Autore Topic: Chi produce la vita odia la guerra  (Letto 2769 volte)

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Milo Riano

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Chi produce la vita odia la guerra
« il: Settembre 23, 2009, 19:58:04 pm »
Chi produce la vita odia la guerra
di Maria Teresa Guerra Medici 
Il Sole 24 Ore del 03/12/1989


La filosofia femminista più matura, quella a esempio di Carol Gilligan e Jean Grimshaw, per citare solo alcuni nomi, superata, si spera, l' epoca delle lamentazioni e delle recriminazioni, è attualmente impegnata nella identificazione e formulazione di criteri di analisi dei fatti e delle relazioni sociali più in sintonia con quelle forme mentali e quei modi di percepire la realtà di cui le donne rivendicano una specificità e validità. Con quella visione cioè che vuole completare e arricchire, quando non addirittura porsi in alternativa, la elaborazione culturale ancora solidamente dominata dalla componente maschile dell' umanità, identificata abitualmente nella storia della filosofia occidentale. è una elaborazione culturale e filosofica nella quale le donne stentano a riconoscersi (come osserva S. Bordo, in <Feminist Skepticism and the "maleness" of philosophy> in <The journal of Philosophy, LXXXV, 11, 1988>).

<Maternal thinking> di Sara Ruddick rivela già dal titolo le sue intenzioni, di formulare una filosofia che faccia riferimento all' aspetto dominante della condizione femminile, la maternità. Questa come viene presentata nel volume che raccoglie una serie di saggi con i quali l' autrice da tempo dibatte questo argomento, è un concetto e un modo di concepire la realtà e le relazioni sociali con il quale non solo le donne ma anche gli uomini devono misurarsi per produrre atteggiamenti mentali e comportamenti pratici più aderenti alla realtà sociale che si sta forgiando in seguito alla spinta delle rivendicazioni, aspirazioni e speranze delle donne di tutto il mondo.

Ruddick prende le mosse dalla filosofia praticalista, secondo la quale non esiste alcuna verità universale che possa servire da fondamento ad altre verità e attraverso cui queste possano essere giudicate, ma ritiene che la conoscenza e i criteri di giudizio nascano dalla pratica che fornisce esperienze e forme mentali che permettono di formulare giudizi determinati dal tipo di attività che si svolge o si è svolto.
Il pensiero, quindi, non può trascendere l' ambiente sociale nel quale si sviluppa; e il criterio della verità varia secondo il tipo di pratica a cui si riferisce, pratica che può essere di qualsiasi tipo: religiosa, scientifica, critica, artigiana o, appunto, materna.

Per attività materna, o pratica materna (<mothering>), si intende una pratica che si incentra e sviluppa su tre elementi fondamentali connessi con la protezione, l' allevamento e l' educazione della prole. è un tipo di attività che per quanto sia generalmente svolta dalle donne può benissimo essere affrontata anche da un uomo, dal padre, dato che nulla ha a che fare con il puro atto della riproduzione.
Per molte pagine, con pragmatica precisione americana, l' autrice si dilunga con la descrizione, di cui facciamo grazia al lettore, delle attività suddette. Si può concordare o dissentire con il modo adottato per suddividere e descrivere l' essenza dell' attività materna, ma non si può, a nostro parere, non condividere l' assunto principale e cioè che vi sia una forma di attività, con proprie caratteristiche che la qualificano e distinguono da altre attività come, per esempio, quella paterna (<fathering>) generalmente intesa nella nostra società come l' attività che produce il principio di autorità e i mezzi di sostentamento.

Il <mothering> (parola difficile da tradurre in italiano e alla quale per il momento ci atteniamo in attesa di un qualche buon neologismo, forse potrebbe andare "maternare") è inteso come la pratica che comprende l' insieme delle attività necessarie per allevare ed educare l' infante appena natò a: una pratica che presso tutte le culture è svolta dalle madri, naturali, adottive o vicemadri che siano, e dalla quale deriva una forma di pensiero identificabile come <mathernal thinking>.

Che esista uno specifico modo di essere e di pensare della "madre" evidentemente non è una novità: in proposito esiste una letteratura vastissima; l' argomento è stato affrontato dalla psicoanalisi, dalla religione, dalla morale. Ma per quanto vari e numerosi siano stati i criteri di interpretazione e valutazione della "madre", e di tutto quello che con questa parola è connesso in quanto idea di un modo di esistere, di operare e di pensare, questi criteri e le elaborazioni che ne sono derivate non hanno mai ascoltato o tenuto conto della voce delle donne e delle "madri" in particolare, sempre rimaste silenziose mentre il loro pensiero veniva distorto o idealizzato in una visione sentimentale scarsamente corrispondente, nella realtà, a ciò che le donne sono o sentono.

Ruddick, invece, affronta il tema come una qualunque altra disciplina la quale, però, è il punto centrale del femminismo e di una elaborazione filosofica che si vuole porre in alternativa alla aspirazione maschile alla trescendenza, che caratterizza la storia del pensiero occidentale, e dalla quale discende la contrapposizione tra spirito e corpo, tra ragione e natura.
La filosofia femminista, per lo meno nella formulazione alla quale stiamo facendo riferimento, si propone di ripensare la Ragione ridefinendone la struttura e le priorità in modo da modificare il potere maschile, che vede nella ragione l' antagonista della mente femminile, di strutturare la società secondo un' immagine della realtà alla quale anche le donne si sono dovute adattare.

Secondo Ruddick il <mothering> essendo un' attività che ha per oggetto la parte indifesa dell' umanità, produce un tipo di pensiero che può essere la base di un discorso filosofico e politico, nel senso più ampio, diverso. Se fin qui l' argomentare della Ruddick ci risulta chiaro un pò meno riusciamo a seguirla quando si tratta di pervenire a quella che, partendo dalle premesse, si può intendere come una via praticabile verso una politica della pace. Ruddick sa bene che non si possono identificare la femminilità e la maternità con la <pacificità>, ma si ha l' impressione che voglia attribuire i sentimenti aggressivi manifestati dalle donne nel corso della storia all' influenza culturale dei maschi. Questo è vero in buona parte; ma è anche vero che la tutela dei piccoli indifesi e dei loro interessi può essere spesso esercitata dalle madri, sia nel mondo umano che in quello animale, con straordinaria ferocia.

Se la maternità non è necessariamente identificabile con la pace e se il pensiero materno non è la chiave che consente di aprire il cammino verso una società dominata dallo spirito della pace, esso è pur sempre un modo di intendere la realtà che può aiutare a comporre la contrapposizione tra corpo e mente. La ragione non è esclusivamente maschile e la corporalità, che trova una delle sue manifestazioni più lampanti nella maternità , non è necessariamente femminile. Il corpo delle donne non è più materiale di quello degli uomini, ma la dicotomia fra la ragione, maschile, e la natura, femminile, nella sostanza ha generato una gerarchia di valori che ha sottomesso la donna "naturale" e la sua cultura senza potere all' uomo "razionale".

La "riconcettualizzazione" della maternità, e di tutto ciò che a questa parola è legato, può condurre a una "riconcettualizzazione" della ragione stessa in cui si tenga presente anche la ragione del corpo. Si tratta di un processo lungo che parte dalla rielaborazione teorica della storia della nascita, della maternità e del lavoro delle donne; ne deriverà, forse, una concezione diversa della vita e dei valori umani e quindi, è possibile, una concezione pacifica della vita stessa. Questa sembra in sintesi la conclusione cui mira la filosofa anche se l' ultima parte del libro appare un pò meno chiara proprio riguardo al collegamento fra il <maternal thinking> e una possibile politica della pace. è una questione, comunque, di tale importanza da giustificare la lettura di questo libro, pur con i suoi inevitabili limiti, e una riflessione molto seria.

Sara Ruddick, <Maternal thinking: Toward a Politics of Peace>, Beacon Press, Boston 1989, pagg. 291, $ 24.95.
« Ultima modifica: Settembre 29, 2009, 18:41:36 pm da Milo Riano »

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Re: Chi produce la vita odia la guerra
« Risposta #1 il: Settembre 24, 2009, 22:01:44 pm »
 :feminist:


troppo ganzoooo
Dio cè
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