Massimo, la smettiamo di santificare questa Fikasicula? Dopo aver "parlato e scritto" qui, Fikasicula non è cambiata tantissimo... Si è soltanto adattata ai nuovi dogmi dei padroni. E NON HA MAI CHIESTO SCUSA O SI E' DISSOCIATA DA CERTE AFFERMAZIONI.
Controlla le date e per favore, le stronzate non le dire a me. Io adesso ti riporto i FATTI. Io non mi sento simile ad una che CONTINUA A SPUTARE MERDA SUGLI UOMINI, SULLE SENTINELLE IN PIEDI. Per non parlare di quando ha scritto sui NAPOLETANI (adesso pare non recuperabile il post "Pornopartenopei" su Femminismo a Sud).
Scegli bene il campo e gli amici. Buona lettura Massimo.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/05/adozioni-gay-gli-omofobi-non-provino-a-gestire-i-nostri-uteri/1050773/Due genitori in lacrime, emozionatissimi e a petto nudo, per favorire il contatto “pelle a pelle”, fondamentale per stabilire il primo legame tra genitore e figlio. Sono BJ Barone e Frankie Nelson, coppia gay canadese, immortalata dalla fotografa Lindsay Foster nel momento della nascita del loro bambino, partorito da una mamma “in affitto”. Lindsay Foster pubblica la foto sulla sua pagina facebook e i commenti sono incredibili. L’offesa, l’omofobia, la voglia di linciaggio si avvertono lontano un miglio.
Lei è costretta a giustificare il fatto che il torace scoperto non è segno di tendenza alla pedofilia, no. C’è chi ritiene perfino che dare del pedofilo a un gay sia una “opinione” invece che l’infamante offesa che è. C’è chi non tollera in generale i gay, le coppie gay e figuriamoci se tollera che i figli siano amati e allevati in famiglie omogenitoriali. Perché tutto ciò sarebbe contro natura ed ecco che al coro degli omofobi, i cultori della famiglia “naturale”, spesso antiabortisti, si uniscono quelli che, dopo aver immaginato il corpo delle donne come entità riproduttiva privata di libertà di scelta, poi si scoprono perfino portavoci di presunti diritti delle madri.
Chi scrive che la madre privata del figlio soffrirebbe, chi dice che l’attaccamento alla madre è cosa che ti spezza in due, chi racconta di istinti e cose che attengono più alla cultura che alla biologia, e da lì in poi l’esaltazione del materno viene resa in ogni battuta, commento, dichiarazione, a cura di un contesto che vorrebbe conservare i ruoli di genere per quelli che sono nella testa, forse, di un qualunque politico conservatore di turno.
Poi ci sono i commenti in femministese e trovo veramente inquietante la coincidenza tra alcune opinioni di donne, sedicenti femministe, e quelle di omofobi e paternalisti. Si parla di mercificazione del corpo delle donne, ancora, perché il problema sarebbe l’utero in affitto. Ovvero queste donne, dopo mille anni in cui si parla laicamente di banche di ovuli, banche del seme, procreazione eterologa e cose del genere, decidono che la donna può scegliere ma solo entro certi confini etici.
Se una donna vuole donare un ovulo lo può fare. Se un uomo vuole donare il proprio seme lo può fare. Se una donna vuole affittare l’utero è libera di farlo. Piazzare su questo un cappello etico, imporre una visione morale, raccontando che sarebbero tutte quante vittime del mercato, a me pare una grande ipocrisia. Ancora una volta si decide che in nome della tutela del corpo delle donne quelle donne non sarebbero in grado di scegliere per sé. Ancora una volta c’è chi vorrebbe imporre proprie leggi per limitare le nostre azioni e impedire le nostre scelte, come se fossimo tutte idiote, imbecilli, incapaci di intendere e volere.
A decidere per noi non possono essere né queste donne, alle quali nulla è imposto, né quegli uomini che pensano di avere potere di gestione sui nostri uteri. Nessuno può e deve obbligarci a fare figli se non li vogliamo o vietarci di farli quando lo scegliamo. E in ogni caso, se l’obiettivo è quello di impedire a due gay di avere dei figli: non giocate questa partita a limitazione delle scelte altrui, ancora una volta sulla pelle delle donne. Non in nostro nome. Grazie.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/17/femminicidi-a-pioggia-e-listeria-collettiva/1031088/I femminicidi arrivano a pioggia, uno dietro l’altro, e i media capiscono l’andazzo e rintracciano altro sangue e altre ferite da mettere in prima pagina. Fa audience.
La pioggia di femminicidi porta con sé, purtroppo, l’isteria collettiva, la psicosi, la logica dell’emergenza, la galvanizzazione della massa a cura di talune che approfittano per gettare fango su tutto un genere, quello maschile, e raccontare ricette improbabili che dovrebbero risolvere storie terribili.
La pioggia porta con sé anche la speculazione, a volte, perché le vittime costituiscono un business, un brand, per chi ne fa un tema attraverso il quale beccare un po’ di popolarità, pornomostruosità per pornoindignazione, e diventano anche il mezzo attraverso il quale toccare molle emotive di tutta quella gente che sarà guidata al linciaggio in direzione di quella o la tal’altra etnia, un pogrom nel campo rom, una ronda contro gli stranieri, qualche rigo per dire agli uomini che sarebbero tutti infantili, egoisti, delle merde.
Mettiamola così: c’è la cultura del possesso, quella di chi ritiene di poter disporre della vita dei familiari di cui liberarsi quando diventano un peso. Tanto è roba mia, ne faccio quel che voglio. Poi vado a guardare la partita, simulo un furto, la zona è isolata, potrebbe essere stato un immigrato di passaggio, questa fu la balla raccontata dal femminicida di Perugia, da quello di Bologna e da chissà quanti altri, magari immagino di diventare protagonista di una fiction, un po’ come fece anche l’assassina di Sarah Scazzi, arriveranno le televisioni, è un caso nazionale dopotutto, allora io sarò il vedovo affranto, forse quella collega che non mi caga affatto domani si accorgerà di me, e via delirando si finisce per raccontare che il divorzio non era sufficiente perché con il divorzio comunque resta il carico dei figli.
Le riflessioni che leggo in giro secondo me sono a volte altrettanto deliranti: c’è chi dice che il male resta nell’uomo. Dunque è genetico? E la soluzione preventiva quale sarebbe? Sterminare i maschi alla nascita? Sottoporre tutti ad un lavaggio del cervello? Farli crescere con un gran senso di colpa e fare del ruolo della “donna/vittima” uno status che ci garantisce di poter fare, dire, decidere e immaginare qualunque cosa?
Consiglio a tutte di leggere la Critica della Vittima di Daniele Giglioli, Edizioni Nottetempo, per capire quanto sia rischiosa, per tutte le donne, questa posizione, questo adagiarsi nel ruolo della vittima.
L’altra soluzione preventiva, sulla base delle ipotesi fatte, quale sarebbe? Se ti sposi, accetti per te la retorica del matrimonio, fai i figlioli e poi ne senti il carico, un reset non è sufficiente, e no, la colpa non è della donna che dopo una separazione si vede affidati i figli e la casa.
So che in questo momento ci sono altre che pur di dare addosso ai padri separati, quelli che non ammazzerebbero mai mogli e figli e che restano per anni e anni a districarsi tra procedimenti legali per tentare di trovare un accordo per vedere i figli, stanno sfruttando questa faccenda e soprattutto sfruttano i commenti di troll misogini, totalmente estremisti, che a loro volta usano la faccenda dei padri separati per giustificare i femminicidi.
Bisognerebbe smetterla, tutti quanti, di fare diventare le vittime ora una scusa per fare prevalere una opinione ora per l’altra, perché alla fine, quel che io vedo, è che di queste vittime forse non importa quasi a nessuno. Sono buone per fare propaganda, per raccontarsi un po’ di balle, ma non vi siete mai dette che dato che continuano a morire forse i vostri ragionamenti sono totalmente o almeno in parte sbagliati?
Per esempio: a un anno dalla legge sul femminicidio in Italia non è cambiato niente. Il piano di prevenzione è ancora lì che attende. Abbiamo solo gli annunci di ministri che su quella legge hanno fatto cassa e consenso elettorale, sulla pelle delle donne, e nel frattempo a chi diceva che era una legge inutile, rispondente solo a una logica emergenziale, repressiva e paternalista che nulla avrebbe risolto, non è stato dato assolutamente ascolto. Perché in Italia le vittime di violenza sono usate, elevate al rango di status sociale, perché attraverso esse si ricava legittimità, consenso, talvolta perfino fama o denaro, ma delle vittime, poi, in realtà, a chi interessa?
E ancora c’è da ricordare il modo in cui stanno parlando della donna, la madre dei suoi figli, ché se non aveva generato un figlio non c’era neppure da considerarla, come da deriva catto/fascista che ha preso la trattazione del tema della violenza sulle donne, si parla di vittime solo in quanto risorse riproduttive e di cura. Non si parla di altre categorie di vittime. La “vittima” è tale per il ruolo di genere che le viene imposto e sennò chissenefrega.
Che trappolone la faccenda del “femminicidio” che ci ha costrette ad essere considerate vittime solo in quanto “femmine”. Che trappola dover ruotare attorno al tema dovendo destreggiarsi tra mille visioni morali e ideologie, intenzioni e obiettivi politici, quelli più recenti parecchio giustizialisti, perché alla fine, poi, quel che sparisce è il buon senso. E basterebbe anche solo quello, forse, per evitare un’altra morte. Un po’ di buon senso.
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Fuori la Chiesa dalla scuola pubblica
di Eretica | 26 marzo 2014Commenti (589)
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Leggo che il cardinale Angelo Bagnasco, pur non essendo membro del governo italiano, suggerisce al ministro dell’Istruzione di evitare la diffusione dei libretti “Educare alla diversità a scuola” destinati alle scuole primarie e secondarie di secondo grado. Trovo che le ragioni espresse dal cardinale rispondano a mio avviso a un rovesciamento della realtà. E vi spiego perché.
Le copertine dei libri 'incriminati'
Anni fa, quando occupavo un banco alle scuole elementari, ricordo che per prima cosa bisognava onorare il crocifisso e fare una preghiera. Seguivano le lezioni e sui libri di scuola si apprendeva che la famiglia era sempre composta da uomo, donna e figli. Lui tornava a casa stanco dalla guerra o dal lavoro e lei a fare la mamma e la casalinga. Se si parlava di donne a svolgere lavori retribuiti comunque ci si riferiva sempre a funzioni compatibili con il ruolo di cura, perciò sarebbero state felici di fare le maestre, le infermiere, le allevatrici di figli altrui. Conclusa la lezione si recitava ancora una preghiera e così, noi bimbe, crescevamo nella convinzione che da grandi avremmo dovuto essere mogli e madri, con mariti lavoratori addestrati a fare sacrifici per la patria, mantenere la famiglia e a dare ai figli giusto un bacio della buonanotte.
La scuola non contemplava alcun modello di vita differente. Si propagandava a tutte le ore la dipendenza economica delle donne, l’impiego dei corpi femminili per la riproduzione e la cura, quello dei corpi maschili per il profitto e poi si spacciava come unica idea di mondo possibile la cultura etero/patriarcale. Disertare quei ruoli di genere imposti era causa di forti pressioni normative da parte di chi, dall’alto, calava sulle nostre vite una propria convinzione morale. Accanto alle pressioni normative erano frequenti anche la costante demonizzazione e delegittimazione di qualunque scelta differente.
La donna che voleva studiare, lavorare e mantenersi da sola veniva descritta con disprezzo come “donna in carriera”, dunque egoista, priva di amore per la famiglia e anormale per la sua richiesta di asili, servizi e collaborazione nel ruolo genitoriale. L’uomo che disertava quello schema familiare, colui il quale voleva essere un genitore più presente o colui il quale dichiarava di essere gay veniva trattato – e lo è ancora – come fosse un’anomalia, un essere contagioso, malato, destinato ad un girone rieducativo nel quale qualcuno gli avrebbe fatto intendere quanto fosse sbagliato non somigliare alle figurine stampate sui nostri antichi libri di scuola.
In realtà l’idea di “instillare” in maniera ideologica una maniera di vivere il proprio sesso viene applicata sin dalla nascita. Basti vedere come negli ospedali sono orientati a mutilare chirurgicamente i corpi di bambini intersex convertendoli in quello che la mentalità comune trova più “normale”. Sui corpi, il genere imposto e la sessualità dei bambini poi si interviene in maniera sistematica stabilendo che se hai una vagina sei femmina e dovrai comportarti da femmina, se hai un pene sei un maschio con tutto quel che ne consegue. Di naturalizzazione della differenza in naturalizzazione della differenza l’idea imposta è diventata una certezza. Abbondano, ancora, purtroppo, studi che stabiliscono come naturalmente l’uomo possa fare meglio questo e quello e la donna invece abbia capacità d’altro tipo.
C’è perfino un particolare femminismo che sposa e ribadisce, senza scardinare e sovvertire il sessismo in esse contenuto, queste teorie parecchio datate e stabilisce che giusto quella differenza “naturale” tra i sessi sarebbe origine di straordinaria magnificenza delle donne. Il nostro cervello funziona meglio, noi siamo fantastiche creature, empatiche, dedite alla cura, materne, sicché possiamo governare meglio, decidere perfettamente e dunque da lì alle quote rosa il passo è breve. Stessa teoria sessista vuole che gli uomini siano per natura violenti, guerrafondai, sporchi, brutti e cattivi, perciò non in grado, ad esempio, di sostenere la genitorialità, da single o separati, in maniera emotivamente e concretamente paritaria a quella materna. Così se a decidere per gli F35 è un ministro uomo o una ministra della difesa donna cambierebbe tutto. Se a cambiare un pannolino è un uomo o una donna ci sarebbe una grande differenza.
Il pregiudizio derivante da qualunque teoria autoritaria normativa sui generi è certamente fonte di discriminazioni e anche di bullismo. Lo è di crudeltà indicibili nei confronti dei bambini. Lo so perché sono una genitor(A) e ho trovato, ahimè, che dopo un tot di anni i libri a scuola non erano cambiati, il crocifisso stava sempre lì e a nulla serviva dire che in quella classe c’erano bambini di varie religioni che meritavano tutti eguale rispetto così come rispetto meritavano quei figli che a scuola non dovevano sentirsi discriminati perché il nucleo familiare di riferimento non somigliava ancora a quello della grotta a Betlemme.
Con tutto il rispetto per chi è credente e – se tanto può servire – confidandovi che a scuola recitai perfino con curiosità il ruolo di Maria, davvero non è più tempo. Non lo è più. Non è tempo di ingenerare diffidenza verso chi è diverso come se fosse fonte di distruzione e male. Se i genitori sono omosessuali non crolla il mondo e invece l’unico male che deriva a quei bambini è l’omofobia che li rende vulnerabili ai dispetti e alle violenze di grandi e piccini. Ed è questa la vera dittatura con la quale abbiamo a che fare, perché qualunque convinzione non può essere imposta dall’alto e se in una scuola arriva qualcuno a dire che il mondo è anche un po’ differente, chi registra questa cosa come fosse un attentato alla morale e parla di libertà di educazione da parte dei genitori dovrà fare i conti con quei tanti genitori, oramai, sempre più visibili che devono essere trattati con rispetto e senza alcun timore.
Le scuole, per l’appunto, non sono campi di rieducazione e indottrinamento. Sono luoghi pubblici pagati con le tasse di chiunque. Sono luoghi in cui ancora, purtroppo, non abbiamo un’educazione sessuale che insegni il rispetto per tutti i generi e a vivere la sessualità in modo bello, consapevole, senza rischi di gravidanze indesiderate e contagio di malattie sessualmente trasmissibili. Chi vuole una scuola cattolica la frequenti senza pretendere che quella scuola debba finanziarla anch’io. Ma la scuola pubblica deve essere il luogo tollerante, pluralista, in cui le tante culture esistenti devono essere parte dell’istruzione per ciascuno. Perché i bambini si sentano pienamente accettati qualunque sia la loro etnia, cultura, religione, famiglia di provenienza. Perché una società evoluta non può ancora immaginare di creare barriere di genere tra persone che dovranno avere, sempre, eguali diritti e doveri, con tutto ciò che questo comporta.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/26/womenagainstfeminism-le-reazioni-femministe-che-tendono-allautoconservazione/1072597/Ci sono delle ragazze che dichiarano di non avere bisogno del femminismo, e le femministe che fanno? Non si pongono due domande, scrivono chilometri di parole autoconsolatorie e fanno marketing di se stesse. C’è chi scrive che il femminismo serve perché una bambina di otto anni, in India, è stata stuprata e impiccata. C’è chi dice che deve esistere perché le giovani ragazze hanno un debito storico con le mamme e dunque, ‘ste mamme, devono essere accompagnate fino alla tomba da figlie/badanti stracolme di gratitudine e con grande disponibilità alla cura. C’è chi scrive che va bene finché sono giovani e belle ma quando saranno vecchie, brutte e stanche, ecco, allora si che avranno bisogno del femminismo. C’è chi racconta che senza il femminismo, addirittura, le donne non potrebbero oggi scrivere su Facebook, o non avrebbero un tumblr, e io mi sento molto in imbarazzo, da femminista, per queste femministe che sfornano un luogo comune dopo l’altro, senza prestare ascolto ad una rivendicazione che alla meglio viene bollata con un insulto (deficienti, ignoranti, idiote) giusto per confermare quanto sia necessario il femminismo a quelle che dicono di non averne bisogno.
Loro dicono “io non ho bisogno di te” e quelle dicono “ingrate, deficienti, voi non capite niente, respirate solo grazie a noi”. E credo che non ci sia bisogno di essere un genio in comunicazione per capire che forse, questo, non è l’approccio giusto. Perché io vedo una reazione corporativa, di chi mostra tutta la propria fragilità e anche parecchia indisponibilità all’ascolto. Vedo una supponenza che poi è quella che rende antipatico un certo femminismo, e non scordiamo che parliamo soprattutto degli Stati Uniti, dove c’è il femminismo radicale alla Dworkin e MacKinnon che la fa da padrona (le antiporno, le abolizioniste della prostituzione, quelle che le donne sono tutte vittime e gli uomini tutti carnefici) e quel femminismo lì, di cui vediamo esempi, sempre più prepotentemente, anche in Europa, è fortemente normativo, svaluta e disprezza le donne che non aderiscono alla norma, applica slut shaming contro quelle che non sono d’accordo e a tratti si serve di bulle che in rete, su Twitter o Facebook, agiscono da squadriste e non fanno altro che assediare spazi e persone per farle sentire delle chiavichette umane se solo non diventano delle acritiche yeswomen.
Women-against-feminism-1Certo, molti messaggi propendono per la conservazione, alcuni sono profondamente sessisti, a dimostrare che le donne non sono tutte uguali. Certo, il linguaggio usato è preso in prestito anche dai maschilisti, ma hanno una alternativa culturale che dia risposte al loro disagio? Se una donna scrive “Io non ho bisogno del femminismo perché non mi sento vittima” qualcuna si è chiesta chi le ha imposto di sentirsi tale? Qualcuna ha immaginato quella ventenne mentre si muove in un mondo precario, assieme ad altri uomini precari, e vede che proprio le femministe, quelle filo/istituzionali, di cui dovrebbe aver bisogno sono attaccate al potere, alla poltrona, e votano leggi economiche che favoriscono la sua precarietà? Qualcuna ha rimesso in discussione un po’ delle proprie convinzioni? Qualcuna ha mostrato disponibilità all’ascolto o siete tutte lì dietro una barricata a sparare alle donne che non la pensano come voi?
Il punto è che le femministe, in generale, ne escono delegittimate, in special modo quelle che dicono di fare leggi e scelte in nome delle donne. Ebbene: quelle donne vi stanno prendendo in giro, sfottendo, licenziando perché stanno dicendo che si rappresentano da sole, perciò se il femminismo si riduce a una barricata dietro la quale ci sono donne con i fucili pronte per sparare ad una folla di gente, uomini e donne, che arrivano a dire che bisogna smettere di parlare in nome loro, direi che non c’è davvero molto di cui discutere. Invece il femminismo, per quel che mi riguarda, è quello che è anche disposto a rivedere il proprio linguaggio, ad abbandonare presunzione e supponenza e ad ascoltare le ragioni per cui queste ragazze sono così stufe di un movimento dal quale addirittura vogliono prendere le distanze.
E sia chiara una cosa: se le donne non vogliono essere rappresentate da altre donne figuriamoci se sono gli uomini che possono farlo. Di colonizzazioni maschili ne abbiamo già subite fin troppe e se c’è una cosa sulla quale siamo tutte d’accordo è che nessuno dice alle donne quel che è bene per loro, donna o uomo che sia.
Facciamo che ribaltiamo il messaggio e, a prescindere da chi detta le regole, ciascun@ dichiara quello di cui non ha bisogno. Io non ho bisogno di qualcun@ che mi dica se abortire oppure no. Non ho bisogno di qualcun@ che mi dica cosa fare del mio corpo, come vivere la mia sessualità e le mie relazioni. Non ho bisogno di qualcun@ che mi impone regole morali e divieti e che mi fa i cazziatoni se mi mostro in mutande, vestita, spogliata, con o senza trucco. Non ho bisogno di chi mi usa per legittimare un governo, un partito, o qualunque bottega alla quale porta linfa. Non ho bisogno di chi mi dice che devo restare in una terra povera se voglio migrare in quella che mi offre più opportunità. Io ho bisogno di essere libera da costrizioni normative, da chiunque esse vengano imposte. E questo è tutto.