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Quando in guerra combattono le donne...
Faust:
--- Citazione da: Frank - Marzo 27, 2017, 00:49:12 am ---Anch'io son del parere che la biologia c'entra molto.
Evidentemente gli uomini, i maschi della specie umana, hanno bisogno di un certo addestramento per limitare i condizionamenti e i danni della biologia, perché son veramente pochi quelli che a certe conclusioni arrivano da soli.
Altrimenti, se lasciati a se stessi e "nelle mani" del politicamente corretto femminista imperante, i nostri simili sbarellano che è un piacere.
--- Termina citazione ---
Come non quotare. L'attuale situazione maschile, che è anche un problema sanitario, si risolverebbe in tutta tranquillità se la mascolinità non fosse censurata. Il vero machismo, se la parola ha davvero un significato dispregiativo, non è credere che l'allenamento fisico e la disciplina costante facciano bene e rendano forti, ma credere che un uomo possa vivere sano e in forze senza allenamento fisico e senza disciplina costante. Quest'ultimo atteggiamento dispregiativo nei confronti del corpo è una delle principali cause dei problemi maschili e dipende quasi interamente dalla retorica femminista antimaschile.
ilmarmocchio:
--- Citazione da: Frank - Marzo 27, 2017, 00:37:28 am ---Calcola che sul web, ho letto dei post scritti da soldati di sesso maschile, che definiscono "più cazzute" le soldatesse.*
Oramai siamo messi così e dalla gran parte degli omuncoli odierni non c'è da aspettarsi assolutamente nulla, tranne puttanate a go go.
La presenza femminile rimbecillisce letteralmente i nostri simili, ai quali non pare vero di poter attribuire alle donne qualità decisamente superiori a quelle che le suddette realmente possiedono.
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* Ovviamente in tempo pace...
Vorrei proprio vederle in tempo di guerra, magari in uno sbarco tipo quello in Normandia, ma non insieme ai colleghi di sesso maschile...
No, in battaglioni completamente femminili.
Sarebbe interessante vedere la loro "cazzutaggine" anche sotto tortura, in stile Viet Cong.
Il tutto in nome della parità, ovvio.
...
--- Termina citazione ---
molti di questi zerbini credono che osannare le donne le renda più disponibili sessualmente.
Invece non funziona, anzi.
Sardus_Pater:
Le soldatesse saranno più cazzute, ma a parole. Vorrei sapere che se quei loro colleghi uomini che hanno scritto quelle cavolate le hanno viste in prima linea o se si son cagati sotto da bravi omuncoli zerbini quando hanno avuto a che fare con una sergente fanatica in caserma :shifty: .
Frank:
Leggete questo articolo infarcito di una caterva di puttanate e scritto dalla solita femminuccia complessata.
http://geopoliticalreview.org/2016/11/le-quote-rosa-della-difesa-complesso-ruolo-delle-donne-nelle-forze-armate/
--- Citazione ---Le “quote rosa” della Difesa: il complesso ruolo delle donne nelle Forze armate
9 novembre 2016
di Roberta Lunghi
Nel 1997, il regista Ridley Scott nel suo film «Soldato Jane» fece indossare la mimetica degli incursori americani a Demi Moore. Le gesta dell’attrice potrebbero essere emulate a breve da Kristen Griest e Shaye Haver, le prime donne nella storia a diplomarsi all’Army’s Ranger School, la miglior scuola d’addestramento dell’esercito americano.
Il binomio donne e forze armate suona come un ossimoro: l’esercito, la prestanza fisica e le armi sono caratteristiche tipicamente maschili, in base alle quali l’uomo si differenzia dalla donna. Per lungo tempo le donne non hanno potuto far parte né dell’esercito né della vita pubblica, la loro esistenza era racchiusa all’interno delle mura domestiche. L’immagine di una donna combattente, però, è sempre stata contemplata dalla tradizione popolare: già ai tempi delle leggendarie Amazzoni, il primo corpo di donne armate di cui si abbia conoscenza, e della Pulzella d’Orléans che guidò l’armata francese alla vittoria. L’esercito deve trasmettere un’immagine di stabilità interna, ma anche di forza, valore ed efficienza; dunque, la difesa dello Stato è stata affidata unicamente agli uomini. Il ruolo delle donne in un conflitto è quello di vittime, piuttosto che di soldati, e il loro contributo è quello di offrire i propri figli all’esercito. Mai si è pensato che l’animo femminile potesse incarnare i valori conservatori e tradizionali delle milizie. Quelle che hanno combattuto nel passato, senza legittimazione statale, erano perlopiù partigiane, terroriste o rivoluzionarie.
I primi ad aver attuato una riforma incisiva nel proprio modello di difesa sono stati gli Stati Uniti, dove la comparsa delle donne nelle Forze armate risale alla prima Guerra Mondiale. L’evoluzione del ruolo delle volontarie all’interno dell’esercito ha visto prima le donne arruolarsi per svolgere attività sussidiarie in qualità d’infermiere, di supporto logistico e d’impiegate amministrative. In seguito, si è sentita l’esigenza d’istituire un Corpo femminile con compiti simili a quelli svolti dai colleghi uomini ad eccezione della possibilità di combattere. Infine, la fusione dei reparti ha creato un unico esercito composto da uomini e donne.
Dal punto di vista della struttura militare, uno dei migliori modelli è sicuramente quello israeliano, non solo per l’efficienza dei suoi reparti ma anche per il rapporto uomo-donna al suo interno. Il sesso femminile nell’esercito israeliano è perfettamente speculare a quello maschile, non esistono test di reclutamento diversi e nemmeno valutazioni privilegiate. Le donne che intraprendono questo mestiere sono consapevoli dell’impegno che devono dimostrare prima dell’arruolamento e durante il servizio.
Per quanto riguarda l’Italia, il percorso è stato molto lento. Nel secolo scorso, a partire dal 1919, le cittadine italiane sono state ammesse a tutte le professioni con l’esclusione, però, della difesa militare dello Stato. Si riteneva il sesso femminile non qualificato a grandi responsabilità e si preferiva mantenerle in ruoli non rilevanti; un’esclusione che rappresentava una società impreparata al cambiamento. Il primo evento che ha portato alla riforma delle Forze armate è stato lo scoppio della guerra del Golfo, durante la quale i mass media misero in risalto la figura della donna soldato che non poteva ancora combattere, ma che comunque partecipava attivamente nel conflitto. Nell’ottobre del 1992, fu lanciato un esperimento dall’Esercito nella caserma dei Lancieri di Montebello, dove fu consentito a ventinove ragazze di svolgere per 36 ore le normali attività di addestramento. I sondaggi d’opinione rivelarono un forte sostegno alle donne soldato, specie tra i giovani, e alcune ragazze fondarono l’Associazione Nazionale Aspiranti Donne Soldato (ANADOS) che ha dato un grande contributo all’ingresso femminile nell’esercito. Bisognerà aspettare sette anni affinché il disegno di legge presentato dall’onorevole Spini venisse approvato, a larghissima maggioranza, il 29 settembre 1999. La legge n. 380 del 20 ottobre 1999 ha delegato il Governo a predisporre uno o più decreti per disciplinare l’istituzione del servizio militare volontario femminile, divenuto realtà con i primi arruolamenti nell’anno duemila. L’Italia è stata l’ultima tra le nazioni aderenti alla NATO a consentire l’arruolamento femminile; un’opportunità che ha soddisfatto l’esigenza di confronto del mondo lavorativo militare con quello civile, in un’ottica di pari opportunità di genere, consentendo inoltre di poter compensare parzialmente le perdite di personale connesse con la sospensione della leva. L’abbandono del modello del servizio militare obbligatorio ha permesso alle donne di avere il loro spazio anche nella difesa dello Stato, ma la piena integrazione è ancora molto lontana, in quanto le donne non possono andare a combattere in prima linea. L’equiparazione dei diritti e dei doveri tra uomini e donne rimane ancora oggi una facciata e una realtà incompleta. Le donne soldato, purtroppo, sono ancora spesso vittime di infondati pregiudizi da parte degli uomini; alcuni sostengono che la donna sia fisicamente inferiore all’uomo, che non sia portata per fare il soldato, che l’uomo non può prendere ordini da una donna e che l’esercito è stato fin dai tempi antichi un’esclusiva maschile.
Il primo caso di discriminazione si trova nei test d’ammissione. Per gli istituti di formazione, sia nell’Accademia sia nelle scuole militari, le donne italiane hanno diritto a uno sconto sulle prove fisiche. Negli altri Paesi, sia NATO che non, questa disparità di trattamento e questa attenzione verso il genere femminile non esistono e le donne soldato sono trattate in modo e misura uguale agli uomini. Volontarie o professioniste possono partecipare ai concorsi per il reclutamento di ufficiali e sottufficiali in servizio permanente e di militari di truppa in servizio volontario nell’Esercito, nella Marina, nell’Aeronautica e nella Guardia di finanza. Ai concorsi possono presentarsi tutte le cittadine italiane, ma in base al tipo di concorso variano poi i requisiti e l’età massima. Il Decreto del 27 maggio 2005 ha stabilito, inoltre, l’abolizione delle aliquote negli arruolamenti delle donne nelle Forze Armate e nell’Arma dei Carabinieri.
Alla fine del 2014 risultavano in servizio nelle Forze Armate italiane e nell’Arma dei Carabinieri 11.189 donne tra ufficiali, sottufficiali e militari di truppe mentre nel corso dello stesso anno sono state reclutate 2.586 donne su 19.362 unità immesse, il 13% circa dei posti messi a concorso. Uno dei ruoli principali svolto dalle donne soldato nelle operazioni militari riguarda una serie di attività necessarie ad avvicinare le donne nei territori stranieri, soprattutto nei Paesi islamici, come i controlli e le perquisizioni corporali nei check-point o l’assistenza medica in teatri come l’Afghanistan e l’Iraq, nel rispetto della loro cultura e religione. Le loro attività sono fondamentali per far percepire in modo più positivo la presenza militare straniera dalle popolazioni autoctone. Tale presenza di personale militare di entrambi i generi ha richiesto un cambiamento di approccio nella gestione delle risorse umane, sia per quanto riguarda la vita all’interno dell’organizzazione sia per l’aspetto legato all’impiego congiunto durante i loro compiti istituzionali. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la risoluzione n. 1325 del 2000 a proposito di “Donne, Pace e Sicurezza” ha segnato un punto di svolta; per la prima volta viene menzionato esplicitamente l’impatto della guerra sulle donne e il contributo delle stesse nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole. E’ così stato introdotto il concetto di prospettiva di genere inteso quale capacità di affrontare ed esaminare ogni situazione dal punto di vista sia degli uomini che delle donne, in modo tale da identificare ogni differenza nei bisogni e nelle priorità, come pure nel tipo di contributo che ciascuno di essi può dare. L’argomento più efficace chiamato in causa per sollecitare la sensibilità degli interlocutori è la ricaduta positiva, in termini d’incremento della sicurezza e della forza dei contingenti impegnati in operazioni, derivante dalla sua adozione. E’ quanto si è verificato ad esempio ad Herat, in Afghanistan, nella zona di controllo dell’esercito italiano, dove la tenente degli Alpini Silvia Guberti ha scelto di mettere il velo per facilitare il suo lavoro a contatto con le donne del luogo.
La questione della presenza femminile nei pubblici uffici, nelle Forze dell’Ordine, nelle Forze Armate ed anche in operazioni di peace keeping non attiene semplicemente alla sfera della “political correctness” e delle cosiddette pari opportunità. Si tratta di una questione di valorizzazione delle naturali differenze e dell’impiego ottimale delle potenzialità di ciascun operatore: genere, etnia e cultura devono rappresentare una ricchezza e non un ostacolo per il processo di pacificazione e stabilizzazione. Anche in campo strategico si sono registrati gli stessi trend; la NATO, ad esempio, ha affermato l’importanza del ruolo femminile sia nella risoluzione delle controversie attraverso misure diplomatiche o implicanti l’uso della forza, sia nel potenziamento della cooperazione tra organizzazioni regionali, internazionali e sovranazionali quali l’ONU, l’Unione Europea, l’Unione Africana e altre. Le difficoltà, sorte dalla progressiva espansione del ruolo delle donne nell’esercito e dalla loro crescente presenza in un territorio prevalentemente maschile, hanno causato numerosi problemi di convivenza tra i due sessi. Tra i più gravi si può collocare il fenomeno delle molestie sessuali, in costante aumento sia nella società civile che in quella militare. Un altro problema che è stato, ed è tuttora, al centro di numerose discussioni, è il dibattito sulla possibilità o meno di destinare il personale femminile a ruoli di combattimento. Le motivazioni sono legate alla divisione dei ruoli e alla concezione della donna come essere fragile e debole, un’immagine che non trova più riscontro nella realtà e che contribuisce a rallentare il processo d’integrazione della donna nell’esercito. Le ultime tendenze in materia di difesa vedono la donna impegnata nelle missioni di mantenimento e rafforzamento della pace. Quest’ultimo tabù è stato fatto cadere dagli Stati Uniti all’inizio di quest’anno, con l’abolizione del vincolo che vietava ai militari di sesso femminile di essere impiegate nelle zone di combattimento più avanzato o in missioni delle forze speciali. Una decisione che ha avuto reazioni anche negative da chi come il colonnello inglese Richard Kemp, ex comandante delle truppe britanniche in Afghanistan, reputa le donne una faglia del sistema militare che va ad indebolire lo spirito della missione, ovvero l’istinto killer.
Se da una parte possiamo parlare di una parità raggiunta in molti Paesi, tra i quali quelli dell’Unione europea, dall’altra non è stata raggiunta un’effettiva parità in una realtà in cui le “quote rosa” sono ancora utilizzate come strumento politico, a volte demagogico, anziché di sviluppo. Parità dovrebbe significare integrazione e valorizzazione delle differenze, non livellamento ed imposizione di un’uguaglianza non universalmente accettata.
--- Termina citazione ---
--- Citazione ---già ai tempi delle leggendarie Amazzoni, il primo corpo di donne armate di cui si abbia conoscenza,
--- Termina citazione ---
Le amazzoni sono solo un mito.
Frank:
http://amgreatness.com/2017/01/16/job-men-fight-wars-period/
--- Citazione ---It’s the Job of Men to Fight Wars. Period.
January 16, 2017 by Louis Marano
Any culture that pushes its women toward the battlefield is a culture plunging toward destruction. Only a degenerate culture substitutes women for men in war. It doesn’t deserve to survive and, in the very long run, probably won’t.
In a parting act of vandalism, President Obama has expressed his support for requiring 18-year-old women to register for the draft.
But it would be unfair to blame only Obama. Nominal “conservatives” and military brass have joined the conga line. And taking sophistry to a new level, even libertarians repulsed by the very idea of conscription are supporting the initiative on the principle that what’s good for the gander is good for the goose.
Have you people lost your minds?
I’m not a fanatic, and I respect and admire women who wear the uniform. From 2007 through 2009, I was a civilian contractor for the U.S. Army in Iraq, and some of the best young intelligence officers there were women. But men and women are not interchangeable, and the attempt to make them so is destructive socially and ruinous militarily.
I view this issue as an anthropologist, a student of history, a Vietnam veteran, and a former journalist who has done some reporting on the military. Until very recently, every known society has had a taboo against sending women to fight while healthy young men were still available. Taboos, such as the incest taboo, develop when the rewards of an activity are immediate and obvious but the penalties are shrouded and delayed.
In the current all-recruited force, the short-term benefit of relying on 42-year-old grandmothers and lactating mothers is clear: it makes up for the male no-shows. As the late Charles Moskos, the dean of U.S. military sociologists, put it: “Americans seem to prefer somebody else’s daughter dying rather than their own sons.” So wouldn’t drafting women be a salubrious corrective? No. Instead it would be a step toward enshrining the interchangeability falsehood. We don’t need to draft women. Since the end of the Korean War, we’ve had more young men of military age in the U.S. population than the armed forces could possibly absorb.
We’ve been able to get away with this debased method of staffing our military because the United States still is a vast, rich country that—although it engages in distant, elective, brushfire wars—still holds a huge advantage in resources, population, and technology over any probable combination of existential enemies. I define an “existential enemy” as a coalition that could defeat our main forces, occupy our homeland, or hammer the United States back into the status of a regional power.
The long-term costs of violating the taboo are hidden but deadly. Our survival as a society is geared not to good conditions, or even average conditions, but to an ability to get through the worst crises. Militarily, that worst crisis is total war, but even in World War I and World War II America got off easy in terms of manpower. (Only the Confederacy approached full mobilization.) With the exception of the Soviet Union, which ran out of men during World War II, none of the major 20th century belligerents pushed women toward combat.
Why? Because men fight better than women, and men fight better when women aren’t around.
War is the great auditor of institutions. All other things being equal, an army of men will beat an army of women. All other things being equal, a society that puts women in the field at the expense of fielding a like number of men will lose its wars. Luckily, all other things aren’t equal, which is why we’re still here.
On December 3, 2015, Secretary of Defense Ashton Carter announced that all military roles would be opened to women, including those in first-line ground combat units whose mission is to locate, close with, and destroy the enemy. In preceding decades, the public had come to accept the presence of women in support units. But even this is misguided for three reasons.
First, support troopers in combat zones are required to perform heavy physical labor more suited to men than women. This includes such tasks as digging entrenchments, filling and stacking sandbags, and moving ammunition crates. The more fluid and chaotic the battlefield, the more these things must be done by hand rather than by machine.
Second, to use a sports metaphor, support units are the infantry’s “bench,” or reserve, and if it’s necessary to use the “bench,” the situation is out of control by definition. It’s not something your own leadership decides. It’s a condition the enemy imposes. The worse the situation on the ground, the more blurred becomes the line between the infantry and everyone else. And when women dilute the pool of reserve infantry, the commander has less force and fewer options at his disposal.
In 1942, for example, PT boat sailors, fighter pilots, and ground crews were assigned infantry duties on Bataan. Late in 1944, the German counteroffensive in the Ardennes was stopped largely by the work of small, isolated combat engineer units (now sexually integrated) fighting as infantry. After the Luftwaffe was all but destroyed, U.S airmen were ordered to Eisenhower’s depleted infantry divisions as replacements—even though the Allies had the initiative at the theater level.
In the summer of 1950, in Korea, the 34th Regiment of the Army’s 24th Infantry Division was almost wiped out and had to be reconstituted from support troops. The backbone of the new regiment was the 3rd Engineer Battalion, but soldiers also were taken from supply, ordnance, communications, and headquarters assignments to fight as riflemen along the Naktong River at the Pusan Perimeter. And, of course, during the withdrawal from the Chosin Reservoir the following winter, Army and Marine support troops had to fight as infantrymen.
No good would have come from women being involved in these operations at the expense of a like number of men. The deeper the “bench,” the stronger the army.
The third reason why women don’t belong in support units is the matter of sexual attraction and distraction, favoritism or even the appearance of favoritism, as well as damage to unit cohesion and morale. In Vietnam, I commanded a company in a support battalion that then was all male but now is mixed sex. I shudder to think of how much more difficult my job would have been if the outfit had included women. The military isn’t just another “job,” and you can’t go home at the end of the day.
In 1988, as a reporter, I covered the deployment of U.S. forces to the mountains of Honduras. While frustration, heartbreak, and jealousy didn’t seem to be a problem for the Army reservists and National Guard members who came into the camp and returned to the United States after a few weeks, they certainly were present among the sexually mixed camp cadre, who had to live with each other for almost a year.
How about Iraq? Let’s just say that, on missions, the chatter over the Humvee intercoms was both enlightening and consistent with my earlier observations. Human nature doesn’t change, and we are asking for trouble by pretending it has or will.
As for pregnancies, some instances are intentional as a form of malingering and a way to shirk overseas assignment. Women also have a much higher injury rate. And there is the matter of children left motherless by repeated deployments.
It was drilled into my head when I was on active duty that the mission came first and the welfare of the people I led came second. Aren’t those who demand equal opportunity for women in combat violating that most basic principle of military leadership? What’s good for individual careers isn’t necessarily good for the country.
The mission of the armed forces is to win wars, not under the best conditions or average conditions but with a margin for error under worse conditions than can be imagined. In extremis, the country that puts women in the field at the expense of men will lose. Meeting such a crisis successfully is never easy, and it might become impossible if our culture changes to the point where American men are no longer embarrassed to have women do their fighting for them.
--- Termina citazione ---
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