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Zhuang Zi: la critica del linguaggio
http://iltaodilao.blogspot.it/2010/10/zhuang-zi-la-critica-del-linguaggio.htmlZhuang Zi ricorre ad ogni procedimento possibile per deridere la ragione discorsiva: nel suo libro, con una forma di suprema ironia, spesso usa le parole con un significato opposto a quello usuale, mostrando così di aver capito che spesso l’umorismo è ben più efficace e corrosivo di un lungo discorso. Predilige il dialogo serrato o l’aneddoto paradossale che si conclude con un tocco di nonsenso finalizzato a produrre un sussulto, un balzo in una verità altra rispetto a quella della logica ordinaria . Un altro suo procedimento consiste nell’intavolare una discussione pesudo-logica con tutte le apparenze della razionalità, per concluderla in modo delirante.
Zhuang Zi e Hui Zi passeggiavano sull’argine del fiume Hao. Zhuang Zi esclamò: «Guardate i pesci, come sguazzano a loro agio! E’ questo il piacere dei pesci».
Hui Zi replicò: «Ma voi non siete un pesce: come potete sapere quale è il piacere dei pesci?».
Zhuang Zi gli ribattè:«E voi non siete me; come potete dunque sapere che io non so quale è il piacere dei pesci?».
E Hui Zi di rimando: «Io non sono voi, e dunque di certo non so ciò che sta in voi. Ma voi di certo non siete un pesce, ed è dunque evidente che non sapete quale è il piacere dei pesci.»
Zhuang Zi rispose: « Riprendiamo dall’ inizio, se non vi dispiace. Voi mi avete chiesto come sapevo qual è il piacere dei pesci: dunque, per farmi questa domanda, sapevate che lo sapevo. Ebbene lo so, standomene qui in riva al fiume!»
Hui Zi è un altro maestro, rappresentante dei sofisti (scuola dei nomi) amico di Zhuang Zi: tuttavia i due hanno posizioni opposte riguardo al linguaggio. Mentre Zhuang Zi non perde occasione di criticarlo, in quanto troppo relativo per farne un valido strumento di riferimento, Hui Zi –rappresentante di una tendenza diffusa nel periodo degli Stati Combattenti, quella dei «logici» - si sforza invece di farne uno strumento ideale di conoscenza.
Un punto comune a tutte le correnti interessate alla questione del linguaggio – in contrasto con la tradizione filosofica greca - è l’assenza di interesse per la definizione come portatrice di significato. Nell’ambito della logica quello che si cerca non è tanto la Verità quanto piuttosto delle norme, dei criteri per guidare la conoscenza e l’azione. Mentre i dialoghi platonici si preoccupano principalmente di formulare le definizioni più esatte per accedere alla vera conoscenza, i cinesi sono invece attenti ad evitare definizioni che, secondo loro, sono limitative ed in ogni caso quello che conta non è tanto il significato teorico che si può dare ad una nozione, quanto il modo con cui questa deve essere utilizzata e vissuta.
Ciò che è messo ironicamente in causa non è più soltanto l’uso che si fa del linguaggio, ma il linguaggio stesso. Per Zhuang Zi il linguaggio non può dirci nulla sulla vera natura delle cose per il fatto che è esso stesso a porre non soltanto i nomi ( 名ming), che diamo alle cose ma al contempo le cose stesse ( 实shi). Cos’è che permette di decidere che qualcosa «è questo» o non lo è? Per Zhuang Zi con una affermazione di tal genere altro non si fa che aprire una prospettiva propria del locutore, che vale soltanto per lui: in tal senso confrontare l’«è questo» di un locutore con l’«è questo» di un altro locutore non ha alcun valore poiché non sussiste un terreno comune di valutazione tra le due prospettive meramente soggettive.
I logici dicevano:
Asserire che nessuna proposizione prevale nell’argomentazione logica non può corrispondere alla realtà: l’argomentazione consiste in questo: l’uno dice che è così, l’altro dice che non è così, e prevale colui la cui proposizione corrisponde alla realtà
Ma Zhuang Zi risponde:
Supponendo che ci mettiamo a discutere, voi ed io, e che voi abbiate la meglio su di me, questo significherebbe che voi avete ragione e io torto? E se sono io ad avere la meglio su di voi, questo significherebbe che sono io ad avere ragione e voi torto? O forse invece avremmo ciascuno in parte ragione e in parte torto? Oppure avremmo entrambi ragione, oppure entrambi torto? E se non siamo capaci di dirimere noi stessi la questione, altri sarebbero ancora più confusi. A chi fare appello come arbitro? Se questo qualcuno è d’accordo con voi o con me, come potrebbe per ciò stesso essere arbitro? E se non è d’accordo né con me né con voi come potrebbe dunque arbitrare? Ma se è d’accordo sia con me sia con voi, l’arbitrato è forse possibile? Così dunque se nessuno – né io né voi né un terzo – è capace di dirimere la questione, potremmo forse ricorrere a qualcun altro?
Zhuang Zi critica quindi il linguaggio, non tanto perché ci fornirebbe una rappresentazione falsata della realtà, ma in quanto il linguaggio non è capace di conoscerla. Zhuang Zi si diverte a mettere le proprie idee in bocca a Confucio sovvertendone il ruolo. La sua critica verso Confucio è feroce: lui aveva detto al suo discepolo Zilu:
«Vuoi che ti insegni cos’è la conoscenza? Sapere che si sa quando si sa, e sapere che non si sa quando non si sa, questa è la conoscenza»
Inoltre aveva affermato di sè nei Dialoghi:
«Io, a quindici anni decisi di dedicarmi allo studio; a trenta anni mi affermai saldamente nella società; a quaranta anni non ebbi più nessuna incertezza; a cinquanta anni compresi il Decreto del Cielo; a sessant’anni seppi ascoltare tutti; a settanta anni, riuscii a seguire i desideri del cuore senza violare le regole» (Dialoghi II-4)
Ed ecco la parodia che ne fa Zhuang Zi:
«A sessanta anni Confucio non aveva fatto altro che cambiare opinione sessanta volte. Ogni volta che aveva cominciato col dire “è così”, aveva poi concluso con “non è così”. Chi sa se per un uomo di sessant’anni la verità non si presenti sotto lo stesso aspetto di ciò che per cinquantanove anni fu per lui un errore?»
In un epoca in cui imperversavano le discussioni tra confuciani, moisti, sofisti, Zhuang Zi ritiene che non vi sia motivo di dare ragione agli uni piuttosto che agli altri. Questo lo induce a chiedersi: la ragione è davvero ragionevole? La ragione analitica funziona sul principio del terzo escluso: la tal cosa «è quella» o non lo è. Ma secondo Zhuang Zi è illusorio pretendere di affermare qualcosa, dato che è possibile, simultaneamente affermarne il contrario.