Autore Topic: Marxist Student Federation-Britain: Marxismo,femminismo e movimento studentesco.  (Letto 1005 volte)

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Offline Stendardo

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Fonte : http://www.marxist.com/marxism-and-feminism-in-the-student-movement-it.htm

Marxismo, femminismo e movimento studentesco
Written by Marxist Student Federation - Britain
Wednesday, 09 April 2014
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Le idee del femminismo godono tradizionalmente di un ampio consenso nelle università, e oggi la loro popolarità tra gli studenti è in costante aumento. In un momento nel quale anche le idee del marxismo godono di una crescente diffusione nel movimento studentesco, qual è l’atteggiamento dei marxisti verso le differenti forme del pensiero femminista? Quanto sono compatibili queste due scuole di pensiero? Quali sono i punti di disaccordo? E cosa significa definirsi "marxista femminista "?

I marxisti, come le femministe, lottano per porre fine all'oppressione sulle donne, anche se considerano questa lotta come parte di una lotta più complessiva contro ogni forma di oppressione. Già nella prima metà del XIX secolo, la socialista utopista Flora Tristan sottolineava come la lotta per l'emancipazione femminile sia indissolubilmente legata alla lotta di classe. Marx ed Engels inclusero alcune delle idee della Tristan nel Manifesto del partito comunista, ed Engels ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, utilizza la prova antropologica per spiegare le origini della oppressione sulla donna e come si possa superare questa oppressione.

Il fondatore del Partito socialdemocratico tedesco, August Bebel, studiò ulteriormente la questione nel suo libro La donna e il socialismo e Lev Trotskij le diede un’ulteriore sviluppo nella serie di saggi La donna e la famiglia. Eminenti figure del movimento socialista come Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e Alexandra Kollontaj dimostrarono nella pratica la capacità della lotta socialista di abbattere i pregiudizi sessisti. Le lavoratrici di Pietrogrado nel febbraio del 1917, le lavoratrici dei fiammiferi di Londra nel 1888, e le mogli dei minatori britannici nel 1984-5 sono alcuni tra i più conosciuti di innumerevoli esempi del ruolo fondamentale svolto dalle donne nella lotta di classe. Ancor più significativo, i risultati ottenuti dai bolscevichi nei primi anni dopo la rivoluzione del 1917 mostrano le grandi possibilità del socialismo per porre fine all'oppressione di genere.

La lotta di classe

Questi ed altri successi pratici del marxismo sulla questione dell'oppressione di genere costituiscono un legame inscindibile tra il movimento operaio e la lotta per il socialismo. Come sottolineano Marx ed Engels: "La storia di ogni società sinora esistita è una storia di lotta di classe".

Lo scontro tra sfruttati e sfruttatori - un rapporto definito dalla posizione di ogni individuo nel processo economico – determina in ultima analisi l'ideologia, le istituzioni e i pregiudizi di ogni data società. È quindi nell'esistenza della società di classe dobbiamo cercare le origini del sessismo, piuttosto che in presunte caratteristiche proprie del genere maschile o femminile. Per questa ragione, in questa guerra di classe i marxisti si schierano a fianco degli sfruttati, per opporsi alle condizioni di sfruttamento e alle varie forme di oppressione (ivi compresa quella di genere) create da tale sfruttamento.

In che modo la moderna forma di società di classe - il capitalismo – perpetua il pregiudizio sessista e l'oppressione di genere? Il capitalismo si basa sulla famiglia come unità economica fondamentale e pertanto favorisce l'oppressione sociale delle donne per ottenere manodopera domestica gratuita. Esso utilizza anche le donne come manodopera a basso costo per ridurre i salari e le condizioni di tutta la classe operaia.

Il socialismo invece consentirebbe la socializzazione del lavoro domestico e impedirebbe lo sfruttamento tramite il lavoro salariato - come è stato dimostrato in Russia dopo il 1917. In altre parole, la lotta per il socialismo elimina le basi materiali dell'oppressione di genere. Questa lotta può essere portata avanti solo dalla classe operaia nel suo insieme, grazie al suo ruolo fondamentale nella produzione: perciò i marxisti partecipano alla lotta di classe, intervenendo nei movimenti e nelle organizzazioni di massa dei lavoratori e dei giovani, per porre fine allo sfruttamento del proletariato e all'oppressione sulle donne.

Discriminazione positiva

Questo atteggiamento verso sindacati, partiti politici, organizzazioni studentesche e altre organizzazioni della lotta di classe non è condivisa da alcune femministe. Ad esempio, Anna Coote e Beatrix Campbell, nel loro libro Sweet Freedom: The Struggle for Women’s Liberation (La dolce libertà: la lotta per la liberazione delle donne) descrivono i sindacati come parte del "sistema patriarcale" e definiscono lo sciopero una “obsoleta pratica vertenziale". Invece di battersi perché i lavoratori in quanto classe possano ottenere una quota più consistente della ricchezza sociale, Coote e Campbell vogliono semplicemente la parità di retribuzione tra uomini e donne. E anziché contestare la burocrazia sindacale, che soffoca i tentativi dei lavoratori di ottenere migliori retribuzioni, si limitano a chiedere più burocrati donne.

Molti degli organismi dirigenti di queste organizzazioni sono in effetti dominati dagli uomini, un ovvio riflesso dell'oppressione di genere nella società nel suo complesso. Molte femministe vedono quindi la presenza di un numero uguale di uomini e donne ai vertici di queste istituzioni come un mezzo per promuovere la parità di genere (una politica fortemente voluta da Harriet Harman, vicepresidente del partito laburista). Il risultato è una spinta alla discriminazione positiva nei sindacati e partiti, con quote rosa nelle cariche elettive e una certa quantità di tempo di parola riservato alle donne nelle riunioni.

Ma simili metodi non fanno che capovolgere il problema: non è il predominio maschile nelle organizzazioni di massa che alimenta l'oppressione di genere - è il pregiudizio sessista insito nella società di classe che porta ad una simile predominio. I sindacati, unendo la classe operaia, possono essere utilizzati per distruggere la società di classe e sono quindi un mezzo per eliminare l'oppressione sulle donne. Creare un modello di sindacato ideale, "puro" e libero da pregiudizi sessisti, non può essere un fine in se stesso - in realtà un tale modello di sindacato non potrà mai esistere fintanto ché la società nel suo complesso non sia fondamentalmente cambiata.

Inoltre, questi metodi possono essere addirittura controproducenti: sindacati e partiti politici possono essere armi efficaci contro l'oppressione di genere ed altri pregiudizi solo se guidati da attivisti della classe operaia dediti alla causa, e che portino avanti politiche socialiste - qualità che non sono esclusive né degli uomini né delle donne.

Per raggiungere questo obiettivo, i dirigenti devono essere eletti in base alla loro politica e non al loro genere, e i dibattiti devono essere risolti in base al contenuto politico degli interventi e non al sesso dell’oratore. La politica di Margaret Thatcher non era funzionale agli interessi del suo genere, ma a quelli della sua classe, e lo stesso dicasi per Angela Merkel o per Christine Lagarde del FMI. Le loro idee non significano che miseria per tutti i lavoratori e per le donne in particolare, e non giovano certo di più alla classe operaia perché sostenute da una donna invece che da un uomo.

Come sa ogni attivista - e come la storia ha dimostrato - vincere la lotta politica perché le idee rivoluzionarie si affermino nelle organizzazioni di massa dei lavoratori non è facile: occorre un lavoro paziente e solido di convinzione e di chiarimento delle idee politiche attraverso salde basi teoriche. Ogni passo verso le idee socialiste rivoluzionarie nelle organizzazioni della classe operaia è una conquista preziosa.

Chi sostiene le politiche di discriminazione positiva pongono a rischio questo lavoro sostituendo gli obiettivi socialisti ed i metodi necessari per raggiungerli con obiettivi legalitari e metodi di parità di genere formale, privi per loro natura di chiarezza politica e di base teorica. È la differenza tra una lotta politica per le idee che possono emancipare la classe operaia nel suo insieme e una lotta per la riorganizzazione della burocrazia interna di sindacati e partiti. Una ha evidentemente il potenziale rivoluzionario di cambiare radicalmente la società, mentre l'altra non offre altro che migliori prospettive di carriera a pochi potenziali burocrati. Questi metodi di lotta sono del tutto differenti e non complementari – il secondo non può che essere contrastato dal primo.

Come marxisti non ci interessa la struttura organizzativa della burocrazia sindacale: ci interessa conquistare alle idee del socialismo la base degli studenti e dei lavoratori, dei quali la burocrazia è esattamente l'antitesi. Essa agisce come freno al movimento, rendendo le organizzazioni dei lavoratori meno sensibili all’evoluzione della coscienza e alle stesse esigenze dei lavoratori, allontanando i funzionari dalle condizioni di vita della gente comune.

Oggi basta guardare la leadership dei sindacati, (o in particolare quella del Partito Laburista) per vedere questo processo in atto: tale ruolo della burocrazia non è dovuto alla sua composizione a maggioranza maschile, ed essa non cesserebbe di essere d’intralcio al movimento semplicemente con più donne alla guida. Impegnarci in una campagna per una "burocrazia migliore" non farebbe quindi che nuocere direttamente alla nostra lotta per le idee rivoluzionarie del socialismo e per l'emancipazione femminile e di tutti i lavoratori.

Le campagne di sensibilizzazione

Ma sono poche a sostenere che la discriminazione positiva sia tutto quanto occorra per raggiungere la parità di genere. In realtà molte femministe, come l’editorialista Laurie Penny, sono propense ad ammettere che la soluzione richieda un cambiamento radicale della società lungo linee di classe. Tuttavia, la Penny ed altre teoriche sostengono che va comunque bene affrontare i sintomi del problema senza attaccarne la causa principale, perché, in ogni caso, questo aumenta la consapevolezza sull’oppressione di genere. Tale è l'argomentazione alla base di Everyday Sexism, No More Page 3 (Il sessismo quotiiano, mai più pagina 3) o di altri progetti simili, non finalizzati a risolvere il problema dell'oppressione o della mercificazione della donna, ma soltanto a campagne di sensiboilizzazione o ad ottenere piccole vittorie in specifiche battaglie.

Il problema di tali campagne è che spesso seminano illusioni in metodi ed idee che in realtà non offrono alcuna reale soluzione. Dire semplicemente alla gente che le donne sono oppresse non è sufficiente a impedire l'oppressione. Una campagna di sensibilizzazione è efficace solo come parte di una lotta di massa per risolvere effettivamente il problema. Mentre non mancano studiose e giornaliste femministe impegnate nella sensibilizzazione sui problemi di genere e piene di idee su come risolvere tali problemi, ci sono pochissimi esempi di lotte di massa per affrontarne la causa principale. Esistono solo progetti monotematici, come la lotta al sessismo nei media o nella musica, senza alcuna prospettiva su come combattere l'oppressione nel suo complesso.

E questi progetti a tema ristretto possono addirittura essere supportati da punti di vista estremamente reazionari, come ad esempio quello dell’ideatrice della No More Page 3 che descrive il Sun (quoditidano scadalistico inglese) come un giornale di cui andar fieri e che potrebbe essere ancora migliore con la rimozione di pagina tre, nonostante il livore razzista, omofobo, sessista e anti-operaio che riempie tutte le altre pagine. (la pagina tre del Sun è quella tradizionalmente dedicata a immagini di nudo femminile, ndt) L’illusione che simili campagne possano realmente risolvere i problemi può sviare attivisti in gamba dalla lotta per la trasformazione rivoluzionaria della società .

Attendere la rivoluzione ?

Questo però non significa certo che i marxisti sostengano che le donne debbano solo aspettare la rivoluzione socialista perché il sessismo possa essere messo in discussione. È attraverso l'unità della classe lavoratrice sulla base di una comune posizione di classe indipendente da genere, razza od orientamento sessuale, e con la lotta per le mete comuni del socialismo che si abbatte il pregiudizio. La lotta per il socialismo si basa sul potere dei lavoratori – non maschi o femmine, ma tutti i lavoratori. In questa lotta ogni lavoratore ha un ruolo fondamentale e una vittoria dei lavoratori di sesso maschile sarà impossibile senza una eguale lotta da parte delle lavoratrici. Il sistema economico socialista rende impossibili le basi materiali per l'oppressione di genere, e la lotta per instaurarlo abbatterà i pregiudizi sessisti dimostrando nella prassi l'uguaglianza tra uomini e donne.

Ad esempio, durante lo sciopero dei minatori britannici, è stato dopo aver sentito i discorsi infuocati delle mogli dei lavoratori - testimonianza del loro coraggio di fronte alla brutalità della Thatcher, e basandosi sulla loro capacità di raccolta fondi, che le organizzazioni dei minatori a guida maschile hanno deciso di rimuovere le connotazioni sessiste dalla proprie pubblicazioni. Le donne ora erano viste come attivisti proletari combattivi che incutevano rispetto, e in grado di esigere parità di trattamento. Tale psso in avanti non è stato raggiunto semplicemente parlandone, ma costruendo attivamente una organizzazione di proletari, uomini e donne, che lottano per i propri diritti.

I marxisti non si illudono che, fatta la rivoluzione, vivremo da subito in un’ utopia priva di oppressione. Le tradizioni del passato pesano come una montagna sulla società moderna: la società di classe e l'oppressione di genere sono esistiti per quasi 10 mila anni e non possono essere eliminati in un batter d'occhio. Occorre un cambiamento radicale della struttura sociale, un capovolgimento totale del sistema, non una riverniciatura superficiale: solo così possiamo sperare di rimuovere questo cumulo di tradizioni putrescenti, e questa è precisamente la definizione di rivoluzione socialista - un processo permanente che ci permette di costruire un mondo libero dai vecchi pregiudizi.

È quindi compito di tutti coloro che vogliano opporsi all'oppressione di genere lottare per politiche socialiste e campagne rivolte alle masse nel movimento operaio e studentesco. L’emancipazione del proletariato e l' uguaglianza di genere si incontrano entrambi sulla via dell'unità della classe operaia e della rivoluzione socialista.

Intersezionalità

L’intersezionalità è una scuola di pensiero derivata dal femminismo, che ricorda come tutte le forme di oppressione siano interconnesse e quindi ogni persona sperimenterà forme diverse di oppressione in modi diversi a seconda di come esse siano collegate rispetto a quel particolare individuo. Ad esempio, l'oppressione vissuta da una donna della classe operaia nera è diversa da quella vissuta da un maschio gay bianco, che è ancora diversa da quella di una persona “semplicemente” disabile, e così via. Questa osservazione, in sé, è evidentemente corretta.

Queste idee non sono recenti, ma sono state sviluppate in modo significativo da Kimberle Crenshaw nei primi anni ‘90 e ulteriormente approfondite dalla sociologa Patricia Hill Collins.

Chi sostiene questa analisi dell’oppressione è quindi contrario a separare alcuni gruppi dal movimento nel suo complesso sulla base di genere, razza, orientamento sessuale e così via. Inoltre questa scuola introduce il concetto di classe come importante strumento di analisi della società e quindi, in generale, sembra essere più vicina alle idee del marxismo di molte femministe tradizionali, e infatti la Collins si definisce appartenente alla tradizione del “femminismo marxista”.

In realtà, però, l’intersezionalità riduce l'oppressione ad un'esperienza individuale che può essere compresa solo da colui che la subisce. Questo perché ogni persona sperimenterebbe l’oppressione in maniera univocamente diversa e quindi sarebbe soltanto il soggetto stesso a conoscere il modo migliore per combatterla. Un simile individualismo fraziona i movimenti di massa in individui atomizzati, ciascuno impegnato nella sua propria lotta specifica alla quale gli altri possono contribuire con ben poco oltre un sostegno passivo. Per questo l’intersezionalità appare nel movimento studentesco perlopiù come un semplice metodo di analisi: esso può offrire molto poco alla costruzione di un movimento di massa per il cambiamento reale.

L’intersezionalità non riesce ad apprezzare la differenza qualitativa tra l'esperienza della classe operaia (che ovviamente include sia uomini che donne) e l'esperienza di tutte le donne. I lavoratori non sono solo oppressi - sono sfruttati in quanto classe per il profitto della borghesia. Le donne non sono sfruttate economicamente come classe, perché non tutte le donne appartengono alla stessa classe. Le donne sono oppresse dal capitalismo per permettere un maggior sfruttamento della classe operaia .

Così i marxisti sostengono che l’intersezionalità sbaglia nel considerare classe e genere come fattori equivalenti per comprendere i problemi della società. Il capitalismo è motivato dalla ricerca del profitto attraverso lo sfruttamento dei lavoratori - la società sotto il capitalismo si muove quindi nel solco della lotta di classe. L'oppressione di genere è una conseguenza di questo sfruttamento e può essere combattuta solo come parte della lotta per l'emancipazione della classe operaia. Mentre l’intersezionalità offre un isolato individualismo, il marxismo propone l'unità della classe operaia.

Femminismo e rivendicazioni democratiche

Le prime idee femministe moderne si svilupparono intorno a figure come Mary Wollstonecraft e rivendicavano i diritti democratici: il diritto di voto, il diritto all'aborto, il diritto al lavoro e il diritto alla parità di retribuzione. Mentre in molti paesi questi diritti sono ancora da conquistare, in Gran Bretagna non vi è ormai quasi nessuna normativa che discrimini attivamente le donne: l’uguaglianza di fronte alla legge è stata ampiamente raggiunta.

Eppure, nonostante l’ampio conseguimento dei diritti democratici. le donne subiscono ancora discriminazioni e oppressione. Così le femministe moderne - da Harriet Harman a Laurie Penny – chiedono misure legislative che vadano oltre la parità giuridica formale (ad esempio la discriminazione positiva) o misure volte non ad introdurre nuovi diritti ma a sensibilizzare sui diritti già formalmente esistenti.

I seri limiti di tali politiche sono già stati sottolineati. I marxisti spiegano che le richieste di queste correnti femministe sono richieste democratiche – è quello che chiedono i democratici borghesi: un mondo nel quale uomini e donne godano degli identici diritti di essere oppressi e sfruttati dal capitalismo.

Non solo quest'uguaglianza di genere è impossibile sotto il capitalismo, ma anche come idea utopica non è particolarmente stimolante. Le femministe borghesi vogliono più donne nei consigli d’amministrazione, le marxiste vogliono abolire i consigli d’amministrazione. Alcune femministe vogliono semplicemente che uomini e donne condividano equamente i lavori domestici, le marxiste vogliono socializzare i lavori domestici ed eliminarne la funzione di lavoro in proprio non retribuito.

Come per tutte le rivendicazioni democratiche, i marxisti sostengono le rivendicazioni del movimento delle donne. Tuttavia, dobbiamo sottolineare i limiti della semplice lotta per le rivendicazioni democratiche sconnesse dalla questione della rivoluzione socialista: non dobbiamo lasciare che la discussione su questioni particolari svii la lotta dalla questione più complessiva della trasformazione socialista della società.

Ad esempio Clara Zetkin – la comunista tedesca che tra l’altro istituì la Giornata Internazionale delle Lavoratrici – ricorda un incontro con Lenin nel 1920, dove discussero approfonditamente della questione femminile. Lenin si congratulò con lei per la sua opera di educazione dei comunisti tedeschi sulla questione dell’emancipazione femminile. Tuttavia poi egli sottolineò che in Russia c’era stata una rivoluzione che dava l'opportunità pratica di gettare le basi per una società libera dall'oppressione di genere; e in simili circostanze, spiegò, era sbagliato dedicare così tanto tempo ed energie a discussioni su Freud e la sessualità: perché spendere tempo a discutere gli aspetti più sottili della sessualità e delle forme storiche del matrimonio mentre la prima rivoluzione proletaria del mondo stava lottando per sopravvivere?

Questo è un esempio di comprensione marxista del femminismo e delle sue esigenze: i problemi propri delle donne della classe operaia possono essere utilizzati per elevare la coscienza della classe operaia nel suo insieme, illustrando l'oppressione delle donne sotto il capitalismo e la necessità per il socialismo per combatterla. Ma non possiamo permettere che la lotta per la liberazione delle donne sia un movimento isolato che divida la classe operaia. I marxisti usano la bussola dell’unità della classe operaia ed hanno per guida la necessità di portare avanti la lotta per il socialismo.

In nazioni come la Gran Bretagna, le rivendicazioni democratiche borghesi del femminismo hanno raggiunto i propri limiti, ed è ormai normale trovare all’interno del movimento operaio e studentesco discussioni organizzative relative al genere utilizzate per distogliere l'attenzione dalla necessità di una discussione sulle questioni politiche .

Di fronte al più ampio calo del tenore di vita dal 1860, gli studenti e i lavoratori devono organizzare manifestazioni, proteste e scioperi per difendere il loro tenore di vita. E tuttavia, come ben sapranno molti di coloro che sono stati presenti ad assemblee studentesche o riunioni di attivisti, un sacco di tempo è dedicato a discussioni sugli spazi garantiti o sull'uso appropriato dei determinativi grammaticali di genere, e a dibattiti sulle percentuali di composizione di genere dei rappresentanti eletti e su quali canzoni siano sufficientemente misogine da meritare il bando.

Se, invece, queste organizzazioni e movimenti discutessero e si impegnassero in campagne per la conquista di un numero sempre maggiore di paersone alle idee del socialismo e sullo sviluppo di una lotta ai feroci attacchi dell’austerità (tra l'altro particolarmente pesanti proprio per le donne), allora sarebbero in grado di unire studenti e lavoratori in quella stessa lotta, senza distinzioni di genere, razza, orientamento sessuale o altro. In questo tipo di lotta ogni persona svolge un ruolo vitale, e non ci sono particolari attributi fisici più o meno preferibili nella lotta per il socialismo. È nel culmine della lotta di classe che scompaiono i pregiudizi.

"Marxista femminista"

Molte giovani, come reazione a ciò che correttamente identificano come il sessismo di molte organizzazioni politiche – comprese anche alcune della sinistra - si autodefiniscono “marxiste femministe” per sottolineare il loro impegno tanto per l'emancipazione femminile che della classe operaia. Questo fenomeno è stato particolarmente diffuso negli Stati Uniti dalla fine degli anni ‘60, dove faceva riferimento a personaggi come Gloria Martin e Susan Stern dell'organizzazione Radical Women.

Tuttavia, per un vero marxista, l'aggiunta del termine "femminista" alla nostra designazione ideologica non aggiunge nulla alle nostre idee. Come abbiamo spiegato, non è possibile essere un marxista senza combattere per l'emancipazione delle lavoratrici e di tutti i gruppi oppressi nella società. Si potrebbe anche chiamarsi "femminista marxista antirazzista", perché anche la lotta contro il razzismo, come la lotta per l'emancipazione femminile, è parte integrante della lotta per il socialismo. Ed è una vergogna che certi elementi di sinistra sembrino dimenticare questo principio di base della teoria marxista.

Per questo motivo l'aggiunta del termine "femminista" è inutile e non scientifica. In realtà può essere addirittura controproducente perché, come spiegavamo, alcune idee femministe – ad esempio la discriminazione positiva – in realtà contribuiscono a frenare l’unità della classe operaia e la lotta per il socialismo. L'introduzione di queste idee contrastanti nella teoria marxista può servire solo a confondere e disorientare. Infatti ci sono marxisti che si interessano particolarmente alla questione femminile proprio come ci sono marxisti che si interessano alla questione ambientale o a quella nazionale, e quindi sarebbe sbagliato focalizzarsi su questo interesse fino ad esagerarne l’importanza relativa rispetto ad altri aspetti del marxismo .

Un linguaggio preciso è importante perché la lingua è il mezzo col quale comunichiamo le nostre idee agli altri. Se non ci esprimiamo con chiarezza, le nostre idee non possono essere divulgate in forma corretta. Ma è anche fondamentale non attaccare alle parole indebite zavorre od etichette. Ciascuno può descrivere la propria ideologia come gli piace, ma sono le azioni e non le parole che definiscono realmente un’opinione politica. Questo è il punto di vista dei marxisti, i quali hanno compreso che i lavoratori non vedono il mondo in termini di teorie astratte, ma come risultato di azioni concrete.

Questo contrasta con quella corrente del femminismo, sintetizzato dalle idee di Judith Butler, che sostiene che la lingua "maschilista" è, in qualche modo, una delle cause dell'oppressione di genere. Ad esempio, riferendosi ad una persona indeterminata molti scrittori usano il pronome "lui": alcune femministe sostengono che questo opprime le donne e che se soltanto si utilizzassero più spesso pronomi femminili o indeterminati, questo contribuirebbe in qualche modo a porre fine a tale oppressione.

Ancora una volta si capovolge completamente il problema: l'uso della cosiddetta lingua "maschile" è un riflesso dell'oppressione di genere nella società di classe, ed è inutile cercare di rimuovere tale riflesso senza voler rimuovere l'oppressione stessa. Il risultato di un tale sforzo consiste in un mucchio di saggi, libri e conferenze di sensibilizzazione sulla necessità di cambiare il nostro modo di parlare: opere lette perlopiù soltanto da altri accademici e prive di qualsiasi impatto sulla coscienza delle masse. Invece di fare discorsi su come parlare, i marxisti si impegnano in una lotta pratica che sradichi dalla società ogni genere di oppressione. Questa è la differenza tra femminismo accademico e socialismo rivoluzionario.

Lotta contro l'oppressione di genere! Lotta per il socialismo!

I giovani, soprattutto universitari, sono spesso profondamente interessati a esplorare le nuove idee e i nuovi concetti coi quali entrano in contatto. L’attuale crisi ha stimolato anche un numero senza precedenti di giovani alla ricerca di idee che sfidino lo status quo: per questo oggi le idee del marxismo sono sempre più popolare tra gli studenti, e lo stesso motivo spiega l'attrazione esercitata dal pensiero femminista.

I marxisti saranno sempre al fianco di chiunque voglia lottare per un mondo migliore, in particolare a chi si avvicina per la prima volta alle idee e all’attività politica. Ma è necessario anche mantenere un atteggiamento fermo nei confronti delle richieste democratico - borghesi del femminismo accademico: la nostra è una posizione di classe che non ha nulla in comune con chi non desidera nient’altro che una parità di sfruttamento sotto il capitalismo. Noi siamo per la totale unità della classe operaia e la lotta per il socialismo, perché questo è l'unico modo in cui i pregiudizi possono essere eliminati, e la sola base materiale sulla quale si possa edificare una società realmente paritaria e senza classi.

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Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti (Winston Churchill) https://storieriflessioni.blogspot.it/ il blog di Jan Quarius