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http://thefielder.net/08/06/2014/il-seggio-e-mio-e-me-lo-gestisco-io/Di F. Cartelli
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Il seggio è mio e me lo gestisco io
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08 giugno 2014
Barbara-Spinelli-620x350Facciamo un gioco. Ipotizziamo che una qualsiasi personalità del mondo della cultura e dello spettacolo riconducibile all’area di centrosinistra si candidi in una lista per l’elezione al Parlamento europeo e, contestualmente all’atto della candidatura, prenda solennemente l’impegno di non accettare il seggio, qualora eletta. Un tripudio d’applausi accompagnerebbe senz’altro tale nobile promessa. Cose d’altri tempi, si direbbe. Oceani d’inchiostro celebrerebbero la levatura morale del gesto. La politica intesa come stimabile impegno civico, come missione e non come fonte di reddito; una candidatura pro bono, di rappresentanza di determinati valori, lontana dal materialismo del denaro e perciò aulica, soprattutto in tempo di crisi. Ipotizziamo che il verdetto delle urne premi (seppur di poco) questa lista, la quale supera — contro tutti i pronostici della vigilia — la soglia di sbarramento del 4%, riuscendo cosí a eleggere dei candidati. Ma, a questo punto, succede l’imprevedibile: questa personalità, che cosí generosamente aveva accettato d’impegnarsi senza nulla chiedere in cambio anche in caso d’elezione, inizia ad avere delle titubanze. Delle perplessità, dei moti dello spirito, dei ripensamenti — e, a sorpresa, dice di doverci riflettere meglio. L’esempio morale lascia il posto a sentimenti molto umani; e cosí finisce che il seggio se lo tiene, e nel Parlamento europeo sederà fiera.
Il gioco è realtà, e ha come protagonista Barbara Spinelli, candidata ed eletta nella lista «L’altra Europa con Tsipras». Dapprima aveva assicurato la rinuncia al seggio in caso d’elezione, e poi ha cambiato idea, con tanto di solenne missiva spedita al Manifesto per ufficializzare la decisione. Una lettera che, in alcuni passaggi, ha dell’imbarazzante. Uno su tutti: «Non sento tuttavia d’avere tradito una promessa. I patti si perfezionano per volontà d’almeno due parti, e gli elettori il patto non l’hanno accettato, accordandomi oltre 78.000 preferenze». Un repentino cambio di filosofia per la prode Barbara, che ora sbatte sul tavolo le preferenze per giustificare la giravolta, ma fino ai primi giorni di maggio affrontava l’esperienza nella lista Tsipras con tutt’altro spirito e tutt’altri obiettivi. Tant’è che a Luca Sofri, direttore del Post, che rimproverava a lei e a Moni Ovadia — il quale, eletto, ha però mantenuto la parola e rinunciato — il carattere «finto» della candidatura, rispondeva: «In un sistema elettorale con preferenze […], al posto dei due capilista che non andranno in Parlamento saranno eletti i candidati piú votati con le preferenze. Ci si domanderà a questo punto perché votare capilista come Moni Ovadia o Barbara Spinelli. […] Sia Moni sia io vigileremo su quel che faranno i candidati della lista per cui ci siamo battuti». Insomma, i patti e i ruoli erano chiari. O forse no.
Ora, immaginate che, al posto della Spinelli, ci fosse stata una personalità di centrodestra. Apriti cielo. Sarebbe stato lanciato all’istante un appello da Repubblica e dalle intellighenzie per far dimettere il malcapitato. Blogger di sinistra da ogni piú remoto angolo della Rete avrebbero sentito l’irresistibile richiamo della tastiera, e giú omelíe, prediche, anatemi, sentenze contro il becero animale che ha tradito la parola data. Di sicuro un «fascista», o un turboliberista selvaggio, un finanzcapitalista schiavo del dio denaro, un voltagabbana piduista della peggiore specie. Magari qualcuno avrebbe organizzato un girotondo intorno al Parlamento europeo, una manifestazione senonoraquando senzaseesenzama per la democrazia e la legalità, contro la svolta autoritaria del candidato bugiardo che si prende gioco degl’italiani. Avremmo letto editoriali dal titolo «Circonvenzione d’elettore», «Una bugia figlia del berlusconismo», e altre memorabili lezioncine di superiorità antropologica. I grillini avrebbero chiesto l’ormai consueto pubblico processo. Invece, Curzio Maltese sentenzia: «Meglio lei d’Iva Zanicchi o Clemente Mastella. A Bruxelles, uno dei palazzi della Commissione è dedicato a suo padre». Dunque l’onestà intellettuale è anche, anzi soprattutto, una questione di cognome.
La morale della favola è sempre la stessa. Non chiedete ai radical-chic d’ammettere un errore, di riconoscere una colpa, o di provare semplicemente un po’ di sana vergogna. Loro vi risponderanno sempre che, tutto ciò che fanno, lo fanno per il vostro bene; e che, soprattutto, non avete alcun diritto di — o il corredo genetico per — contraddirli.