Autore Topic: CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX  (Letto 44778 volte)

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #165 il: Marzo 15, 2018, 20:21:38 pm »
http://www.lintellettualedissidente.it/societa/lodio-di-patria-degli-intellettuali-nostrani/

Citazione
L’odio di Patria degli intellettuali nostrani
Assisi su comode poltrone, tronfi della loro posizione egemonica, gl'intellettuali italiani di regime recitano in ogni contesto, in ogni momento, la sempiterna liturgia dell'autorazzismo: esterofilia dilagante mista a ignoranza atavica, ed il gioco è fatto
di - 28 aprile 2016

di Giuseppe Piconese


Nel panorama politico-intellettuale italiano ormai scorazza e imperversa una dissacrante inclinazione ad accettare a braccia spalancate-e a teste vuote-tutto ciò che non presenta alcun legame culturale con l’ Italia e che addirittura si presenta in contrasto con qualsiasi bagaglio intellettuale nazionale. Ovviamente, per il principio secondo il quale la classe dominante (intellettualmente parlando, in questo caso) riversa i suoi modi di intendere e di vedere il mondo direttamente sulla massa sottopostale, impegnandosi anche affinché sia impossibile qualsiasi messa in discussione di questi “dogmi” calati dall’alto. anche quest’ultima sarà intrisa, pervasa e imbevuta fino al collo di questa esterofilia colorata e subdola. Ma è questo un processo innato? La graduale e apparentemente inarrestabile “corsa all’ internazionalismo” è un fenomeno che nasce e si autodefinisce casualmente come una collisione di molecole estranee a loro? O questo incendio viene alimentato e foraggiato dal soffio di qualcuno?

Con il perfezionamento e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa la quantità di nozioni e informazioni imponibili e assimilabili da parte dei cittadini è cresciuta esponenzialmente e, altrettanto repentinamente, è scesa la capacità di mettere in discussione tali diktat  del pensiero. Sarebbe quindi qui che risiede la matrice di tutto ciò: nella famosa categoria degli “intellettuali” e specialmente di quegli intellettuali che operano sempre più sotto le sembianze di formatori d’opinione. Giornalisti, politici, industriali, uomini e donne dello spettacolo, scrittori, artisti e chiunque altro riesca ad avere un ascendente tanto forte sulla mente di chi gli è affianco da poterne paralizzare la coscienza e manipolare il modo di pensare.

Gli intellettuali di casa nostra, si sa, sono pienamente (forse anche consapevolmente) funzionali a questo processo di svilimento della cultura italiana e del sentimento nazionale: reportage, articoli di giornale, convegni e rassegne sono i principali mezzi attraverso i quali si instilla nell’opinione pubblica questa cosiddetta “esterofilia dilagante”. Prende sempre più piede nelle coscienze, soprattutto nelle fasce d’età più giovani, la concezione che solo ciò che esiste al di fuori dei confini nazionali può essere accettato e accolto come portatore di progresso e di apertura mentale. Al contrario qualsiasi cosa mantenga anche una minima parvenza di legame con la cultura nazionale italiana viene vista come veicolo del germe del bigottismo e dell’arretratezza intellettuale che, secondo questo modo di vedere, sono i principali prodotti della scena culturale italiana e sarebbero endemiche nella popolazione del Belpaese. Inutile dire che da qui per arrivare a discorsi disfattisti e inconcludenti (oltre che dannosissimi) il passo è breve, brevissimo. Anzi, l’abbiamo già compiuto!

Ma tutto ciò è riscontrabile nella realtà di tutti i giorni? O basterebbe non più di una mezz’ora per far cadere nel dimenticatoio e nell’irrilevanza la tematica discussa finora? Guardandosi intorno di certo le peculiarità esterofile  non mancano ma anzi sono così radicate ormai da farci credere che esse siano da sempre appartenute al nostro bagaglio culturale: esaminando, ad esempio, il comparto lessicale degli ultimi decenni della lingua italiana si può notare come l’italiano sia una delle lingue più facilmente inclini ad accogliere quantità enormi di lemmi e modi di dire tipici di altre nazioni e culture, principalmente inglese. Col consenso e col beneplacito di linguisti che approvano e incentivano le modificazioni lessicali e di giornalisti e intellettuali in genere che non si fanno aspettare per sfoggiare questi nuovi arrivi della lingua italiana. Facendoli entrare nella quotidianità di chiunque e nel loro conseguente utilizzo. In linea di massima comunque questo processo di svilimento avvolge e coinvolge tutto il panorama culturale italiano, non solo l’apparato linguistico, distruggendolo in funzione di un non ben definito culturame internazionale.

Risulta ben evidente quindi il fortissimo ruolo politico che giocano gli intellettuali di una nazione: ruolo che può anche essere nefasto e dannosissimo per gli interessi nazionali che coincidono sempre meno con gli interessi delle masse troppo impegnate a guardare al di là della siepe per vedere che, da questa parte, lo scenario è caotico. Spetta dunque a questi formatori d’opinione il dovere di raccogliere e convogliare in modo sano ed etico le energie nazionali di cui disponiamo (particolarmente le più giovani e fresche) verso interessi comuni nazionali ben individuati e condivisi, e anche il compito di contribuire alla restaurazione di un sentimento nazionale ormai distrutto e abbandonato dalle masse.

Online Frank

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #166 il: Marzo 15, 2018, 20:40:30 pm »
Gli italiani popolo esterofilo erano, popolo esterofilo sono e popolo esterofilo resteranno. :sleep:
In tal senso c'è ben poco da fare.
Una esterofilia, unita ad una abissale ignoranza - per quanto riguarda la realtà di altri paesi di questo disgraziato pianeta -, che li porta ad autoflagellarsi continuamente e a considerarsi, sostanzialmente, il peggior popolo del mondo.
Ad esempio: nella vita di tutti i giorni, quante volte ti capita di incontrare qualcuno che, spontaneamente, ti parla delle magagne e dei difetti di altri paesi?
Sbaglio se affermo che non ti capita mai ? *

Con questo non sto certamente asserendo che in Italia funziona tutto a meraviglia e che gli italiani son degli autentici campioni di lealtà, onestà, affidabilità, etc (magari fosse così).
No, affatto, poiché conoscono bene i miei connazionali e i loro inestirpabili difetti.
Ma da qui a credere che il resto del mondo, sia una sorta di eden, ce ne passa.

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* Io conosco personalmente solo due uomini che ragionano come me.
Per il resto, buio assoluto.

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Per inciso: nonostante provengano da paesi che in quanto a corruzione non hanno proprio nulla da invidiare all'Italia (anzi), stai pur sicuro che non sentirai mai un albanese, un romeno o un bulgaro, fare dei discorsi disfattisti ed esterofili nei confronti della propria patria e dei propri connazionali.
Di certo non li ascolterai mai in pubblico, e in particolar modo se si tratta di albanesi.



Ogni tanto capita di imbattermi in qualcuno che ragiona in maniera molto simile alla mia.
Niente non è.

http://blog.ilgiornale.it/catto/2017/04/04/smettiamola-con-la-retorica-dell'andarsene-dallitalia/

Citazione
04 apr 17
Smettiamola con la retorica dell’andarsene dall’Italia

Da anni siamo esposti sul web e sui social ad articoli che narrano l’epopea extranazionale dei migranti di successo, persone che in qualche paradiso terracqueo con annesso accento anglosassone hanno aperto la loro attività, facendo (ad ascoltar loro) soldi a palate per poi venir ospitate in qualche giornale a narrarci di quanto l’Italia sia brutta e cattiva, di come sia giusto andarsene, di quante poche opportunità ci siano nel nostro paese per i giovani volenterosi che ogni giorno si sbattono contro la mancanza di prospettive, il fisco, lo stato, l’assenza di diritti, l’uomo nero della chiusura mentale e della ristrettezza dei confini.

Una retorica sinceramente stancante, dietro alla quale è lecito chiedersi quale tipo di volontà ci sia o quale profondo messaggio si cerchi di veicolare. Pure inesatta, perché a fronte della facilità con la quale vengono dipinti i meriti e le bellezze dei paesi stranieri, si sorvola volentieri sui tanti giovani partiti e poi tornati, scontratisi con l’alto costo della vita nella mecca londinese o di qualche altra city europea in vena di narrazione modaiola. Scontratisi, ancor più spesso, con la durezza della vita e della solitudine, trovando volentieri consolazione nell’abuso di alcool e stupefacenti.

Insomma, tanto facile e bello narrare le beltà intrinseche della migrazione, ma come accade con i profughi da accogliere a casa nostra, molto più difficile diventa scandagliare il fondale di interessi, di distorsioni e di luoghi comuni che possono sottostare al fenomeno.

Smettiamola, per favore, con questa corsa all’oro ideologica in terra straniera, con questo continuo piagnisteo al sapor di esterofilia al quale siamo continuamente esposti, di pari passo al continuo svilimento, inconsapevole o meno, delle potenzialità del nostro paese.

In questa corsa alla migrazione, alla ricerca della soluzione di stampo individuale, si è perso qualsiasi tipo di legame produttivo con la propria terra d’origine, vista, più che come una comunità nella quale esprimersi ed eventualmente lottare per cercare di cambiare le cose, come una sorta di porto d’attracco dal quale salpare, alla ricerca perenne di un facile paradiso straniero, come se poi all’estero si regalasse lavoro senza causare problemi, storture o differenze di trattamento, spesso culminanti in processi di repulsione come nel caso della brexit, o dell’ascesa dei partiti nazionalisti come il Front National.

In questa continua lode all’emigrazione, ad un lavoro che abbia il nome in inglese ché fa sempre un po’ più figo, c’è tutto il sapore della rinuncia all’identità e alla stabilità. Il mondo diventa una sorta di grande contenitore dove svolazzare alla ricerca di una posizione, l’immigrazione senza confini e senza regole diventa un qualcosa al quale ricorrere alla minima difficoltà o pure in assenza di reali problemi, andando a supplire ad una sempre latente malsopportazione verso il proprio paese e ad una certa mancanza di volontà nello sporcarsi le mani, nel vedere cos’altro c’è a disposizione sul al di là del proprio titolo di studio, nel mercato privato o nell’aprirsi una propria azienda.

Diciamolo: ha ragione pure Poletti quando dice che alcune delle persone che se ne vanno non rappresentano una grossa perdita, specie quando il rimanere si tramuta per loro in una continua nenia esterofila e anti italiana, sullo sfondo di una incapacità di adattamento, di una incomprensione delle architetture del sistema economico e di una incapacità puntuale a valutare il proprio paese come una opportunità e non come un limite.

Hanno rotto le scatole tutti questi aedi del nord, i nuovi bardi delle terre anglosassoni calati dal pero a fare la morale a noi poveri giovani rimasti a casa, a predicarci l’espatrio, l’uscita dal paese, l’apertura dei nostri confini mentali e politici.

Chiudo dicendo che le prime persone a dover emigrare, in realtà, dovrebbero essere quelle che qui spingono in continuazione i giovani italiani ad andarsene dall’Italia.


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PS:
https://www.transparency.org/news/feature/corruption_perceptions_index_2017

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #167 il: Agosto 29, 2018, 00:59:43 am »
https://www.africarivista.it/africa-rosa-dal-tarlo-della-corruzione/119451/

Citazione
Africa rosa dal tarlo della corruzione
23 febbraio 2018

L’Africa è ancora il continente più corrotto. Secondo la classifica mondiale sulla corruzione percepita stilata da Transparency International, nel 2017 i Paesi più corrotti al mondo sono stati Sud Sudan e Somalia. Il primo Paese africano ad apparire in classifica è il Botswana (al 34° posto su 180) seguito da Seychelles (36°), Capo Verde e Ruanda (rispettivamente 47° e 48°), prima di Namibia (53°) e Senegal (66°).


«Questo risultato negativo – spiegano i responsabili della Ong – non è una sorpresa. Già negli anni precedenti, l’Africa era risultata in fondo alla classifica. Esiste un legame tra i livelli di corruzione, la difesa delle libertà dei giornalisti e l’impegno della società civile».

I Paesi che hanno ottenuto i risultati migliori sono quelli che, secondo Transparency International, hanno una «leadership politica costantemente impegnata nella lotta alla corruzione». Tra questi, Ruanda e Capo Verde dove sono in atto severi codici di condotta che hanno ridotto il fenomeno. Spesso questa leadership impone anche un rigido controllo nell’attuazione delle leggi. La Costa d’Avorio, per esempio, ha mostrato miglioramenti nella lotta alla corruzione proprio perché ha approvato una legge sulla punizione di politici e amministratori coinvolti, ha istituito un’autorità nazionale anticorruzione e ha rispettato le direttive internazionali. Anche il Senegal ha fatto numerosi progressi con l’arrivo di Macky Sall. Un miglioramento dovuto alla creazione di un ministero della Buona governance e di un Ufficio per la lotta nazionale contro la frode e la corruzione Ufficio.

In fondo alla classifica ci sono Sud Sudan e Somalia, Paesi senza governance e travolti da lunghe guerre civili. Anche Liberia e Rd Congo, nazioni in cui il potere centrale non è riuscito a contenere i cattivi comportamenti di politici e burocrati, hanno ottenuto punteggi molto bassi.

Secondo Transparency International, guerre e conflitti rimangono i principali ostacoli a una favorevole evoluzione. Transparency International ha chiesto all’Unione africana «un impegno visibile per la lotta contro la corruzione» e soprattutto a «pensare di investire in Paesi che storicamente lottano contro la corruzione. In particolare la Somalia e il Sud Sudan».

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #168 il: Agosto 29, 2018, 01:07:49 am »
http://www.metallirari.com/10-politici-piu-corrotti-mondo/

Citazione
I 10 politici più corrotti del mondo

REDAZIONE
24/02/2018, 8:00 am
È solo un luogo comune associare i politici alla corruzione? Scorrendo la graduatoria di chi ne ha fatto un’attività su “scala industriale” si ha l’impressione che, nei tempi moderni, corruzione e politica non possano esistere l’una senza l’altra.

Viviamo in un’epoca in cui la corruzione politica ha preso il sopravvento in molti paesi del mondo.
Quando i politici (alcuni?) si accorgono di disporre di un mucchio di soldi da sperperare liberamente o da mettersi in tasca, il talento persuasivo, la capacità verbale e le idee su come migliorare la società passano in secondo piano. Spunta invece l’arte della corruzione, delle tangenti e dell’appropriazione indebita.

Una piaga che affligge le dittature così come le democrazie, che nasce dai politici e che si diffonde a macchia d’olio nel resto della società. Come ben sappiamo in Italia, uno dei paesi più corrotti d’Europa secondo l’ultimo Report di Transparency International, non è facile da individuare perchè non ha una bandiera politica o ideologica, ma è trasversale a tutto il sistema.

Anche se i casi di cui tratteremo di seguito sono quelli più eclatanti e più riprovevoli, non è certo il caso di prenderli come esempio per minimizzare la corruzione esistente in altri paesi, altrettanto odiosa e riprovevole come quella dei 10 politici più corrotti del mondo.

1
MOHAMED SUHARTO (ex Presidente dell’Indonesia). È stato il secondo Presidente dell’Indonesia, avendo preso il potere nel 1967 con un colpo di Stato. Ha sfruttato la crescita economica per arricchire sè stesso e i suoi collaboratori attraverso una serie di monopoli statali e sussidi truccati. Il suo patrimonio è stato stimato tra i 15 e i 35 miliardi di dollari in contanti, azioni, società, immobili, gioielli ed opere d’arte. Si dice che la famiglia di Suharto abbia il controllo di circa 36.000 chilometri quadrati di terreni in Indonesia, compresi 100.000 metri quadrati di uffici a Giacarta e quasi il 40% della terra di Timor Est. Suharto è morto il 27 gennaio 2008.

2
FERDINAND MARCOS (ex Presidente delle Filippine). Ha vinto le elezioni presidenziali del 1965, del 1969 e del 1981, rimanendo ininterrottamente al potere dal dicembre 1965 al febbraio 1986. Feroce anti-comunista, rimane uno dei presidenti più controversi della storia delle Filippine. Si stima abbia rubato al suo paese dai 5 ai 10 miliardi di dollari. È morto in esilio alle Hawaii il 28 settembre 1989.

3
MOBUTU SESE SEKO (ex Presidente della Repubblica Democratica del Congo). Presidente e dittatore del paese dal 1965 al 1997, fu insediato al potere dal Belgio e dagli Stati Uniti. In questo periodo ha accumulato enormi ricchezze personali, stimate in 12 miliardi di dollari, attraverso lo sfruttamento dell’economia e la corruzione. È morto nel 1997 in Marocco.

4
SLOBODAN MILOŠEVIĆ (ex Presidente della Jugoslavia). Al potere in Serbia dal 1989 al 2000, è stato tra i protagonisti della guerra nell’ex Jugoslavia. Accusato di crimini contro l’umanità, il processo a suo carico presso il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia non è riuscito a condannarlo perchè Milošević è morto prima della sentenza (11 marzo 2006). Qualcuno ha stimato che i danni patrimoniali arrecati da Milošević al suo paese ammontano ad almento 100 miliardi di dollari.

5
SANI ABACHA (ex Presidente della Nigeria). Ha guidato la Nigeria dal 1993 al 1998, arrivando al potere grazie ad un colpo di Stato. Durante il mandato si è macchiato di violazioni dei diritti umani e di corruzione, divenuta endemica in tutto il paese. È morto in circostanze misteriose nel 1998 e si stima che abbia rubato al suo paese circa 4 miliardi di dollari, finiti in conti personali, gioielli e immobili.

6
JEAN-CLAUDE DUVALIER (ex Presidente di Haiti). Conosciuto anche come Baby Doc o Bébé Doc, è stato Presidente (di fatto, dittatore) di Haiti dal 1971 al 1986. In questo periodo si stima abbia sottratto al suo paese, per intascarli, dai 300 agli 800 milioni di dollari. È morto il 4 ottobre 2014 all’età di 63 anni.

7
ALBERTO FUJIMORI (ex Presidente del Perù). Di origini giapponesi, si distingue da tutti gli altri politici corrotti per la sua estrema intelligenza. Nel corso della sua Presidenza, durata dal 1990 al 2000, è riuscito a rubare al suo paese 600 milioni di dollari. Inoltre, Fujimori è stato accusato e condannato per violazione dei diritti umani, omicidi, rapimenti, violenze e torture. Dopo circa 12 anni di carcere è stato rilasciato per motivi di salute.

8
PAVLO LAZARENKO (ex Primo Ministro dell’Ucraina). Ha ricoperto la carica di Primo Ministro per poco più di un anno, dal 1996 al 1997. In questo breve periodo di tempo è riuscito a organizzare attività fraudolente per un valore stimato di 200 milioni di dollari. Nel 2006 è stato arrestato negli Stati Uniti per frode, corruzione ed estorsione, mentre nel suo paese è ricercato per una cinquantina di crimini.

9
ARNOLDO ALEMAN (ex Presidente del Nicaragua). Ha ricoperto la carica di ottantunesimo Presidente del paese dal 1997 al 2002. In questo relativamente breve periodo è riuscito a rubare oltre 100 milioni di dollari al Tesoro del Nicaragua, uno dei motivi per il quale è stato condannato a 20 anni di reclusione (gli altri motivi sono riciclaggio di denaro e corruzione). La sua carriera è iniziata come avvocato, per diventare sindaco di Managua e poi Presidente del Nicaragua.

10
JOSEPH ESTRADA (ex Presidente delle Filippine). È stato al vertice delle istituzioni delle Filippine negli ultimi 20 anni e, attualmente, nonostante sia stato condannato alla reclusione a vita per aver rubato 80 milioni di dollari, è sindaco di Manila (la capitale del paese) dopo essere stato eletto nel 2013. Prima di entrare in politica, guadagnò molta popolarità come attore cinematografico, recitando come protagonista in più di un centinaio di film durante una carriera durata circa trent’anni. È sempre stato circondato da una squadra di politici tra i più corrotti del mondo.

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #169 il: Agosto 29, 2018, 01:12:43 am »
http://www.lastampa.it/2018/02/21/italia/corruzione-litalia-migliora-ma-c-ancora-tanta-strada-da-fare-nxsT5pgLl9ezq6H4VYk6PN/pagina.html

Citazione
Corruzione, l’Italia migliora ma c’è ancora tanta strada da fare
Siamo al 54° posto nella classifica di Transparency International che monitora la percezione in 180 Paesi nel mondo

Pubblicato il 21/02/2018
Ultima modifica il 21/02/2018 alle ore 20:47
CAMILLA CUPELLI
L’Italia avanza nella classifica di Transparency International, che monitora l’indice di corruzione percepita in 180 Paesi nel mondo, passando da sessantesima a cinquantaquattresima. Una positiva scalata di sei posizioni che fa riflettere, ma non basta. Il punteggio assegnato al nostro Paese è 50, in una scala da 0 (molto corrotto) a 100 (non corrotto). Siamo ancora lontani, quindi, dalla sufficienza, anche se il balzo in avanti è significativo.

 
Il caso italiano 

«Il bicchiere è mezzo pieno perché il nostro Paese migliora rispetto al passato, ma il giudizio è ancora insufficiente, resta ancora molto da fare – sostiene Davide Del Monte, direttore di Transparency International Italia –. Dove agire? Due sono i problemi principali: la trasparenza sui finanziamenti della politica e la regolamentazione dell’attività di lobby. Se vogliamo andare oltre, possiamo parlare anche di una cultura della legalità, che deve partire dalle scuole. C’è ancora molto da fare».

 

L’Italia non è più fanalino di coda dell’Europa, poiché si posiziona al venticinquesimo posto su trentuno Stati considerati, ma è ben lontana dalla vetta. L’avanzamento del nostro Paese è però costante ormai dal 2012, anno di applicazione della cosiddetta “legge Severino”, la legge anticorruzione. Da allora, quando l’Italia era al settantaduesimo posto, sono state scalate diciotto posizioni in classifica. Altro elemento che ha aiutato il miglioramento italiano è stato l’insediamento di Raffaele Cantone a capo dell’Anac, Autorità nazionale anticorruzione, momento storico che ha contribuito a modificare la percezione del fenomeno corruttivo in Italia.

 
Una panoramica 

L’indice, chiamato Cpi (Corruption Perception Index), riguarda la percezione della corruzione nella pubblica amministrazione. Secondo Transparency International, i Paesi che raggiungono la sufficienza a livello mondiale, nelle tabelle relative al 2017, sono soltanto 37. Nei primi posti della classifica restano Danimarca e Nuova Zelanda, mentre la Somalia si attesta nell’ultima posizione, con un punteggio di 9/100.

 
Come si calcola l’indice 

Il Cpi viene calcolato tramite una serie di fonti che forniscono la percezione di uomini d’affari e di esperti nazionali sul livello di corruzione nel settore pubblico mentre non viene considerata la percezione del singolo cittadino. Nel caso italiano, tra gli indicatori utilizzati sono presenti, tra gli altri, l’indagine del World Economic Forum, l’IMD World Competitiveness Yearbook e il Global Insight Country Risk Ratings.
 

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #170 il: Gennaio 20, 2019, 11:33:25 am »
Fonte: Avvenire

Citazione
Eurispes. Corruzione: in Italia percezione eccessiva, è la «sindrome del Botswana»
Redazione Romana giovedì 10 gennaio 2019
Siamo al 69esimo posto, con l'85% degli italiani convinti che istituzioni e politici siano corrotti. Cantone: poco affidabili gli indici di percezione. Cafiero de Raho: occorre formarsi sui valori

In Italia i livelli di corruzione percepiti sono decisamente superiori a quelli reali: soffriamo della "sindrome del Botswana", intesa come tendenza ad accostarci a Stati difficilmente assimilabili al nostro per benessere e ricchezza. È quanto emerge da La corruzione tra realtà e rappresentazione. Ovvero: come si può alterare la reputazione di un Paese, ricerca curata da Giovanni Tartaglia Polcini per l'Eurispes e presentata stamane a Roma.

«Dipingere un Paese come corrotto o anche più corrotto di quanto realmente non sia può avere effetti diretti e indiretti sull'economia», premettono i ricercatori dell'istituto, sottolineando come la definizione di indicatori validi, efficaci e condivisi sul piano internazionale rappresenti «il primo ed essenziale passo verso il controllo, la prevenzione e il contrasto». Perché «senza misure accurate e affidabili non solo diventa difficile cogliere l'estensione e l'ordine di grandezza del fenomeno ma anche indirizzare strategie di intervento istituzionale e politico di contrasto e repressione».

L'Italia, negli indici internazionali, si colloca in posizioni molto più basse di quanto non meriterebbe il suo status di Paese democratico e di potenza mondiale, tra i primi dieci grandi Paesi al mondo per il Pil pro capite: siamo al 46esimo posto nell'Indice di competitività (2007), al 53esimo nell'indice Doing business (2008), al 41esimo nel CPI (2007), al 60esimo nell'Index of Economic Freedom (2006), addirittura all'84esimo nel Global Gender Gap Index (2007).

In ambito Ocse, siamo il Paese con la più alta corruzione percepita (circa 90%) e con una fiducia nel governo superiore al 30%, più alta di quella di Grecia, Portogallo, Spagna e Slovenia nonostante questi Paesi abbiano una percezione della corruzione inferiore alla nostra (tra l'80% e il 90%). Non solo: nell'ultima graduatoria di Transparency International, basata proprio su un indice di percezione, risultiamo al 69esimo posto con l'85% degli italiani convinti che istituzioni e politici siano corrotti: eppure, alla domanda specifica, posta a un campione di cittadini, se negli ultimi 12 mesi avessero vissuto, direttamente o tramite un membro della propria famiglia, un caso di corruzione, la risposta è stata negativa nella stragrande maggioranza dei casi, in linea con le altre nazioni sviluppate.

Secondo Tartaglia Polcini, «il rating attribuito all'Italia è spesso ingeneroso, se non a tratti errato, con notevoli conseguenze anche sul piano macro-economico». Quello che si verifica nel nostro Paese è «il "Paradosso di Trocadero": più si perseguono i fenomeni corruttivi sul piano della prevenzione e le fattispecie di reato sul piano della repressione, maggiore è la percezione del fenomeno. L'effetto distorsivo collegato a questo assunto ha concorso a penalizzare soprattutto gli ordinamenti più attivi dal punto di vista della reazione alla corruzione in tutte le sue forme».

«Ovviamente - spiega il presidente del'Eurispes, Gian Maria Fara - non intendiamo sostenere che l'Italia sia immune dalla corruzione o che la corruzione stessa non ne abbia caratterizzato la storia antica e recente. Ciò che vogliamo, invece, fortemente affermare è che il nostro Paese è anche meno corrotto degli altri, che reagisce alla corruzione più degli altri, che non la tollera e che combatte il malaffare e oggi lo previene anche meglio degli altri».

Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, ha sottolineato «la scarsa affidabilità degli indici di percezione della corruzione, che non misurano il fenomeno, ma solo l'impressione che se ne ha». «L'individuazione dei veri numeri della corruzione è uno dei temi importanti - ha detto il presidente dell'Anac -. Chi studia il fenomeno per misurarlo deve necessariamente avere un approccio scientifico. La corruzione è come un iceberg di cui emerge una puntina piccolissima, ma il problema è quello che c'è sotto. E ricordo che è stata la parte nascosta del l'iceberg a far affondare il famoso Titanic. È quindi
fondamentale capire dove, come e quanta corruzione c'è ed è questo il tema al centro della ricerca Eurispes che presentiamo oggi. Il tasso di corruzione di una nazione investe direttamente la credibilità delle sue istituzioni e da un punto di vista politico, dunque determinare con una certa attendibilità le dimensioni che il fenomeno assume, è innanzitutto una "pagella" su un Paese e sulla sua classe dirigente. C'è poi un aspetto economico, ancora più rilevante. Il pregio principale della ricerca è proprio l'inquadramento del problema in una prospettiva comparata. La difformità esistente fra le varie nazioni non è difatti soltanto uno dei principali ostacoli alla "costruzione" di indicatori di corruzione universalmente validi».

Per il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho, «la misurazione della corruzione è un tema di grande importanza. Molto difficilmente si possono recuperare i dati sul territorio per una misurazione reale. Il tasso di corruzione non è grave, ma gravissimo. Non vi è luogo sul territorio nazionale dove non siano presenti associazioni mafiose. Esistono forme di corruzione così raffinate che possono essere scoperte solo con indagini mirate: sono persone che non parlano più per telefono, si incontrano in mezzo alla strada e in luoghi dove è impossibile mettere una microspia. Il lavoro di Giovanni Tartaglia Polcini è importante dal punto di vista scientifico e la corruzione è anche qualcosa che bisogna smascherare e che nasce da un difetto di etica, di formazione. Occorre formarsi sui valori e imparare a considerare uomini "ricchi" coloro che li mettono in pratica e ne sono promotori».

Intanto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato per la promulgazione della legge anticorruzione, approvata definitivamente dal Parlamento il 18 dicembre scorso.


https://www.travel365.it/10-paesi-piu-corrotti-mondo.htm

Offline gluca

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #171 il: Gennaio 20, 2019, 12:12:44 pm »
La "corruzione percepita" è una colossale minchiata.
Far credere agli italiani di vivere in un paese tra i più corrotti serve a manipolarli, per far accettare loro che il potere vada a finire in mani straniere, convincendoli che "è meglio".
Giochetto vecchio, che ormai non funziona più, perché la gente ha capito.

Online Massimo

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #172 il: Gennaio 20, 2019, 13:36:45 pm »
Qualcuno dovrebbe spiegare (e spiegarMI) perchè, con tutta la sua corruzione, seconda solo al Giappone, l'Italia negli anni novanta era la quinta potenza economica mondiale mentre ora, entrati nell'Europa e nell'euro e quindi divenuti "virtuosi" ci siamo ridotti in mutande.

Offline gluca

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #173 il: Gennaio 20, 2019, 14:26:12 pm »
"Si faccia una domanda e si dia la risposta"
(cit.)
:)

Online Frank

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #174 il: Gennaio 20, 2019, 15:16:10 pm »
Giochetto vecchio, che ormai non funziona più, perché la gente ha capito.

No, guarda, la maggioranza non ha affatto capito.
Calcola che di questo argomento me ne occupavo a livello personale, ben prima di prender coscienza della questione maschile, per cui posso dirti che non è assolutamente così.
A tutt'oggi mi capita spesso di discutere con dei connazionali che ragionano per luoghi comuni e sparano puttanate colossali.
Non a caso la frase più gettonata dall'italiano medio è la seguente:
"Certe cose succedono solo in Italia!",
peraltro sentita pure da ieri, da parte di un conoscente 50enne, che mi è toccato stoppare all'istante (con tanto di faccia sorpresa del tipo), perché di questi deficienti ne ho veramente i coglioni pieni.

Non solo: un paio di giorni fa ho nuovamente letto un'affermazione ridicola, di un altro ometto italiano, il quale affermava che l'Italia "è uno dei Paesi più corrotti al mondo", praticamente allo stesso livello di Argentina e Messico.
Ora, se qualcuno di questi imbecilli avesse la più pallida idea di ciò che accade in quei paesi, nonché in altre parti del disgraziato pianeta Terra, eviterebbe di scrivere simili stronzate.
Ma il problema è che ormai il disprezzo di sé e del proprio popolo, è stato talmente assimilato, che è praticamente impossibile rinsavirli.
Del resto le stesse campagne autodenigratorie dei media han contribuito moltissimo a cementificare questo autorazzismo nell'italiano medio.
Basta dire che in Tv non esistono trasmissioni dedicate alla corruzione esistente in altri paesi, come non esistono trasmissioni che trattano seriamente la questione dei veri luoghi d'origine della mafia, che non sono affatto in Italia, bensì in Cina e in Giappone.

Un altro atteggiamento fastidiosissimo è quello relativo al fatto che uno non può trattare questo argomento, senza sentirsi dire che "noi dobbiamo stare zitti, perché abbiamo la camorra, cosa nostra, la 'Ndrangheta", etc.
E allora? Che cazzo significa? Questo deve forse impedire di osservare e criticare le magagne altrui?
Ma che razza di discorso è? Forse in altri paesi si fanno tutte queste seghe mentali ? No, non se le fanno, nella maniera più assoluta.
Basta dire che anche molti abitanti di paesi di merda come la Serbia, la Romania e l'Albania hanno il coraggio di fare la morale agli italiani.
Eppure questo atteggiamento è la norma.
Un atteggiamento peraltro derivante dal disprezzo di sé e dalla vergogna di essere italiani.
Ossia un problema che a me non sfiora, né ha mai sfiorato neppure di striscio.
Anzi, io sono orgoglioso di essere italiano.
Del resto, se così non fosse, non potrei essere un nazionalista.

Offline gluca

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #175 il: Gennaio 20, 2019, 15:32:53 pm »
sentita pure ieri, da parte di un conoscente 50enne
In Italia ci sono due approcci all'informazione: quello degli under 50 e quello degli over 50, approssimativamente.
I primi usano principalmente internet, dunque sentono più campane.
I secondi guardano i tg e qualcuno ancora compra i giornali  :D.
Per capire che è così, basta guardare il voto diviso per fasce di età.
io sono orgoglioso di essere italiano
Pure io.

Online Frank

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #176 il: Gennaio 20, 2019, 16:00:34 pm »
A proposito del Messico...

http://www.rivistamissioniconsolata.it/2018/12/01/messico-la-corruzione-madre-di-tutti-i-mali/

Citazione
Messico, la corruzione, madre di tutti i mali
E GIUNSE IL TEMPO DI AMLO (SECONDA PUNTATA)
1 Dicembre 2018 Articolo


Con 30mila omicidi all’anno e oltre 53 milioni di poveri, con ampie zone del paese nelle mani dei narcos e i difficili rapporti con l’imprevedibile Donald Trump, il compito che attende il neopresidente Andrés Manuel López Obrador (Amlo) è titanico. Paolo
Pagliai, rettore dell’Università «Alta Escuela para la Justicia», individua però il principale problema messicano nella corruzione che nega i diritti fondamentali delle persone trasformandoli in «favori».
Testo di Paolo Moiola

Dal primo dicembre Andrés Manuel López Obrador detto Amlo, è il nuovo presidente del Messico. Amlo, 64 anni, era stato sconfitto nelle presidenziali del 2006 e del 2012, queste ultime molto contestate. Al terzo tentativo, lo scorso 1 luglio, ha ottenuto oltre 30 milioni di voti, pari al 53,19 per cento del totale, più del doppio del secondo arrivato, Ricardo Anaya del Partido Acción Nacional (Partito d’azione nazionale, Pan). Il neopresidente ha vinto guidando Juntos Haremos Historia (Uniti faremo la storia), una coalizione tra due partiti di sinistra (il Partido del Trabajo e il Movimiento Regeneratión Nacional, Morena) e un piccolo partito di centrodestra (il Partido Encuentro Social), dissoltosi dopo le elezioni.

Di Obrador e dei problemi del paese abbiamo parlato con Paolo Pagliai, italiano cinquantenne, sposato con una messicana, da vent’anni a Città del Messico. Dottorato in pedagogia presso la Universidad Nacional Autónoma de México (Unam), già preside della Facoltà di lettere e filosofia presso l’Università del Claustro di Sor Juana, Paolo Pagliai è attualmente rettore di un’università con un nome impegnativo, Alta Escuela para la Justicia. Esperto e appassionato di memoria storica, diritti umani e pace, il professor Pagliai è la persona giusta per parlare di un paese che, pur essendo l’undicesima economia del mondo, è però gravato da problemi giganteschi con intere regioni nelle mani dei narcos (narcotrafficanti), oltre 53 milioni di poveri e una violenza da guerra civile (29.168 omicidi nel 2017).


Citazione
La classifica dei problemi
In una ipotetica classifica dei problemi messicani in che ordine di importanza metterebbe la violenza, la corruzione, le diseguaglianze? Esiste tra queste problematiche una correlazione?
«Esiste una stretta relazione tra tutti i problemi di cui patisce il Messico, ma non è quella di causa-effetto che le persone potrebbero pensare o di cui vengono convinte dal processo di semplificazione della realtà i cui principali responsabili sono i mezzi di comunicazione di massa, completamente asserviti agli interessi dei partiti politici e dei grandi gruppi industriali e finanziari.

È la corruzione la madre di tutti i nostri mali: nega i diritti fondamentali delle persone trasformandoli in “favori”, genera dipendenza dai poteri e relazioni pericolose con i più forti, riduce sensibilmente gli effetti positivi delle politiche pubbliche e annulla ogni tipo di partecipazione genuinamente democratica da parte dei cittadini. Nella lotta alla criminalità organizzata, riduce l’efficienza e l’affidabilità delle forze dell’ordine, restituisce una magistratura assolutamente incapace di fare giustizia, e dei procuratori così inquinati dagli interessi politici che non possono, in nessun modo, garantire indagini minimamente indipendenti e degne di fede.

La corruzione, dunque, è la principale fonte di insicurezza, ma – non dobbiamo dimenticarlo – sta anche alla base della grande povertà che colpisce quella che è, a tutti gli effetti, la decima potenza economica mondiale e che, malgrado questo, conta, tra i propri cittadini, oltre 53 milioni di poveri. Nel nostro sistema corrotto, la ricchezza viene distribuita in maniera iniqua, cosicché, mentre i nostri ricchi sono tra i più ricchi del mondo (secondo Forbes, il messicano Carlos Slim Helu è al settimo posto nella classifica 2018 dei miliardari, ndr), i nostri poveri appartengono alla parte più povera. Già di per sé questa sarebbe una forma di violenza inaccettabile, ma se vi aggiungiamo la sistematica negazione dei diritti umani, accesso alla salute, all’educazione, alla giustizia, ecco allora che la povertà messicana assume dimensioni veramente angoscianti. Se poi, a tutta questa angoscia, sommiamo 200mila morti e 40mila desaparecidos negli ultimi 12 anni, un numero imprecisato di cartelli narco e di organizzazioni criminali che sottraggono il controllo del territorio alle istituzioni dello stato, il lento ma inesorabile esaurimento delle riserve petrolifere, e i riflessi su scala nazionale della crisi del lavoro che si registra a livello planetario, la relazione tra i problemi che affliggono il Messico, in questo momento nevralgico della sua storia, tesse un panorama complesso che richiede soluzioni creative, originali, collaborative, plurali e – prima di tutto – nonviolente».


Per 4 euro al giorno
In tutti i paesi, il sistema economico privilegia la finanza e maltratta il lavoro. La disoccupazione e la sottoccupazione sono il problema socioeconomico per eccellenza. Com’è messo il Messico? Cosa potrà fare il governo di Amlo?
«In Messico, il lavoro non costa niente. Il salario minimo non arriva a 89 pesos al giorno (circa 4 euro, ndr). Molte famiglie, moltissime, devono sopravvivere con due o tre salari minimi, scegliendo – giorno dopo giorno – se la priorità è mangiare, proteggersi dal freddo, muoversi con un mezzo pubblico o comprare un farmaco che a volte può essere vitale: ognuna di queste opzioni esclude automaticamente tutte le altre. Siamo il paese dell’economia informale, dove più della metà dei lavori si fa in nero, senza contributi e senza assicurazioni. Professioni come insegnare nelle scuole di ogni ordine e grado, o la ricerca scientifica sono oggetto di retribuzioni basse e sempre esposte alla precarietà del mercato. Non è difficile incontrare una persona che sia ingegnere chimico o architetto e che, in mancanza di altro, abbia scelto di guidare un taxi più o meno autorizzato.


In questo contesto che definirei più di miseria che di povertà, le grandi imprese – messicane e straniere – fanno affari d’oro. Per i governi anteriori, creare posti di lavoro era un’impresa relativamente facile: in fondo bastava regolare il mercato del lavoro informale e mettere, sul vassoio d’argento delle imprese straniere, migliaia di posti di lavoro sottopagati o, come preferisco dire io, offrire al miglior offerente centinaia di schiavi. Questo scandalo, con Amlo, deve avere fine. La nuova ministra del Lavoro, Luisa Alcalde (avvocatessa di 35 anni appena) ha già annunciato un incremento sensibile del salario minimo che, in pochissimo tempo, dovrebbe addirittura raddoppiare, spingendo in questo modo verso l’alto tutti gli altri salari».


(David Ludwig) elaborazione MC/Kreativezone
I vicini del Nord
Negli Stati Uniti, Donald Trump fa il bello e il cattivo tempo, governando via tweet. Il presidente accusa il Messico di varie cose: di esportare negli Usa migranti illegali e droga, ma anche di rubare lavoro agli statunitensi con le industrie Usa delocalizzate sul territorio messicano. Questi problemi indubbiamente esistono. Come è possibile affrontarli e risolverli senza arrivare alle soluzioni drastiche proposte da Trump?
«Migliorando le condizioni di vita di milioni di messicani in Messico. Restituendo, una volta per tutte, il suo vero significato alla sicurezza umana: accesso universale alla salute, all’educazione e alla giustizia; stipendi e condizioni lavorative rispettosi della dignità umana; un accordo di libero commercio che includa anche il libero movimento delle persone. In realtà sono queste le misure drastiche e coraggiose di cui abbiamo bisogno. Quelle di Trump sono solo il riflesso becero delle pulsioni più basse dell’opinione pubblica statunitense».

 Si ha l’impressione che il Messico sia indeciso tra l’essere un paese latinoamericano o un paese più legato ai vicini del Nord, Usa e Canada. È un’impressione errata?
«Verrebbe quasi da dire che ogni Sud ha il proprio Nord e che, per ovvie ragioni, ogni Nord ha il proprio Sud. Il Messico è un paese latinoamericano dell’America Settentrionale. In questo, non c’è nessuna contraddizione. La nostra realtà è peculiare proprio grazie alla nostra posizione geografica e alle nostre caratteristiche culturali: non siamo un paese sudamericano, con buona pace dei giornalisti italiani che continuano a descriverci come tale, perché sul planisfero non ci troviamo a Sud del mondo; siamo piuttosto un paese nordamericano di cultura e lingua latine. In questo contesto di diversità, si forma la nostra ricchezza culturale e, proprio da qui, ha origine una rete di opportunità per il Messico e per tutto il continente americano. Noi, oggi, abbiamo l’occasione di proporci come ponte fra il Nord e il Sud, una sorta di cerniera tra le due Americhe: un ponte culturale, sociale, politico, economico, senza muri e con pari opportunità per tutti gli abitanti di tutti i paesi che costituiscono questo meraviglioso e variegato bi-continente. Sento che il progetto di Amlo è portatore proprio di quei principi necessari per trasformare il Messico nella terra di incontro tra tutti i popoli americani: il suo è un messaggio di dialogo, nonviolento e carico di segnali positivi e umanistici che mettono sempre al centro il bene della persona umana a prescindere dalla sua appartenenza etnica, partitica e religiosa».

Professor Pagliai, il benessere di una persona è legato alla salute e all’educazione. In Messico esistono una sanità e una educazione pubbliche?
«In Messico esistono sia un’educazione che una sanità pubblica. La qualità dei servizi è profondamente scaduta negli ultimi 25 anni,  a causa di una cultura neoliberale che ha relegato i poveri nel settore pubblico spostando i ricchi verso quello privato. Da quando l’educazione pubblica è diventata, essenzialmente, l’educazione dei poveri, la sua qualità è scesa vertiginosamente. Lo stesso dicasi per la salute: gli ospedali per poveri hanno una bassa qualità dei servizi. Il tutto, però, non è irreversibile. Siamo ancora in tempo per cambiare il senso di marcia».

Per chi votano i poveri
Amlo è stato eletto soprattutto dai poveri, ma anche Matteo Salvini e Donald Trump sono stati votati ed eletti da disoccupati, emarginati, impauriti. Dove sta la differenza? È il fallimento della democrazia?
«Vero, ma la povertà di cui parlo io è un’altra cosa, si tratta di morire di fame, di diarrea, di un raffreddore banale… Vero, ma i disoccupati che votano Salvini non sono necessariamente gli ultimi. Vivono difficoltà grandi, non possono pagare l’affitto, perdono la casa che stavano comprando, ma di lì alla fame e alla disperazione assoluta il salto è grande. Direi piuttosto che alla base del voto leghista e, solo in parte, pentastellato, c’è una buona dose di povertà culturale, quella che, con grande scandalo di alcuni, chiameremmo più volentieri “ignoranza”. Quando poi è la “paura” a scegliere, beh, allora sì, la democrazia ha fallito miseramente. E non si tratta di sminuire i problemi degli italiani – problemi indubbiamente enormi – quanto di dimensionarli su scala mondiale: molti “poveri” italiani sono convinti che la loro povertà sia come quella dei “poveri” africani che si imbarcano sui gommoni. Si sbagliano. C’è povertà e povertà. E, comunque, la povertà non santifica il povero a priori. Se per combatterla, il povero italiano finisce per aggredire il povero extracomunitario con il peso e il potere delle proprie leggi, del proprio sistema, della propria ricchezza insomma, ecco che la povertà dell’italiano diventa un motore di violenza come tanti altri. Il carburante dell’odio. Chi erano gli elettori di Hitler? Chi sono i sostenitori di Maduro? Essenzialmente poveri. Poveri che, per uscire dalla propria condizione, autorizzarono la limitazione dei diritti di tutti (compresi i propri), sopportano la violenza esercitata contro gli altri e chiedono a gran voce la criminalizzazione, la stigmatizzazione, l’emarginazione e l’espulsione degli altri poveri. Ora, se per fallimento della democrazia si intende il fallimento globale di un progetto-paese chiamato Costituzione, mi trova tristemente d’accordo».

Online Frank

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #177 il: Gennaio 20, 2019, 16:06:01 pm »
Questo è un articolo di qualche anno fa.

http://www.ilfoglio.info/archivio/293/Il_2_o_paese_piu_corrotto.htm

Citazione
DAL NOSTRO “INVIATO” NEL MESSICO
Il 2° paese più corrotto del mondo

Il Messico è un paese di oltre centodieci milioni di abitanti, dei quali, si calcola, quasi quaranta vivono sotto la soglia di povertà. Ma questa parte della popolazione, così calcolata in base a un reddito minimo in dollari, si riduce di un terzo se si prende la soglia utilizzata dalla Fao, e di oltre la metà se si utilizza il metodo messicano del salario minimo mensile, che consente di acquistare i beni di sopravvivenza per una famiglia di quattro messicani, che – si sa – consumano molto meno di uno statunitense.
Quando però si percorrono le vie di una qualunque delle principali città del Messico (e qui tutte le città sono più grandi di Torino) si può constatare che il paese ha superato la fase dello sviluppo, e che conta con un settore industriale da grande potenza economica (è per esempio l’ottavo costruttore automobilistico mondiale) e con un mercato moderno e dinamico. Da tre anni l’inflazione è stabilmente al di sotto del sei per cento, e il peso – la moneta locale – si è rivalutata del dieci per cento rispetto al dollaro, consentendo alla banca centrale messicana di rimborsare a basso costo i prestiti del Fondo Monetario Internazionale, che aveva ricevuti dopo la drammatica crisi del 1995.

Il Messico si presenta, per certi versi, come l’esempio di un paese che, applicando i consigli del Fmi, ha saputo dare stabilità alla propria economia.

Certo le privatizzazioni sono state fatte “alla messicana”: mettendo nelle mani di poche potentissime famiglie locali alcuni monopoli strategici come i telefoni, il gas, le ferrovie. Peraltro i monopoli delle aziende di stato sono un cancro di corruzione di dimensioni immonde: la sola PeMex (la compagnia di stato che estrae e distribuisce tutto il petrolio del paese) distribuisce in bustarelle a politici e sindacalisti tanti soldi quanti basterebbero per costruire una raffineria all’anno. E invece il petrolio estratto parte negli Stati Uniti per essere raffinato, e da lì ritorna sotto forma di benzina, così scadente (per forza, la migliore se la tengono gli Usa!) che la percentuale di zolfo è di 300 parti per milione (roba che da noi nemmeno si usava negli anni Sessanta!).

Nessuno meglio dell’attuale presidente messicano Vicente Fox avrebbe potuto da un lato convincere i paesi ricchi all’aumento progressivo dei loro contributi allo sviluppo e dall’altro testimoniare che la stabilità politico-economica e la lotta alla corruzione sono condizioni accettabili e benefiche per i paesi in via di sviluppo.

Perché proprio Vicente Fox e il Messico dovrebbero accreditarsi questa duplice credibilità?

Lotta alla corruzione.

Insediato alla Presidenza della Repubblica federale messicana nel dicembre del 2000, questo ex Vice-President della Coca Cola per l’America Latina (ma niente a che vedere con Berlusconi, a confronto del quale il messicano giganteggia non solo in statura fisica, ma soprattutto morale e politica) ha finora coerentemente concentrato le sue energia sui due temi che gli hanno fatto vincere le elezioni nel luglio scorso: la lotta alla corruzione e alla povertà.

Una barzelletta che ti raccontano i messicani dice che il Messico è il secondo paese più corrotto del mondo, solo perché ha pagato qualcuno per non figurare al primo posto della lista. La corruzione è un cancro diffuso a qualunque livello della società e a qualunque livello di potere (non è affatto vero che più si è miserabili più si è onesti, o per lo meno non qui). Per esempio, quando ho ospiti europei, vado a parcheggiare a fianco della cattedrale, in pieno Zocalo, dove un ragazzino scalzo mi scosta la catena in ferro su cui è appeso il segnale di divieto di parcheggio (non sempre c’è posto, qualche volta è pieno anche lì). L’operazione mi costa quindici pesos – una cifra esorbitante in confronto alle mance che di solito si pagano a chi ti sorveglia la macchina – ma il ragazzino mi ha spiegato gentilmente che solo cinque pesos restano a lui, gli altri dieci li consegna come tangente al poliziotto che, all’angolo, sorveglia il traffico con il fucile a pompa spianato.

Le somme impiegate ogni anno nella corruzione non sono affatto distribuite in modo democratico: esse crescono in modo esponenziale con il crescere del potere e della posizione sociale. A Tijuana è stato recentemente arrestato il “Grande Vecchio” del cartello che organizza i sequestri di persona (ti sequestrano per poche ore o per settimane intere, dipende da quanto hai sul conto corrente o da quanto hanno stimato il tuo patrimonio): era il prefetto incaricato della lotta anticrimine, e con lui sono finiti in galera duecento poliziotti della sua squadra. Chi crede che dietro a tutto questo ci sia la Cia o le multinazionali si sbaglia di grosso: i principali beneficiari e organizzatori sono messicani (o, se vogliamo essere storicamente precisi, discendenti dei criolli che fecero la prima rivoluzione con Hidalgo – un prete! –, come in tutti i paesi dove le rivoluzioni destinate a durare sono quelle della borghesia emergente), che poi prontamente investono il loro denaro in solide fiduciarie a NewYork o a Zurigo.

Dunque la lotta alla corruzione ha un obiettivo economico chiaro: recuperare una massa monetaria importante per orientarla poi sui consumi (la mordida che pagano i normali cittadini, potrebbe essere spesa in acquisti e quindi alimentare il mercato interno) o sugli investimenti (le tangenti delle aziende – di stato o private – potrebbero trasformarsi in investimenti produtttivi, per non dire poi del potenziale di piccole imprese che potrebbero finalmente lanciarsi nell’attività senza il freno di burocrati corrotti). Per combatterla non bastano le azioni giudiziarie, ma – come ha ben capito l’attuale governo – è necessario avere leggi e regolamenti semplici e chiari, al posto degli attuali complicatissimi, che sembrano terribili sulla carta, ma che di fatto si rivelano inapplicabili e incontrollabili. Nuove leggi – come per esempio la riforma fiscale – richiedono però anche un quadro istituzionale democratico forte e stabile, per poter essere riconosciute come espressione di consenso popolare. Il Messico ci sta arrivando, paradossalmente proprio grazie al cambio elettorale che – dopo settantanni – ha fatto perdere il potere al Partito Revolucionario Institucional.

Quale altro paese (almeno tra quelli dell’America Latina) poteva mandare al blocco occidentale dei paesi ricchi il messaggio che la prima condizione posta al finanziamento allo sviluppo – «Più democrazia e meno corruzione» – può essere rispettata, e non deve quindi costituire una scusa per chiudere il rubinetto dei finanziamenti? Certo non l’Argentina di Dualde, o il Venezuela di Chavez (che ha tentato un colpo di stato ed è stato rimesso in sella dai suoi ex-colleghi militari) o la Colombia di Pastrana (in balia di una raccapricciante carneficina tra bande di destra e di sinistra per il controllo del traffico di droga). E dunque il Messico si è candidato a ricevere l’aumento degli aiuti allo sviluppo che è riuscito a strappare a George Bush nel corso del vertice dell’Onu sul finanziamento allo sviluppo, svoltosi in marzo a Monterrey, poiché è naturale che il primo beneficiario debba essere – visto che si comporta da persona civile – il vicino del piano di sotto.

Lucha a la pobreza.

La seconda condizione posta dai paesi ricchi per finanziare lo sviluppo dei paesi poveri è che, appunto, gli aiuti arrivino direttamente ai poveri, senza fermarsi prima nelle tasche dei ricchi dei paesi poveri. Anche su questo il Messico di Vicente Fox può vantare il diritto a prendere la parola.

Infatti il secondo pilastro della politica del governo foxista è la lucha a la pobreza, la lotta alla povertà. Considerata la drammatica carenza di risorse statali (la finanza pubblica non riesce a raccogliere che un terzo delle imposte dirette dovute, e recentemente il parlamento – ancora a maggioranza Pri – ha bocciato una estensione dell’Iva in sostituzione di tasse e gabelle di difficile esazione), un piano di investimenti pubblici in grandi opere, capaci di generare occupazione, è assolutamente impensabile. Il governo continua dunque una populistica distribuzione di sussidi, che non risolvono nulla, ma nemmeno generano malcontento. Più importante è invece l’azione politica. Nel succitato quaranta percento (o trenta o venti, secondo come lo si calcola) della popolazione al di sotto della soglia di povertà, c’è il cento per cento della popolazione indigena, che conta qualcosa come trenta milioni di persone – aproximadamente, come dice qualunque messicano quando ti dà una cifra. L’idea del presidente è di dare a questa popolazione più diritti e più visibilità politica, nella speranza che sia un primo impulso a uno sviluppo dal basso. Provo a fare un esempio. In Messico quasi il cinquanta per cento della popolazione ha meno di venticinque anni, e gli indios non fanno eccezione. La recente (e criticata) Ley Indigena attribuisce agli indios il diritto di avere, nelle scuole, corsi nella loro lingua e spazi per tramandare le loro tradizioni. Se questa misura riuscisse ad attirare più bambini indios nelle scuole, il tasso di analfabetismo si ridurrebbe, e inversamente crescerebbe la possibilità che gli indios alfabetizzati promuovano con più efficacia i loro affari (i governatori di alcuni stati messicani si interessano molto al caso del nord-est italiano, dove l’artigianato e la piccola impresa – e il lavoro nero – hanno fatto decollare l’economia, senza investimenti in grandi fabbriche).

Il governo di Vicente Fox non ha soldi ed è quindi ovvio che cerchi di attirare in Messico una parte dei fondi Usa destinati allo sviluppo; se il vicino nordamericano aumenta il fondo, la fetta a cui può ambire il Messico è più grande.

D’altra parte anche agli Usa conviene che siano i messicani i primi beneficiari dei loro aiuti. Infatti con il consolidarsi della zona Euro si stanno rendendo conto della necessità di ampliare il proprio mercato interno, e l’integrazione del Messico nella zona di libero scambio nordamericana (Nafta) costituisce un formidabile potenziale di rilancio dell’economia. A patto ovviamente che all’interno del paese vicino si riducano le disuguaglianze sociali, fonte di instabilità politica ed economica.

Stefano Casadio

Online Frank

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #178 il: Gennaio 20, 2019, 16:10:56 pm »
http://www.liberainformazione.org/2014/11/03/narcos-polizia-e-corruzione-in-messico/

Citazione
Narcos, polizia e corruzione in Messico
di Piero Innocenti il 3 novembre 2014. Internazionale

La corruzione è, da molti anni ormai, il cancro che sta devastando il tessuto sociale e istituzionale del nostro paese e di molti altri. Quando, poi, riesce ad insinuarsi nei settori più delicati di uno Stato come sono quelli deputati a garantire la sicurezza pubblica, il rischio che un paese diventi un “fantoccio” nelle mani delle mafie è reale. E’ quanto sta accadendo in Messico dove non si contano più gli episodi di collusioni tra le varie polizie, federale, statali, ministeriali, municipali e la criminalità organizzata, in particolare quella del narcotraffico. L’ultimo episodio è di pochissimi giorni fa (30 0ttobre) con la destituzione di 230 agenti della polizia di Naucalpan, inclusi sei comandanti, su un organico di circa 2.400 unità. Per tutti l’accusa di detenzione di droghe, falsificazione di atti pubblici ed altri gravissimi delitti ( un comandante prestava le armi in dotazione ai malviventi per le loro scorribande). La credibilità delle polizie nei vari Stati messicani è compromessa da anni, al punto che il Governo federale, nel contrasto alla criminalità, in diverse regioni e città, ha fatto spesso ricorso, a partire dal 2007, all’impiego dell’esercito ritenuto più affidabile. Le “epurazioni” poliziesche, in conseguenza di indagini svolte, per lo più, dalla polizia federale e i mancati superamenti degli “esami di affidabilità”, cui vengono sottoposti periodicamente i poliziotti dei vari municipi, hanno fatto emergere casi davvero inquietanti.

Tra questi vorrei ricordare la “chiusura”, da parte del governatore, nel maggio 2010, del comando di polizia di Panuco (Veracruz), con il licenziamento di 98 agenti che non avevano superato i test di “affidabilità” per svolgere la loro funzione pubblica. Sempre a maggio, il segretario della sicurezza pubblica di Nuevo Leon, informa che 215 poliziotti sono stati destituiti per “fatti gravi” e verranno rimpiazzati da 150 agenti dei federali. Alcuni giorni a dopo, militari dell’esercito occupano il comando di polizia di Amazucas arrestando 37 agenti ritenuti collusi con gruppi di narcotrafficanti. In un clima di sfiducia diffusa e di paure, molti poliziotti, in diversi municipi, presentano domanda di dimissioni. Armi e munizioni, si accerterà, vengono vendute dai poliziotti di Ciudad Juarez ai narcotrafficanti,città in cui, alla fine del 2010 si contavano circa tremila omicidi. Grande scalpore, poi, la rivolta di circa duecento poliziotti federali che, nell’agosto, bloccano alcune vie cittadine reclamando la “cacciata” del loro comandante soprannominato “Lo Sciamano”. Impietose le immagini televisive che mostrano alcuni ufficiali corrotti schiaffeggiati in strada dagli agenti. Il 2010 si chiude con le manette per 12 agenti accusati di complicità con il cartello dei Los Zetas. Tra gli episodi del 2011 va segnalato l’arresto, a febbraio, da parte di fanti della marina Militare, di 36 poliziotti in servizio a Manzanillo, Tecoman e Villa de Alvarez. Per tutti l’accusa è di favoreggiamento della criminalità del narcotraffico. Diverse decine i poliziotti arrestati nei mesi seguenti tra cui 23 di Tarandacuao implicati anche in tre omicidi e 66 agenti delle polizia di Acambaro, Jarecuaro e Coroneo in combutta con il cartello de La Familia Michoacana. In questo desolante scenario istituzionale che vede gli arresti di molti poliziotti per attività estorsive in danno di commercianti, rapine, furti, omicidi ed altri gravissimi delitti, la notizia, il  2 agosto 2011, della più grande epurazione mai avvenuta nella storia della magistratura messicana. Ventuno dei trentadue delegati statali della Procura Generale della Repubblica, “rinunciano” al loro incarico in conseguenza di indagini per corruzione.


Intanto, grazie alla richiesta di informazioni avanzata nell’ottobre 2011 dall’Istituto di Accesso alla Informazione Pubblica, la Polizia Federale rende noti i dati che riguardano gli agenti sottoposti ad indagini per delitti vari: 4.559 nel 2010 e 4.175 nel 2011. I processi, in realtà hanno riguardato soltanto 75 poliziotti e solo per 27 si è avuta una sentenza di condanna. Naturalmente casi di corruzione accertati anche per le alte gerarchie con gli arresti, nel maggio 2012, dell’ex vice segretario della difesa nazionale e di altri due generali in pensione accusati di collusioni con il cartello dei narcos dei Beltran Leyva. Agli inizi del 2013 mentre si registrano violenti scontri a fuoco tra gruppi di narcos in diversi municipi a cavallo tra gli Stati di Coahuila e Durango, una sessantina di agenti delle polizie municipali di Lerdo e di Gomez Palacio, vengono arrestati per favoreggiamento di bande di criminali.  L’anno termina con l’arresto, a ottobre, di tredici federali che avevano organizzato una banda dedita ai sequestri di persona alcuni dei quali conclusi con la morte delle vittime. Nel 2014, tra i tanti fatti, vanno segnalati il gravissimo episodio di fine settembre verificatosi ad Iguala con una cinquantina di studenti bloccati e fatti sparire dai poliziotti in combutta con la gang di narcos di Guerreros Unidos ( una costola del cartello dei Beltran Leyva) e su indicazione del sindaco e del comandante della polizia municipale. Si stanno cercando ancora i loro corpi. A ottobre, 101 agenti di Ixtapan de la Sal vengono disarmati da militari dell’esercito e sottoposti a indagini per presunti collegamenti con la c.o. Due giorni dopo in carcere finiscono il sindaco e il direttore della sicurezza pubblica. E non è finita.

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #179 il: Gennaio 20, 2019, 16:30:53 pm »
Ad esempio: quale quotidiano o tg nazionale ha parlato in maniera approfondita di questo scandalo?

https://uploads.knightlab.com/storymapjs/279b3d34f91088d223a11fb277db3583/odebrecht-la-mappa-della-corruzione/index.html

https://it.businessinsider.com/odebrecht-il-caso-piu-grande-di-corruzione-della-storia-nasce-in-brasile/

Citazione
“Il caso di corruzione più grande della storia”: 778 milioni di tangenti dal Brasile all’Africa e America Latina
Janaina Cesar    10/3/2017 6:00:47 AM   15678


La sede del gigante brasiliano delle costruzioni Odebrecht a Sao Paulo. Nelson Almeida/AFP/Getty Images
Qual è il prezzo da pagare per diventare la principale multinazionale dell’America Latina nel settore dell’edilizia e delle infrastrutture? Il gruppo Odebrecht ne sa qualcosa. Secondo il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, dal 2001 allo scorso anno la holding brasiliana ha pagato 778 milioni di dollari in tangenti a funzionari governativi di 12 Paesi dell’America Latina e dell’Africa in cambio di un centinaio di grossi appalti per oltre di 1,4 miliardi di dollari.  La compagnia ha patteggiato e ha ricevuto una multa record di 3,5 miliardi di dollari.



Odebrecht, presente in 28 Paesi con 168.000 dipendenti, si è aggiudicata numerose gare. Stadi di calcio in Brasile per le Olimpiadi, autostrade in Colombia, una centrale idroelettrica in Angola e diverse metropolitane in Sud America. Lo schema corruttivo internazionale è venuto a galla dopo che la compagnia ha ammesso le proprie responsabilità e ha accettato di firmare con le autorità del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, il Pubblico Ministero Federale del Brasile e la Procura Generale della Svizzera, i quali avevano costituito una task force internazionale per indagare su di essa.

Il giro di mazzette distribuite da Odebrecht è stato scoperto durante l’inchiesta Lava Jato, “mani pulite” brasiliana che nel 2014 ha iniziato a indagare il vasto sistema di corruzione in Petrobras – la statale petrolifera del paese verdeoro –  coinvolgendo i vertici della compagnia, le più grandi aziende brasiliane di costruzioni e lavori pubblici (BPT) e politici di vari schieramenti – l’ex presidente Luis Inacio Lula da Silva è stato denunciato così come l’attuale presidente Michel Temer e un centinaio di politici sono stati citati dai collaboratori di giustizia –  fino ad arrivare al “più grande caso di corruzione della storia”, come è stato definito dalla giustizia americana.

Un anno e mezzo dopo l’inizio delle indagini, nel giugno del 2015, i procuratori brasiliani a capo della Lava Jato hanno chiesto l’arresto di Marcelo Odebrecht, presidente e nipote di Norberto, il fondatore del gruppo. Da quel momento si è iniziato a delineare il sofisticato schema di corruzione messo in piedi dalla conglomerata brasiliana, che, per pagare le mazzette, aveva creato nel 2006 un vero e proprio dipartimento tangenti – noto in Brasile come “settore delle operazioni strutturate” – tramite il quale si aggiudicava contratti pubblici. Secondo le autorità americane, anche le mazzette internazionali provenivano da questo dipartimento. L’azienda ha utilizzato diversi modi per riciclare denaro e ostacolarne la rintracciabilità, come l’utilizzo di una rete di offshore in giro per il mondo.


I tentacoli di Odebrecht. Dopo aver messo in ginocchio l’establishment politico brasiliano, la holding ha svelato la rete corruttiva che operava in America Latina e Africa. Secondo il Dipartimento di Giustizia americano, l’azienda ha distribuito mazzette a politici e agenti governativi in Angola, Argentina, Brasile, Colombia, Ecuador, Guatemala, Messico, Mozambico, Panama, Perù, Repubblica Dominicana e Venezuela.

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La multa più alta della storia. Marcelo Odebrecht e altri 77 dirigenti di alto grado dell’azienda hanno deciso di collaborare con gli inquirenti e hanno firmato degli accordi in cambio di uno sconto di pena. Odebrecht, inizialmente condannato a 19 anni di reclusione per corruzione, riciclaggio e associazione per delinquere, ha avuto una riduzione a 10 anni, di cui due e mezzo da scontare in carcere e il resto ai domiciliari. Inoltre, lo scorso dicembre, ha patteggiato una multa di ben 3,5 miliardi di dollari per chiudere i processi in corso in Brasile, Stati Uniti e Svizzera nei confronti della sua azienda. Fino ad allora, la multa più alta per corruzione era quella di 800 milioni di dollari inflitta alla tedesca Siemens dopo un accordo col dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.  L’80% dell’importo andrà al governo brasiliano e il restante sarà diviso equamente tra Stati Uniti e Svizzera.

A far finire il gruppo Odebrecht al centro delle indagini condotte dagli inquirenti statunitensi e svizzeri sono state le scoperte di diverse somme di denaro nelle banche elvetiche e di varie operazioni di riciclaggio di valuta effettuate sul suolo americano.

Indagini a catena. Lo scorso febbraio, il procuratore generale del Brasile Rodrigo Janot, allo scopo di trovare soluzioni comuni per il caso Odebrecht, ha organizzato un incontro con altri procuratori o loro rappresentanti di 10 Paesi: Argentina, Cile, Colombia, Ecuador, Messico, Panama, Portogallo, Perù, Repubblica Dominicana e Venezuela. Seppur non citati dalle indagini americane, Portogallo e Cile hanno partecipato all’incontro perché indagini nei confronti dell’azienda sono in corso anche in questi Paesi.

Nel corso del vertice si è deciso di creare un pool congiunto allo scopo di condurre indagini bilaterali o multilaterali e di coordinare il lavoro in Brasile e negli altri Paesi in cui il gruppo Odebrecht ha pagato tangenti o commesso altri atti illeciti. Fra i documenti che verranno trasmessi dalla giustizia brasiliana ai pubblici ministeri di altri Paesi si trovano i 77 accordi di collaborazione firmati da altrettanti dipendenti della holding. Sono più di 800 le deposizioni contenenti nomi e resoconti dettagliati sulle tangenti pagate e anche una guida con tutti i contratti pubblici ottenuti tramite corruzione.

Finora la bufera giudiziaria latinoamericana ha portato l‘arresto di Gabriel Garcia Morales, viceministro per il Trasporto della Colombia durante il governo guidato da Alvaro Uribe. Nei suoi confronti l’accusa di aver ricevuto 6,5 milioni di dollari per favorire il gruppo Odebrecht nell’appalto per la costruzione della Ruta del Sol (Strada del Sole), che collega la capitale Bogotà con la regione del Caribe. Anche la campagna elettorale dell’attuale presidente Juan Manuel Santos avrebbe beneficiato di milioni di dollari di tangenti. In Argentina, a trovarsi in difficoltà è Gustavo Arribas, capo dell’intelligence dell’attuale governo di Mauricio Macri. Arribas ha ammesso di aver ricevuto 600.000 dollari dalla Odebrecht nel 2013.

In Perù le indagini sono in fase avanzata e hanno già portato al mandato d’arresto dell’ex presidente Alejandro Toledo, sospettato di aver ricevuto 20 milioni di dollari dai rappresentanti di Odebrecht.

Oltre a Toledo, altri due ex presidenti, Ollanta Humala e Alán García, sono coinvolti nello scandalo.  La procura generale dell’Ecuador ha chiesto alle autorità giudiziarie statunitense e spagnola di collaborare alle indagini. Per nove anni (dal 2007 al 2016), la Odebrecht avrebbe pagato tangenti a funzionari governativi di questo paese.

Con la giustizia della Repubblica dominicana la Odebrecht ha concordato il pagamento di una multa di 184 milioni di dollari per le tangenti pagate fra 2001 e 2014. In Panama sono coinvolti alcuni parenti dell’ex presidente Ricardo Martinelli. Il fratello Mario e suoi figli Ricardo Alberto e Luis Enrique sono stati accusati di aver ricevuto circa 20 milioni di dollari in tangenti dal gruppo brasiliano. Gli inquirenti del Guatemala chiederanno alle autorità giudiziarie di Stati Uniti e Brasile di collaborare alle indagini.

Dallo scorso dicembre il Messico indaga l’azienda brasiliana per un giro di tangenti del valore di 10 milioni e mezzo di dollari. Anche il Portogallo indaga sui contratti stipulati con Odebrecht fra il 2005 e 2011 durante il governo dell’ex primo ministro José Sócrates, arrestato lo scorso anno con l’accusa di corruzione e di frode fiscale.