso come corpo nudo virile: il giovane atleta suppliziato.
Per secoli, e specialmente nel Medio Evo cristiano, gli abiti europei hanno una caratteristica che manca a quelli, poniamo, giapponesi: sono essenzialmente «attillati», disegnano il corpo.
Le gambe dell'uomo sono in vista, coperte ma esaltate da calze colorate.
Nella donna, esibiscono la linea del busto, la dolce curva del collo e della nuca.
I giustacuori segnano la sottigliezza della vita.
Vorrà pur dire qualcosa.
L'Iran musulmano e sciita ha qualcosa di profondamente strano, una complessità e una finezza insolita. Ho saputo per caso che tra gli ayatollah esiste una scuola neo-platonica, di cui piacerebbe sapere di più.
Gli iraniani colti conoscono Dante e la sua Commedia, spontaneamente la sentono in qualche modo propria.
Il cinema iraniano, anche sotto gli ayatollah, mantiene una finezza critica e di sfumature rare nel mondo islamico.
La gioventù «occidentalizzata» di là è stupefacentemente vicina nei costumi e nei desideri.
La natalità è crollata anche là, il 60 % degli universitari sono ragazze, e le ragazze non vogliono troppi figli.
«Le faccio vedere dove si rimorchia», dice il giovane iraniano a Guetta, appena a Teheran.
E' volgare, ma non si sente dire in Arabia Saudita.
Si «rimorchia», ma in silenzio e sotto pena di lapidazione.
Sarà sempre stato così? Non so.
Nell'Iran sciita, esiste - ed anche l'ayatollah Khomeini l'ha sancito legalmente - un'istituzione insolita: il matrimonio temporaneo.
Anche di un'ora.
Non è elegante.
E' una legalizzazione del rapporto carnale momentaneo.
Sarà una concessione a qualche erotismo «razziale» non contenibile altrimenti?
Non giurerei.
Ma mi viene da pensare che se mai un giorno l'Islam conquisterà l'Europa, sarà profondamente modificato dai nuovi fedeli.
Forse gli imam del nostro futuro dovranno tuonare, come fa la Chiesa, contro l'edonismo e il relativismo, difendere la morale sessuale, mettersi a discutere di coppie di fatto; dovrà affrontare critiche dissolventi della sua ortodossia, richieste di «apertura» cui non è abituato affatto.
Non sarà elegante.
Sarà la forma inferiore del «Graecia capta ferum victorem cepit», la Grecia conquistata che conquista il conquistatore?
Non so.
Prendetelo come una divagazione ironica.
Il potere che impera sull'Occidente in questi tempi finali, con la sua falsa religione pubblica, impone il mutismo su eventi in corso, gravissimi: vediamo almeno di sorridere.
Petronio, costretto al suicidio da Nerone, passò l'ultima notte, legate a volontà le vene recise, a chiacchierare con gli amici.
Da ultimo scrisse una lettera all'imperatore, dove si prendeva gioco delle sue velleità di artista, poi si sciolse i lacci.
Esempio di «edonismo» indo-europeo che sarebbe bello imitare.
Maurizio Blondet "