Uno stupendo, geniale articolo di Massimo Fini. Da Il Fatto Quotidiano di domenica 15 giugno 2014, pag.11.
Anche lui, E' UN UOMO:
VALLANZASCA, DA SUPER BANDITO A POVERO LADRO DI MUTANDE
L'ex Bosse della Comasina fermato per un furto al supermarket: torna in cella
Pesi e Misure
Renatino, da sempre onesto intellettualmente, di nuovo in prigione per 70 euro. I politici che rubano milioni finiscono ai servizi sociali o ai domiciliari.
di Massimo Fini
Milano
Renato Vallanzasca è stato pescato a rubare in un supermercato, l'Esselunga di viale Umbria a Milano. Lo ha fatto nel modo piu' ingenuo. Una parte della merce l'ha pagata, l'altra, un paio di boxer, cesoie e concime per piante, l'aveva nascosta in un borsone. Beccarlo è stato un gioco da ragazzi. Bottino: 70 euro.
Chi non ha rubato in un Supermarket alzi la mano e gli sara' tagliata per menzogna manifesta. Il Tribunale lo ha processato per direttissima e gli ha revocato il regime di semiliberta'. Sulla revoca della semiliberta' niente da dire, era un provvedimento inevitabile. Sul processo per direttissima ho invece qualche perplessita'. E qui usciamo, per un momento, dal personaggio Vallanzasca, che i suoi debiti con la giustizia li ha pagati fino in fondo con quarant'anni di carcere di cui undici in isolamento (le anime belle di Amnesty International, dei "diritti umani" affini, i difensori professionali dei diritti dei cani, dei gatti e delle lucertole hanno un'idea di che cosa significhino undici anni in isolamento?) ed entriamo in quelli di un cittadino comune che avesse commesso lo stesso reato. Per un furto di 70 euro si puo' essere processati per direttissima, per i grassatori di milioni di euro ci vogliono decine di anni prima che si arrivi a una sentenza definitiva, che in genere non arriva perchè è stata tagliata dalla prescrizione. E se casomai arriva, dopo sforzi inumani della magistratura, per i "ladri in grande stile" ci sono gli "arresti domiciliari" in lussuose ville, che proprio con i loro latrocini si sono fatte, o la beffa dei "servizi sociali" dove si fa finta, per quattro ore alla settimana, di imboccare degli ammalati di Alzheimer che vomitano quel cibo non perchè incapaci di ingurgitarlo, ma disgustati da colui che glielo dà.
No, non infierirò su Vallanzasca e non cederò alla tentazione di irriderlo perchè da bandito che seminò il terrore a Milano, negli anni settanta e in parte degli ottanta, si è ridotto a essere un "ladro di ruote di scorta di micromotori" per dirla alla Jannacci. Non lo farò perchè ho un debito con lui. Gli devo la sua onestà intellettuale. Quando fu catturato per la prima volta, a Roma, e portato, in manette, sul famoso balconcino, sotto c'era una folla di fotografi e giornalisti (la difesa della persona esiste solo per i delinquenti di grosso calibro, per gli altri valgono gli "schiavettoni"). Uno dei giornalisti, nel clima sociologicizzante dell'epoca, gli chiese: "Vallanzasca, lei si ritiene vittima della società?": E lui rispose: "Non diciamo cazzate". Lo avrei graziato solo per questo. Ha sempre ammesso le sue responsabilità e se ne è assunto anche altre che erano pur sue ma che i magistrati avevano erroneamente attribuito ad altri. In quarant'anni di carcere ha subito i pestaggi più selvaggi da parte degli agenti di custodia (chi avrebbe mai difeso un "pendaglio da forca" come lui?) e non se ne è mai lamentato. Non ha invocato Amnesty International, come hanno fatto i ladri di Tangentopoli per poche settimane di detenzione preventiva, e nemmeno difeso i suoi più elementari diritti di detenuto (si rifaceva scopandosi tutte le direttrici, se carine, dei suoi 36 penitenziari in cui è stato recluso, oh yes). Solo una volta, dopo un pestaggio più violento del solito, scrisse una lettera di protesta. Ma al solito giornalista che gli chiedeva: "Vallanzasca, lei è stato torturato?" rispose: "Beh, adesso non esageriamo".
Non infierirò su Renato Vallanzasca. Come scrissi in un articolo sull'Europeo del primo agosto 1987, lo considero "un bandito onesto in una società dove, troppo spesso, gli onesti sono dei banditi."