Riporto una sintesi di un articolo di Dal Bosco, con cui sono parzialmente d'accordo. Che ne dite?
Requiem per una bestia cattiva
Mamma orsa è morta. L’unico problema è che ora ci tocca vivere con questo piagnisteo ecumenico, che spaventa oltre ogni limite. Va bene per i «nazimalisti» più estremi (sono più di quanti si creda, e sono pericolosi), a cui vanno fatti i complimenti per essere riusciti a trasmettere ai giornali nazionali un mirabile neologismo: «orsicidio».
In realtà, è la politica quella che preoccupa. Vaghe, balbettanti stelle del firmamento socio-mediatico-politico vogliono proteggere l’Orsa. Tutti i partiti dell’arco costituzionale hanno fatto la garetta dell’indignazione. La Brambilla, una nazimalista prestata ad Arcore, ha tuonato. Beppe Grillo, che regna (?) su di un partito in cui si discute di «matrimoni interspecifici, purché consenzienti» ha postato la sua condanna lapidaria: «Chi è la bestia? Vogliamo giustizia». Gli omoecologisti di Vendola non potevano sottrarsi, né il PD, che per statuto deve rincorrere le etichette sugli scaffali della Feltrinelli ed ogni altra paturnia goscista. Mi ferisce la reazione di Salvini, che trova anche lui parole di giustizialismo mammifero: «Vergogna! Qualcuno deve pagare».
L’idiozia del Corriere, che per penna di Danilo Mainardi arriva a titolare un editoriale «La mancata convivenza è il nostro fallimento» ci fa capire che neppure i lì stanno conservando un barlume di ragione. Convivenza? Tipo, che sono convivente del mio cane? Tipo, quando mi morì il pesce rosso da ragazzino, fu una convivenza fallita? Un pescicidio? Un femminicidio (parola invocata per Daniza), se la creatura fosse stata femmina (mai controllai, ammetto)?
Ma a che livello di demenza siamo arrivati?
La mucca Carolina e la vendetta di Cappuccetto Rosso
Mamma Orsa è morta accidentalmente, è questa la vera tragedia. Non è con i dardi narcotizzanti che un’umanità razionale si dovrebbe rapportare ad una belva feroce che attacca l’uomo per sbranarlo. Daniza, che era naturalmente appartenente al territorio al punto da avere un nome straniero, non era una minaccia potenziale: era un pericolo reale. L’orsa aveva attaccato e ferito un fungaiolo la cui unica colpa era quella di andare a porcini in un luogo ritenuto da secoli famigliare e sicuro. L’uomo è riuscito a divincolarsi e scappare dalla furia della fiera. Sui giornali qualcuno è arrivato ad accusare il malcapitato di aver provocato la creatura, che, poverina, stava solo difendendo i suoi cuccioli: cioè il pericolo di morte che si moltiplica. Prima ancora che Mamma orsa spirasse, il povero sventurato, che ora impaurito si rifiuta di rilasciare dichiarazioni, fu coperto di insulti e perfino di minacce: come aveva osato, lui, invadere la terra dell’orsa (!?!). Dopo la morte, le minacce si sono fatte ancora più violente.
Che gli animalisti vogliano uccidere un uomo per salvare una bestia feroce possiamo anche capirlo… Ma ai coerentissimi animalisti, nel difendere una bestia che ammazza altre creature senza fare tanti complimenti, vorremmo domandare: alle povere mucche, qualcuno ci pensa? Alle capre, alle galline, ai danni accertati che queste irsute creature provocano agli allevamenti?
C’è da capire che questa logica anti-umana non è niente di nuovo, si tratta di un ennesimo esempio della regressione agli animali totemici, quelli che i primordi veneravano per i loro poteri violenti. Perché è chiaro che è un principio di morte che qui si sta adorando: non solo degli uomini, ma delle creature inferiori (mucche, capre, cani) fatte a pezzi dai plantigradi o dai lupi.
L’estremismo animalista da sempre teorizza, talvolta in modo strisciante, talvolta no, questa libertà ferale come strumento di sterminio della popolazione umana: «La vera liberazione animale chiede nientemeno che il ritorno della specie umana ai confini pre-invasione: 50 milioni di persone» ha scritto Ronnie Lee, fondatore del British Animal Liberation Front, desideroso di far fuori 6 miliardi e 950 milioni di uomini a vantaggio delle bestie, confinate – secondo questo pensiero – dall’invasione umana della Terra.
L’ONU delle belve omicide
In questa ondata di follia iper-animalista ci troviamo di fronte all’attuazione di un piano anti-umano. Per capirlo ulteriormente può essere utile la lettura della storia di Rosa Koyre, così come viene descritta nel suo libro Behind the Green Mask: UN Agenda 21. Un documento prezioso, e per nulla fazioso, per capire la magnitudine della pazzia ecologista lanciata dalle istituzioni sovranazionali e soprattutto il suo impatto sensibile nella nostra vita di tutti i giorni.
La Koyre nella vita lavora in ambito immobiliare a Santa Rosa, non lontano da San Francisco. Durante il suo lavoro immobiliare si accorge che le vengono concessi ben pochi progetti di costruzione al di fuori dei conglomerati urbani. Osserva come strade di campagna vengano abbandonate, non più asfaltate, diventando così piste sabbiose nel giro di pochi anni. Invece che costruire villette a schiera nelle classiche ricche suburbie americane, le garantiscono permessi esclusivamente per abitazioni composte da piano terra commerciale ed appartamenti al primo piano. Andando a interrogarsi più a fondo, la Koyre si rende conto che dietro a tutto questo c’è un primo, evidente segno dell’attuazione dell’Agenda 21, ovvero quel programma ONU per lo «sviluppo sostenibile», propedeutico alla riduzione della popolazione terrestre. Ovvero l’ecofascismo formato Nazioni Unite, firmato da quasi tutte le nazioni del globo già al Summit di Rio del 1992.
Il fine di Agenda 21 – dice la Koyre – è quello di schiacciare la popolazione nelle grandi città, e rendere il resto della Terra inospitale, “non collegato”. Il ciclo della vita deve avvenire nel giro di pochi metri. Si produce nel palazzo a fianco, se non a casa con il computer. Il cibo nel mini market al piano di sotto. Per spostarsi, al massimo, la bicicletta (di qui il potere crescente dei gruppi di pedalatori, improvvisamente divenuti cool).
Le belve feroci, sostiene la Koyre, rientrano nello schema di questa “nuova urbanizzazione” forzata. Chi mai si avventurerebbe fuori dalla città – per vivere, coltivare, riprodursi nella natura – se qui si rischia di venire divorati come nella preistoria?
L’esempio materiale lo offre Ted Turner. Padrone della CNN, ex di Jane Fonda, miliardi donati all’abortismo mondiale. Turner sta comprando vaste zone di territorio americano per riempirle di bestie feroci: «l’idea è quella di riportare le specie nell’ambiente è creare corridoi attraverso il continente per la loro sicura migrazione. Suona bellissimo, no? Ted Turner, il miliardario media mogul, possiede migliaia di acri in Montana e sta apparentemente rilasciando lupi ed orsi nella sua terra per ripopolarla (...) i lupi sono di una razza canadese (...) di cacciatori feroci: due lupi possono tirare giù un cavallo o un alce. Attraverso la nazione, in città vicino agli spazi aperti, più leoni di montagna, orsi, coyote, coguari e bobcat stanno giungendo nelle zone abitate». I picnic delle famigliole in station wagon sono, come dire… sconsigliati.
È l’ennesimo volto del paradigm shift in atto. Violento, assoluto – e noi cretini ce lo beviamo come nulla fosse. La guerra all’umano – principio cardine dell’estremismo animalista come quello dell’Animal Liberation Front – ora è un pensiero mainstream per l’opinione pubblica bipartizan, e una realtà materiale per l’ONU e l’Europa ed i Ministeri che con il nostro denaro riempiono i nostri boschi di pericoli mortali, di mostri che vogliono uccidere noi, i nostri figli e perfino i nostri animali.
Il recupero della caccia, che andrebbe impartita ai giovani da sùbito, potrebbe essere un primo passo per far fronte a questa follia:
«Nel fatto universale della caccia si manifesta, come ho già notato, un mistero affascinante della Natura: la gerarchia inesorabile degli esseri viventi». (Il discorso sulla Caccia, Ortega y Gasset).
Che il mondo ora la pensi diversamente è la vera tragedia del nostro tempo. È la gerarchia dell’essere, che sta andando al Diavolo, letteralmente: sopra non c’è più l’uomo. Sopra, c’è l’orsa Daniza.