Fonte :
http://it.avoiceformen.com/misandria/era-un-inganno-femminista-larticolo-che-sosteneva-che-stare-con-i-papa-fa-male-ai-bambini/Era un inganno femminista l’articolo che sosteneva che stare con i papà fa male ai bambini
June 22, 2014 By Silvio Altarelli 0 Comments
Se siete dei papà separati privati dei vostri figli, è probabile che Jennifer McIntosh abbia giocato un ruolo in questa violazione dei diritti umani.
Jennifer McIntosh nel 2010 presentò uno studio sui bambini in età pre-scolare che pernottano con i loro papà. Lo studio sosteneva di aver osservato grandi effetti negativi e che “gli infanti hanno la necessità biologica delle cure continue di un accuditore primario” (cioè la madre, secondo le lobby femministe).
Il femminismo internazionale ha tradotto l’articolo della McIntosh invitandola in numerosi paesi.
Molti giudici ci hanno creduto, ed hanno abusato di bambini e dei loro papà impedendo loro contatti, tanto che si è diffuso un termine nuovo, McIntoshato (McIntoshed), per indicare le vittime di questo articolo.
L’articolo sosteneva il falso.
Purtroppo il buonsenso non bastava, e sono occorsi 4 anni affinché un lavoro approvato da 110 dei maggiori esperti internazionali facesse il vero punto della situazione. Viene mostrato che lo studio della McIntosh
“trae conclusioni non conseguenti dai propri dati” e quindi “non costituisce una base affidabile su cui basare le decisioni per l’affidamento dei figli”.
[R.A. Warshak, “Social science and parenting plans for young children: A consensus report”, Psychology, Public Policy, and Law, 20 (2014), 46]
Un secondo articolo descrive come è stato usato lo studio femminista:
Descrivo come i dati possono venire distorti per indirizzare fuori rotta politici, organi giudiziari e genitori in merito all’affidamento dei figli. Illustro questo processo con un recente studio che ha ottenuto attenzione ed influenza internazionale.
[Linda Nielsen, ‘Woozles: Their role in custody law reform, parenting plans, and family court”, Psychology, Public Policy, and Law, 20 (2014) 164].
Vale la pena di descrivere il contesto politico che ha sollecitato l’articolo della McIntosh: la sinistra degenerata nel femminismo in guerra contro gli uomini, anche contro i propri elettori.
Nel 2010 per la prima volta una femminista diventava prima ministra dell’Australia. Julia Gillard arrivava al potere non grazie al voto dei cittadini ma sostituendo il primo ministro Kevin Rudd tramite una manovra interna al suo partito, manovra descritta come “accoltellamento” dalla stampa. Alle successive elezioni la Gillard non riusciva a vincere, ma quattro politici di altri partiti le davano i voti mancanti per rimanere al potere con un governo di minoranza.
Era anche la prima donna, ed è stato un disastro.
Fra le riforme del governo Gillard c’è l’aver di fatto smantellato la popolare legge Australiana sull’affido condiviso, introducendo emendamenti che, in ossequio all’ideologia femminista, di fatto rendono le false accuse uno strumento efficace per evitare l’affido condiviso. In tale contesto il Partito ha commissionato lo studio a Jennifer McIntosh.
Un papà si è visto rifiutare l’affido condiviso, ed anzi bloccare ogni contatto con la figlia di 5 anni fino a quando sarà adulta, con la motivazione che “la madre distruggerebbe la relazione padre/figlia piuttosto che accettare l’affido condiviso e violerebbe ogni prescrizione in merito ai contatti”.
Solo nel 2013 gli australiani hanno potuto cacciare la Julia Gillard, che li attaccava con la propaganda femminista: “un miliardo di donne vengono picchiate o stuprate”. Al solito, dati grottescamente gonfiati. Diffamati come violenti e stupratori le hanno levato il voto.
Le donne australiane la hanno ignorata. Allora la Gillard ha detto che non votare per lei era un ritorno al “patriarcato”, che avrebbe “bandito la parola della donna dalla vita politica”, che ogni critica contro di lei era misoginia, attaccando l’avversario come “sessista” – più o meno come fa la Boldrini da noi. Risultato: la stampa titolava “la goffa e manipolativa guerra di genere di Julia Gillard” ed informava che un altro mezzo milione di elettori le hanno levato il voto.
Nel suo partito si è iniziato a parlare di “autodistruzione elettorale”, di “suicidio politico”.
E così i parlamentari del suo partito le hanno staccato la spina.
Troppo tardi: per il suo partito è arivata la peggiore sconfitta elettorale in 80 anni.