Autore Topic: Quando in guerra combattono le donne...  (Letto 13303 volte)

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Online Frank

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #30 il: Marzo 26, 2017, 19:22:28 pm »
E' un articolo di un anno fa, ma l'ho scoperto solo oggi.

http://www.askanews.it/video/2016/03/12/lotta-al-terrorismo-parla-la-prima-donna-del-nocs-20160311_video_18284076/

Citazione
Roma, (askanews) – Il Nocs, Nucleo operativo centrale di sicurezza, è un reparto d’élite della polizia di Stato, chiamato nelle situazioni di emergenza, come la liberazione di ostaggi o la cattura di terroristi. Per entrare nel nucleo, la selezione è durissima e l’addestramento è continuo. Sono sempre pronti ad intervenire. E nella cabina di comando dei Nocs, c’è anche una donna. E’ il primo funzionario donna nella storia di questo reparto speciale. E nel testo a corredo del video, ha rilasciato ad askanews la sua prima intervista.

Ventisei anni in polizia, prima l’Accademia, poi sulle strade di Napoli a rubare con gli occhi l’esperienza dei colleghi; e dopo anni di lavoro come poliziotta, la voglia di mettersi ancora alla prova e fare qualcosa che sembrava folle: entrare nei corpi di élite, nel Nocs. Ora è la prima funzionario donna in questo gruppo speciale della polizia di Stato, addestrato per portare a termine operazioni ad alto rischio come la liberazione di ostaggi o la cattura di terroristi. Nessuno sa chi siano questi agenti speciali, i loro nomi e volti sono segreti, ma ci sono, pronti ad agire, sicut nox silentes, silenziosi come la notte, dice il loro motto.

Io la chiamo Anna, un nome di fantasia perché il suo nome è un segreto, e la intervisto al telefono, perché anche il suo volto non deve essere visto, ma la sua voce è gentile ed ha la calma di chi sa cosa fare. “Sono riservata, preferisco stare dietro le quinte ma – dice, spiegando perché ha accettato l’intervista, la prima – è anche bello portare la voce della polizia di Stato, far sapere l’impegno e il lavoro che facciamo, è un po’ abbattere anche così le barriere”. Lei ha abbattuto le barriere di un mondo che era riservato agli uomini: da due anni, a giugno, è nel Nocs, il primo funzionario donna di questo reparto scelto, chiamato a risolvere le emergenze e a garantire la sicurezza di fronte alle minacce del terrorismo. Un mondo dove una donna che dà ordini è una novità ma – confida Anna – “di fronte alla diffidenza di qualcuno non ho mai pensato ‘mi devono rispetto perché sono una donna’, ho sempre pensato ‘hanno ragione’, perché è sul campo e con l’impegno, la fatica che posso e devo conquistarmi l’autorevolezza e il rispetto”.

“Quella di aprire alle donne anche in questi corpi speciali è una decisione maturata dai vertici della polizia per rompere gli schemi ma – assicura Anna – i requisiti per entrare sono uguali per tutti, uomini e donne: il merito, la capacità e poi dopo continuare con l’impegno, il lavoro”. “All’inizio – racconta – ho pensato che fosse una follia, che fosse impossibile. Poi mi sono detta ‘perché no?’. E alla fine tutto si è consolidato con naturalezza. È stato un mettersi alla prova che fa parte della nostra formazione in polizia”. Ed è stata anche una voglia di rompere una barriera, far entrare il mondo femminile in un mondo finora solo maschile. Anna è entrata nel Nocs come dirigente dell’ufficio di supporto operativo, dopo qualche mese è stata nominata vice comandante, e adesso è il vice comandante dell’ufficio e direttrice della sezione istruttori e materiali, cuore pulsante dell’attività, che si cura anche di fornire gli equipaggiamenti e le dotazioni speciali che servono ai gruppi operativi di assalto. “Mi sono messa a studiare con impegno per capire quali potessero essere gli equipaggiamenti speciali migliori”, e come comandante in seconda, nei casi in cui il comandante è assente, deve lei pianificare le missioni e dare gli ordini.

Il Nocs è sempre pronto a intervenire, in ogni parte d’Italia, ogni volta che c’è un allarme, il comandante dà l’ok e tutta la struttura, a cascata, si attiva, tutti sono chiamati a muoversi come una cosa sola. Ci sono squadre dei reparti speciali, gli uomini coi mephisto, sempre pronte a intervenire. Anna racconta di quando un giovane si era barricato in casa armato, il comandante in quel caso era assente ed è stata lei a dover prendere le decisioni e guidare gli operativi in campo, gestire l’allarme, “ma sempre – sottolinea – in collegamento col direttore e col capo della polizia che prendono le decisioni di adeguatezza rispetto a quelle operative decise dal comandante. Sei sempre supportato in questo lavoro, perché è un lavoro di squadra. Si ragiona sul tipo di intervento con l’obiettivo di preservare sempre e comunque la vita, quella dei cittadini e quella degli operatori, ma anche degli stessi sequestratori”. E “in quel caso il ragazzo barricato non aveva ostaggi, l’unico tipo di intervento era quello di entrare nella casa dove si era asserragliato. Ma era chiaro il suo stato di alterazione, quindi abbiamo studiato un intervento per preservare la sua incolumità. Così abbiamo aspettato a fare irruzione, dal pomeriggio alla mattina seguente, e gli operatori hanno usato tutte le cautele per poterlo fermare senza fargli del male. E quando è stato portato fuori quel ragazzo li ha ringraziati, ‘quanto siete belli e bravi’, ha detto. Quel giorno è stata un’emozione indimenticabile, soprattutto perché abbiamo tutti collaborato a risolvere la situazione, senza che nessuno si facesse male. Ci ha ripagato tutti di tante fatiche”.

Nella struttura del nucleo operativo speciale ci sono più componenti, tutta la macchina che supporta le squadre di intervento speciali. Per accedere alle squadre operative di intervento è necessario superare una dura selezione fisica. Ad esempio, correre 5000 metri in 20 minuti e 100 metri in 14 secondi, salto in alto di almeno 135 centimetri, in lungo di almeno 4 metri e mezzo, salita alla fune con la sola forza delle braccia e prove di tiro. Tiratori scelti, i membri dei reparti di intervento devono conoscere tutti i tipi di armi ed esplosivi, sono in grado di arrampicarsi sulla roccia con le corde o pronti a lanciarsi col paracadute; devono essere esperti subacquei e saper guidare tutti tipi di veicoli. Sono molti gli addestramenti che gli operativi devono superare. Il primo step è un corso basico di sei mesi, dove si deve superare un duro addestramento fisico ma anche una rigida valutazione delle capacità attitudinali, perché viene richiesto un grande equilibrio per superare situazioni di emergenza e ad alto rischio, come un attacco terroristico. E nell’ultimo corso c’è stata anche la prima donna, che lo ha superato. Anna ha seguito da vicino il percorso della sua collega e “ha avuto una valutazione totalmente equa. Gli istruttori si sono impegnati a selezionare gli operativi che avessero le più alte capacità”.

“Il lavoro dei nostri – sottolinea infatti Anna con orgoglio – è un grande lavoro che ha in mano il futuro degli operatori e delle persone che si trovano in situazioni particolari di emergenza. È una grande responsabilità. Soprattutto in questo periodo storico dove la lotta al terrorismo e garantire la sicurezza dei cittadini è la priorità”. E se molti sentono parlare del Nocs e dei reparti speciali di emergenza soltanto adesso, “da tempo in realtà, tenendo un basso profilo, come costume del nucleo, siamo pronti. Siamo una presenza silenziosa, noi ci siamo”, dice Anna con fermezza, spiegando: “Dopo gli attentati di Parigi l’emergenza è cresciuta e anche la nostra presenza si è fatta palese, ma a garantire la sicurezza dei cittadini il reparto speciale della polizia c’è sempre anche se nell’ombra. Siamo sempre presenti”. La segretezza, il silenzio, sono loro armi, infatti, ma la scelta di tenere un profilo basso, lontano dai riflettori ha anche un’altra ragione: “Si cerca di non dare risalto a quello che fa il Nocs per non creare allarmismi. Ci basta – dice Anna – la consapevolezza di essere presenti e pronti”.

Anna è un poliziotto, ma anche una donna. E “a volte come donna non è facile, perché da fuori c’è qualcuno che mi guarda stupito, incredulo che ci sia una donna dietro tutto questo. Anche perché io sono una donna normale”. Altezza media, capelli biondi raccolti in una coda – confida- e “tengo comunque a non rinunciare alle piccole classiche cose femminili, come lo smalto colorato. Non ho lasciato quelle piccole cose che possono far parte della nostra vita di donne”. E in un mondo finora al maschile “ho sicuramente creato un po’ di scompiglio, ma ho sempre cercato di essere equilibrata, ferma e decisa. E di prendere comunque le mie decisioni in totale trasparenza, confrontandomi con tutti nel rispetto delle capacità di tutti. Non tutti sono stati uguali nell’affrontare questa novità, ricevere ordini da una donna, ma in ogni caso non puoi dare ordini dimenticando di rispettare le grandi capacità e professionalità che ha anche chi riceve gli ordini”.

“Il mio comandante è una persona molto equilibrata e illuminata, che mi dà grandi responsabilità, e ho il supporto del direttore, del capo della polizia; e poi ho la fortuna di avere dei collaboratori vicino che mi danno consigli preziosi”, ma in questo mondo maschile “ci può anche essere qualcuno che non ha accettato bene di prendere ordini da una donna, c’è qualcuno che lo fa solo per rispetto alla gerarchia e c’è qualcuno che invece ti apprezza”, dice con molta serenità Anna, che racconta quali sono le sue armi per superare qualche diffidenza che ha incontrato: “Io sto anche molto attenta a rispettare le competenze, gli operativi si addestrano tutti i giorni, non posso sostituirmi alla loro competenza, devo rispettarla, ognuno ha il proprio ruolo e ne tengo conto”. Ma soprattutto “di fronte alla diffidenza di qualcuno non ho mai pensato ‘mi devono rispetto perché sono una donna’, ho sempre pensato ‘hanno ragione’, perché è sul campo e con l’impegno, la fatica che posso e devo conquistarmi l’autorevolezza e il rispetto”.

E “essere donna forse mi ha costretta ad impegnarmi ancora di più. Ma poi a volte ci sono piccoli riconoscimenti, anche banali, e questo ripaga le difficoltà”, ché Anna è sempre e soprattutto una poliziotta: “Sono una poliziotta da 26 anni e anche saper valutare il lavoro sul campo è qualcosa che devi imparare. Quando ero sulla strada a Napoli, dopo l’accademia di polizia, avevo solo 24 anni, una ragazzina bionda con la coda. E molti ispettori più anziani mi hanno aiutato, mi hanno insegnato a ‘rubare con gli occhi il lavoro’. Imparare sempre, ogni giorno da chi ha più esperienza. Un insegnamento che non ho mai dimenticato. Ed è in quest’ambiente che ho maturato il senso del buon senso, sembra un gioco di parole ma è proprio questo il segreto; sia quando gestisci una situazione a livello personale, sia quando sei sul campo a gestire una missione, nelle valutazioni devi sempre essere equilibrata. È un esercizio quotidiano, di grande valore.” “Io – dice – sono frutto di molte esperienze, di quelli che mi hanno insegnato, seguito, supportato, di tutte le persone nella polizia da cui ho imparato, lavorando con loro. Mi hanno insegnato ad andare avanti, anche di fronte alle difficoltà. Ho la fortuna di avere alle spalle tanta dedizione e fatica. Di tutti”.

Anna fa “il lavoro che ho sempre sognato fin da piccola, mio padre era nelle forze di polizia, ho sempre visto il suo impegno, per me è quasi naturale, questo lavoro mi scorre nelle vene, è bellissimo fare quello che ti piace sono fortunata anche se é una fortuna che non è mai stata senza fatica, come per tutti”. Che il suo lavoro ora resti nell’ombra non le importa, “la segretezza è una segretezza verso l’esterno, tanti miei colleghi all’interno della polizia sanno chi sono e cosa faccio. Gli altri, le persone che conosco, con cui ho un rapporto, gli amici, sanno che io sono un funzionario di polizia, e questo basta. Che non sappiano cosa faccio non è un problema, anzi. Io sono sempre un poliziotto e questo lo sanno. Poi forse per me è facile partire anche all’improvviso perché non sono sposata, ma – aggiunge poi sorridendo – non è stata una scelta, è soltanto perché, come per molte donne, non ho trovato l’uomo giusto”.

“Il mio incarico ora è sicuramente prestigioso – mi dice infine Anna, prima di finire l’intervista e tornare al suo lavoro – e spero che sia uno spunto per le colleghe più giovani, per tutte le donne che abbiano la voglia di mettersi alla prova. Sappiano che con l’impegno, la dedizione, la capacità e la voglia di assumersi le proprie responsabilità possono arrivare dove vogliono”.

Offline ilmarmocchio

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #31 il: Marzo 26, 2017, 22:44:51 pm »
Citazione
E’ il primo funzionario donna nella storia di questo reparto speciale.


ah, ecco :doh:

Online Frank

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #32 il: Marzo 27, 2017, 00:37:28 am »
ah, ecco :doh:

Calcola che sul web, ho letto dei post scritti da soldati di sesso maschile, che definiscono "più cazzute" le soldatesse.*
Oramai siamo messi così e dalla gran parte degli omuncoli odierni non c'è da aspettarsi assolutamente nulla, tranne puttanate a go go.
La presenza femminile rimbecillisce letteralmente i nostri simili, ai quali non pare vero di poter attribuire alle donne qualità decisamente superiori a quelle che le suddette realmente possiedono.


@@

* Ovviamente in tempo pace...
Vorrei proprio vederle in tempo di guerra, magari in uno sbarco tipo quello in Normandia, ma non insieme ai colleghi di sesso maschile...
No, in battaglioni completamente femminili.

Sarebbe interessante vedere la loro "cazzutaggine" anche sotto tortura, in stile Viet Cong.
Il tutto in nome della parità, ovvio.
...

Offline Vicus

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #33 il: Marzo 27, 2017, 00:42:33 am »
La presenza femminile rimbecillisce letteralmente i nostri simili
E' così, ed è un dato probabilmente biologico. Poi senti dire che più donne straniere in Italia migliorerebbero la condizione maschile... :doh:
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Frank

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #34 il: Marzo 27, 2017, 00:49:12 am »
E' così, ed è un dato probabilmente biologico.

Anch'io son del parere che la biologia c'entra molto.
Evidentemente gli uomini, i maschi della specie umana, hanno bisogno di un certo addestramento per limitare i condizionamenti e i danni della biologia, perché son veramente pochi quelli che a certe conclusioni arrivano da soli.
Altrimenti, se lasciati a se stessi e "nelle mani" del politicamente corretto femminista imperante, i nostri simili sbarellano che è un piacere.

Citazione
Poi senti dire che più donne straniere in Italia migliorerebbero la condizione maschile... :doh:

Sì, sicuro.

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Offline Faust

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #35 il: Marzo 27, 2017, 08:16:36 am »
Anch'io son del parere che la biologia c'entra molto.
Evidentemente gli uomini, i maschi della specie umana, hanno bisogno di un certo addestramento per limitare i condizionamenti e i danni della biologia, perché son veramente pochi quelli che a certe conclusioni arrivano da soli.
Altrimenti, se lasciati a se stessi e "nelle mani" del politicamente corretto femminista imperante, i nostri simili sbarellano che è un piacere.

Come non quotare. L'attuale situazione maschile, che è anche un problema sanitario, si risolverebbe in tutta tranquillità se la mascolinità non fosse censurata. Il vero machismo, se la parola ha davvero un significato dispregiativo, non è credere che l'allenamento fisico e la disciplina costante facciano bene e rendano forti, ma credere che un uomo possa vivere sano e in forze senza allenamento fisico e senza disciplina costante. Quest'ultimo atteggiamento dispregiativo nei confronti del corpo è una delle principali cause dei problemi maschili e dipende quasi interamente dalla retorica femminista antimaschile.
Confrontando globalmente uomo e donna, si può dire che la donna non avrebbe il genio dell'ornamento, se non avesse l'istinto del ruolo secondario.

- Friedrich Nietzsche

Offline ilmarmocchio

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #36 il: Marzo 27, 2017, 10:12:48 am »
Calcola che sul web, ho letto dei post scritti da soldati di sesso maschile, che definiscono "più cazzute" le soldatesse.*
Oramai siamo messi così e dalla gran parte degli omuncoli odierni non c'è da aspettarsi assolutamente nulla, tranne puttanate a go go.
La presenza femminile rimbecillisce letteralmente i nostri simili, ai quali non pare vero di poter attribuire alle donne qualità decisamente superiori a quelle che le suddette realmente possiedono.


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* Ovviamente in tempo pace...
Vorrei proprio vederle in tempo di guerra, magari in uno sbarco tipo quello in Normandia, ma non insieme ai colleghi di sesso maschile...
No, in battaglioni completamente femminili.

Sarebbe interessante vedere la loro "cazzutaggine" anche sotto tortura, in stile Viet Cong.
Il tutto in nome della parità, ovvio.
...

molti di questi zerbini credono che osannare le donne le renda più disponibili sessualmente.
Invece non funziona, anzi.

Offline Sardus_Pater

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #37 il: Marzo 27, 2017, 15:58:31 pm »
Le soldatesse saranno più cazzute, ma a parole. Vorrei sapere che se quei loro colleghi uomini che hanno scritto quelle cavolate le hanno viste in prima linea o se si son cagati sotto da bravi omuncoli zerbini quando hanno avuto a che fare con una sergente fanatica in caserma :shifty: .
Il femminismo è l'oppio delle donne.

Online Frank

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #38 il: Marzo 27, 2017, 20:39:24 pm »
Leggete questo articolo infarcito di una caterva di puttanate e scritto dalla solita femminuccia complessata.

http://geopoliticalreview.org/2016/11/le-quote-rosa-della-difesa-complesso-ruolo-delle-donne-nelle-forze-armate/

Citazione
Le “quote rosa” della Difesa: il complesso ruolo delle donne nelle Forze armate
9 novembre 2016
di Roberta Lunghi

Nel 1997, il regista Ridley Scott nel suo film «Soldato Jane» fece indossare la mimetica degli incursori americani a Demi Moore. Le gesta dell’attrice potrebbero essere emulate a breve da Kristen Griest e Shaye Haver, le prime donne nella storia a diplomarsi all’Army’s Ranger School, la miglior scuola d’addestramento dell’esercito americano.

Il binomio donne e forze armate suona come un ossimoro: l’esercito, la prestanza fisica e le armi sono caratteristiche tipicamente maschili, in base alle quali l’uomo si differenzia dalla donna. Per lungo tempo le donne non hanno potuto far parte né dell’esercito né della vita pubblica, la loro esistenza era racchiusa all’interno delle mura domestiche. L’immagine di una donna combattente, però, è sempre stata contemplata dalla tradizione popolare: già ai tempi delle leggendarie Amazzoni, il primo corpo di donne armate di cui si abbia conoscenza, e della Pulzella d’Orléans che guidò l’armata francese alla vittoria. L’esercito deve trasmettere un’immagine di stabilità interna, ma anche di forza, valore ed efficienza; dunque, la difesa dello Stato è stata affidata unicamente agli uomini. Il ruolo delle donne in un conflitto è quello di vittime, piuttosto che di soldati, e il loro contributo è quello di offrire i propri figli all’esercito. Mai si è pensato che l’animo femminile potesse incarnare i valori conservatori e tradizionali delle milizie. Quelle che hanno combattuto nel passato, senza legittimazione statale, erano perlopiù partigiane, terroriste o rivoluzionarie.

I primi ad aver attuato una riforma incisiva nel proprio modello di difesa sono stati gli Stati Uniti, dove la comparsa delle donne nelle Forze armate risale alla prima Guerra Mondiale. L’evoluzione del ruolo delle volontarie all’interno dell’esercito ha visto prima le donne arruolarsi per svolgere attività sussidiarie in qualità d’infermiere, di supporto logistico e d’impiegate amministrative. In seguito, si è sentita l’esigenza d’istituire un Corpo femminile con compiti simili a quelli svolti dai colleghi uomini ad eccezione della possibilità di combattere. Infine, la fusione dei reparti ha creato un unico esercito composto da uomini e donne.

Dal punto di vista della struttura militare, uno dei migliori modelli è sicuramente quello israeliano, non solo per l’efficienza dei suoi reparti ma anche per il rapporto uomo-donna al suo interno. Il sesso femminile nell’esercito israeliano è perfettamente speculare a quello maschile, non esistono test di reclutamento diversi e nemmeno valutazioni privilegiate. Le donne che intraprendono questo mestiere sono consapevoli dell’impegno che devono dimostrare prima dell’arruolamento e durante il servizio.

Per quanto riguarda l’Italia, il percorso è stato molto lento. Nel secolo scorso, a partire dal 1919, le cittadine italiane sono state ammesse a tutte le professioni con l’esclusione, però, della difesa militare dello Stato. Si riteneva il sesso femminile non qualificato a grandi responsabilità e si preferiva mantenerle in ruoli non rilevanti; un’esclusione che rappresentava una società impreparata al cambiamento.  Il primo evento che ha portato alla riforma delle Forze armate è stato lo scoppio della guerra del Golfo, durante la quale i mass media misero in risalto la figura della donna soldato che non poteva ancora combattere, ma che comunque partecipava attivamente nel conflitto. Nell’ottobre del 1992, fu lanciato un esperimento dall’Esercito nella caserma dei Lancieri di Montebello, dove fu consentito a ventinove ragazze di svolgere per 36 ore le normali attività di addestramento. I sondaggi d’opinione rivelarono un forte sostegno alle donne soldato, specie tra i giovani, e alcune ragazze fondarono l’Associazione Nazionale Aspiranti Donne Soldato (ANADOS) che ha dato un grande contributo all’ingresso femminile nell’esercito. Bisognerà aspettare sette anni affinché il disegno di legge presentato dall’onorevole Spini venisse approvato, a larghissima maggioranza, il 29 settembre 1999. La legge n. 380 del 20 ottobre 1999 ha delegato il Governo a predisporre uno o più decreti per disciplinare l’istituzione del servizio militare volontario femminile, divenuto realtà con i primi arruolamenti nell’anno duemila. L’Italia è stata l’ultima tra le nazioni aderenti alla NATO a consentire l’arruolamento femminile; un’opportunità che ha soddisfatto l’esigenza di confronto del mondo lavorativo militare con quello civile, in un’ottica di pari opportunità di genere, consentendo inoltre di poter compensare parzialmente le perdite di personale connesse con la sospensione della leva. L’abbandono del modello del servizio militare obbligatorio ha permesso alle donne di avere il loro spazio anche nella difesa dello Stato, ma la piena integrazione è ancora molto lontana, in quanto le donne non possono andare a combattere in prima linea. L’equiparazione dei diritti e dei doveri tra uomini e donne rimane ancora oggi una facciata e una realtà incompleta. Le donne soldato, purtroppo, sono ancora spesso vittime di infondati pregiudizi da parte degli uomini; alcuni sostengono che la donna sia fisicamente inferiore all’uomo, che non sia portata per fare il soldato, che l’uomo non può prendere ordini da una donna e che l’esercito è stato fin dai tempi antichi un’esclusiva maschile.

Il primo caso di discriminazione si trova nei test d’ammissione. Per gli istituti di formazione, sia nell’Accademia sia nelle scuole militari, le donne italiane hanno diritto a uno sconto sulle prove fisiche. Negli altri Paesi, sia NATO che non, questa disparità di trattamento e questa attenzione verso il genere femminile non esistono e le donne soldato sono trattate in modo e misura uguale agli uomini. Volontarie o professioniste possono partecipare ai concorsi per il reclutamento di ufficiali e sottufficiali in servizio permanente e di militari di truppa in servizio volontario nell’Esercito, nella Marina, nell’Aeronautica e nella Guardia di finanza. Ai concorsi possono presentarsi tutte le cittadine italiane, ma in base al tipo di concorso variano poi i requisiti e l’età massima. Il Decreto del 27 maggio 2005 ha stabilito, inoltre, l’abolizione delle aliquote negli arruolamenti delle donne nelle Forze Armate e nell’Arma dei Carabinieri.

Alla fine del 2014 risultavano in servizio nelle Forze Armate italiane e nell’Arma dei Carabinieri 11.189 donne tra ufficiali, sottufficiali e militari di truppe mentre nel corso dello stesso anno sono state reclutate 2.586 donne su 19.362 unità immesse, il 13% circa dei posti messi a concorso. Uno dei ruoli principali svolto dalle donne soldato nelle operazioni militari riguarda una serie di attività necessarie ad avvicinare le donne nei territori stranieri, soprattutto nei Paesi islamici, come i controlli e le perquisizioni corporali nei check-point o l’assistenza medica in teatri come l’Afghanistan e l’Iraq, nel rispetto della loro cultura e religione. Le loro attività sono fondamentali per far percepire in modo più positivo la presenza militare straniera dalle popolazioni autoctone. Tale presenza di personale militare di entrambi i generi ha richiesto un cambiamento di approccio nella gestione delle risorse umane, sia per quanto riguarda la vita all’interno dell’organizzazione sia per l’aspetto legato all’impiego congiunto durante i loro compiti istituzionali. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la risoluzione n. 1325 del 2000 a proposito di “Donne, Pace e Sicurezza” ha segnato un punto di svolta; per la prima volta viene menzionato esplicitamente l’impatto della guerra sulle donne e il contributo delle stesse nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole. E’ così stato introdotto il concetto di prospettiva di genere inteso quale capacità di affrontare ed esaminare ogni situazione dal punto di vista sia degli uomini che delle donne, in modo tale da identificare ogni differenza nei bisogni e nelle priorità, come pure nel tipo di contributo che ciascuno di essi può dare. L’argomento più efficace chiamato in causa per sollecitare la sensibilità degli interlocutori è la ricaduta positiva, in termini d’incremento della sicurezza e della forza dei contingenti impegnati in operazioni, derivante dalla sua adozione. E’ quanto si è verificato ad esempio ad Herat, in Afghanistan, nella zona di controllo dell’esercito italiano, dove la tenente degli Alpini Silvia Guberti ha scelto di mettere il velo per facilitare il suo lavoro a contatto con le donne del luogo.

La questione della presenza femminile nei pubblici uffici, nelle Forze dell’Ordine, nelle Forze Armate ed anche in operazioni di peace keeping non attiene semplicemente alla sfera della “political correctness” e delle cosiddette pari opportunità. Si tratta di una questione di valorizzazione delle naturali differenze e dell’impiego ottimale delle potenzialità di ciascun operatore: genere, etnia e cultura devono rappresentare una ricchezza e non un ostacolo per il processo di pacificazione e stabilizzazione. Anche in campo strategico si sono registrati gli stessi trend; la NATO, ad esempio, ha affermato l’importanza del ruolo femminile sia nella risoluzione delle controversie attraverso misure diplomatiche o implicanti l’uso della forza, sia nel potenziamento della cooperazione tra organizzazioni regionali, internazionali e sovranazionali quali l’ONU, l’Unione Europea, l’Unione Africana e altre. Le difficoltà, sorte dalla progressiva espansione del ruolo delle donne nell’esercito e dalla loro crescente presenza in un territorio prevalentemente maschile, hanno causato numerosi problemi di convivenza tra i due sessi. Tra i più gravi si può collocare il fenomeno delle molestie sessuali, in costante aumento sia nella società civile che in quella militare. Un altro problema che è stato, ed è tuttora, al centro di numerose discussioni, è il dibattito sulla possibilità o meno di destinare il personale femminile a ruoli di combattimento. Le motivazioni sono legate alla divisione dei ruoli e alla concezione della donna come essere fragile e debole, un’immagine che non trova più riscontro nella realtà e che contribuisce a rallentare il processo d’integrazione della donna nell’esercito. Le ultime tendenze in materia di difesa vedono la donna impegnata nelle missioni di mantenimento e rafforzamento della pace. Quest’ultimo tabù è stato fatto cadere dagli Stati Uniti all’inizio di quest’anno, con l’abolizione del vincolo che vietava ai militari di sesso femminile di essere impiegate nelle zone di combattimento più avanzato o in missioni delle forze speciali. Una decisione che ha avuto reazioni anche negative da chi come il colonnello inglese Richard Kemp, ex comandante delle truppe britanniche in Afghanistan, reputa le donne una faglia del sistema militare che va ad indebolire lo spirito della missione, ovvero l’istinto killer.

Se da una parte possiamo parlare di una parità raggiunta in molti Paesi, tra i quali quelli dell’Unione europea, dall’altra non è stata raggiunta un’effettiva parità in una realtà in cui le “quote rosa” sono ancora utilizzate come strumento politico, a volte demagogico, anziché di sviluppo. Parità dovrebbe significare integrazione e valorizzazione delle differenze, non livellamento ed imposizione di un’uguaglianza non universalmente accettata.


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già ai tempi delle leggendarie Amazzoni, il primo corpo di donne armate di cui si abbia conoscenza,

Le amazzoni sono solo un mito.

Online Frank

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #39 il: Marzo 27, 2017, 21:05:05 pm »
http://amgreatness.com/2017/01/16/job-men-fight-wars-period/

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It’s the Job of Men to Fight Wars. Period.
January 16, 2017 by Louis Marano

Any culture that pushes its women toward the battlefield is a culture plunging toward destruction. Only a degenerate culture substitutes women for men in war. It doesn’t deserve to survive and, in the very long run, probably won’t.

In a parting act of vandalism, President Obama has expressed his support for requiring 18-year-old women to register for the draft.

But it would be unfair to blame only Obama. Nominal “conservatives” and military brass have joined the conga line. And taking sophistry to a new level, even libertarians repulsed by the very idea of conscription are supporting the initiative on the principle that what’s good for the gander is good for the goose.

Have you people lost your minds?

I’m not a fanatic, and I respect and admire women who wear the uniform. From 2007 through 2009, I was a civilian contractor for the U.S. Army in Iraq, and some of the best young intelligence officers there were women. But men and women are not interchangeable, and the attempt to make them so is destructive socially and ruinous militarily.

I view this issue as an anthropologist, a student of history, a Vietnam veteran, and a former journalist who has done some reporting on the military. Until very recently, every known society has had a taboo against sending women to fight while healthy young men were still available. Taboos, such as the incest taboo, develop when the rewards of an activity are immediate and obvious but the penalties are shrouded and delayed.

In the current all-recruited force, the short-term benefit of relying on 42-year-old grandmothers and lactating mothers is clear: it makes up for the male no-shows. As the late Charles Moskos, the dean of U.S. military sociologists, put it: “Americans seem to prefer somebody else’s daughter dying rather than their own sons.” So wouldn’t drafting women be a salubrious corrective? No. Instead it would be a step toward enshrining the interchangeability falsehood. We don’t need to draft women. Since the end of the Korean War, we’ve had more young men of military age in the U.S. population than the armed forces could possibly absorb.

We’ve been able to get away with this debased method of staffing our military because the United States still is a vast, rich country that—although it engages in distant, elective, brushfire wars—still holds a huge advantage in resources, population, and technology over any probable combination of existential enemies. I define an “existential enemy” as a coalition that could defeat our main forces, occupy our homeland, or hammer the United States back into the status of a regional power.

The long-term costs of violating the taboo are hidden but deadly. Our survival as a society is geared not to good conditions, or even average conditions, but to an ability to get through the worst crises. Militarily, that worst crisis is total war, but even in World War I and World War II America got off easy in terms of manpower. (Only the Confederacy approached full mobilization.) With the exception of the Soviet Union, which ran out of men during World War II, none of the major 20th century belligerents pushed women toward combat.

Why? Because men fight better than women, and men fight better when women aren’t around.

War is the great auditor of institutions. All other things being equal, an army of men will beat an army of women. All other things being equal, a society that puts women in the field at the expense of fielding a like number of men will lose its wars. Luckily, all other things aren’t equal, which is why we’re still here.

On December 3, 2015, Secretary of Defense Ashton Carter announced that all military roles would be opened to women, including those in first-line ground combat units whose mission is to locate, close with, and destroy the enemy. In preceding decades, the public had come to accept the presence of women in support units. But even this is misguided for three reasons.

First, support troopers in combat zones are required to perform heavy physical labor more suited to men than women. This includes such tasks as digging entrenchments, filling and stacking sandbags, and moving ammunition crates. The more fluid and chaotic the battlefield, the more these things must be done by hand rather than by machine.

Second, to use a sports metaphor, support units are the infantry’s “bench,” or reserve, and if it’s necessary to use the “bench,” the situation is out of control by definition. It’s not something your own leadership decides. It’s a condition the enemy imposes. The worse the situation on the ground, the more blurred becomes the line between the infantry and everyone else. And when women dilute the pool of reserve infantry, the commander has less force and fewer options at his disposal.

In 1942, for example, PT boat sailors, fighter pilots, and ground crews were assigned infantry duties on Bataan. Late in 1944, the German counteroffensive in the Ardennes was stopped largely by the work of small, isolated combat engineer units (now sexually integrated) fighting as infantry. After the Luftwaffe was all but destroyed, U.S airmen were ordered to Eisenhower’s depleted infantry divisions as replacements—even though the Allies had the initiative at the theater level.

In the summer of 1950, in Korea, the 34th Regiment of the Army’s 24th Infantry Division was almost wiped out and had to be reconstituted from support troops. The backbone of the new regiment was the 3rd Engineer Battalion, but soldiers also were taken from supply, ordnance, communications, and headquarters assignments to fight as riflemen along the Naktong River at the Pusan Perimeter. And, of course, during the withdrawal from the Chosin Reservoir the following winter, Army and Marine support troops had to fight as infantrymen.


No good would have come from women being involved in these operations at the expense of a like number of men. The deeper the “bench,” the stronger the army.

The third reason why women don’t belong in support units is the matter of sexual attraction and distraction, favoritism or even the appearance of favoritism, as well as damage to unit cohesion and morale. In Vietnam, I commanded a company in a support battalion that then was all male but now is mixed sex. I shudder to think of how much more difficult my job would have been if the outfit had included women. The military isn’t just another “job,” and you can’t go home at the end of the day.

In 1988, as a reporter, I covered the deployment of U.S. forces to the mountains of Honduras. While frustration, heartbreak, and jealousy didn’t seem to be a problem for the Army reservists and National Guard members who came into the camp and returned to the United States after a few weeks, they certainly were present among the sexually mixed camp cadre, who had to live with each other for almost a year.

How about Iraq? Let’s just say that, on missions, the chatter over the Humvee intercoms was both enlightening and consistent with my earlier observations. Human nature doesn’t change, and we are asking for trouble by pretending it has or will.

As for pregnancies, some instances are intentional as a form of malingering and a way to shirk overseas assignment. Women also have a much higher injury rate. And there is the matter of children left motherless by repeated deployments.

It was drilled into my head when I was on active duty that the mission came first and the welfare of the people I led came second. Aren’t those who demand equal opportunity for women in combat violating that most basic principle of military leadership? What’s good for individual careers isn’t necessarily good for the country.


The mission of the armed forces is to win wars, not under the best conditions or average conditions but with a margin for error under worse conditions than can be imagined. In extremis, the country that puts women in the field at the expense of men will lose. Meeting such a crisis successfully is never easy, and it might become impossible if our culture changes to the point where American men are no longer embarrassed to have women do their fighting for them.

Offline Vicus

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #40 il: Marzo 27, 2017, 23:01:58 pm »
Link davvero interessanti. Un modo per accrescere la consapevolezza maschile è imparare a non prendere sul serio queste derive ideologiche dell'occidente terminale.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #41 il: Marzo 28, 2017, 00:22:47 am »
Link davvero interessanti. Un modo per accrescere la consapevolezza maschile è imparare a non prendere sul serio queste derive ideologiche dell'occidente terminale.

Riguardo alle soldatesse, leggi il commento di questo texano.

Citazione
Thomas Follis I call BS. Women wanted in the military. They wanted equality. They wanted to be a part of the big picture. Now, all of a sudden, if the possibility of big time war and combat broke out, they want no part of it? That's double standard horse crap. I've always said they should've never opened the doors to women. I'm glad I did my time and got out when I did. Never, do I ever want to serve with another "WANNABE".

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #42 il: Marzo 28, 2017, 00:38:36 am »
http://www.washingtontimes.com/news/2017/feb/14/hearing-our-forgotten-men-and-women-in-the-militar/

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Hearing our forgotten men and women in the military
By Elaine Donnelly - - Tuesday, February 14, 2017

On Inauguration Day, President Donald Trump talked about the “forgotten men and women of our country. Everyone is listening to you now.”

These words must have encouraged forgotten Americans in the military. For many years, their opinions about politically correct mandates from Pentagon officials have been deliberately ignored.

Consider Marine Capt. Lauren Serrano, who respectfully asked a question of President Barack Obama at a military forum last September. Capt. Serrano cited Marine Corps field tests showing that mixed-gender units took up to 159 percent longer to evacuate a wounded battlefield casualty.


“As the wife of a Marine who deploys to combat often,” she said, “that added time could mean the difference between my husband living or dying. Why were these tangible negative consequences disregarded?”

Mr. Obama’s rambling answer betrayed indifference. In 2015, Defense Secretary Ashton Carter abolished women’s exemptions from direct ground combat units, such as the infantry, showing little concern about disproportionately high female injury rates. Mr. Carter brushed aside scientific research showing that in field tests with typical combat arms tasks, all-male teams outperformed mixed-gender units 69 percent of the time.


Then-Commandant General Joseph Dunford asked that some fighting units, such as infantry battalions and Special Operations Forces, remain all-male. He backed that request with empirical data confirming physical differences in strength and endurance that would impede speed and lethality in battle.

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #43 il: Marzo 28, 2017, 00:57:03 am »
https://www.cmrlink.org/content/home/37795/congress_shares_blame_for_photo_sharing_scandal

Citazione
Congress Shares Blame for Photo-Sharing Scandal
March 25, 2017
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On March 15, Sen. Kirsten Gillibrand of New York hauled in Marine Commandant General Robert Neller, lambasting him for the red-hot Marines United Internet photo-sharing scandal.  She was not alone in expressing outrage that 30,000 members of the limited access Facebook community were sharing photos of female Marines without their consent.

It appears that most of the pictures of servicewomen were lifted from PG-rated social media sites, and AP reported that the “bulk” of them were selfies taken by women themselves.  Still, sensational reports focused on nude pictures posted in restricted sections of Marines United and similar websites in the other services.  Before the offensive pages were shut down, members-only could post and see photos of women in various stages of undress.

Regardless of how the pictures were obtained and how explicit they were, there was no excuse for male viewers to add identifying details and leering, snarky comments.  Individuals who obtained Peeping-Tom photos by violating women’s privacy on military bases, or by re-posting intimate photos that women took and shared with former boyfriends, deserve punishment in accordance with current policy and law.

As in previous military sex scandals, however, this is not about crimes and punishments.  It’s about ideology and a full-throated attack on the unique culture of the Marine Corps.

For decades, disdainful feminists have attacked the Marines “masculinist” culture and demanded psychological neutering to make the Corp more woman-friendly.   We have seen sex scandals before, but if reports of online vitriol aimed at women Marines are true, this may be something new that requires objective analysis of cultural dissonance in the military.


The Sweep of Social and Cultural Change

In December 2015, the Obama Administration ordered the Marine Corps to assign minimally-qualified women to combat arms units such as the infantry on an involuntary basis.  This was done even though then-Commandant General Joe Dunford asked for exceptions, which were supported with empirical data resulting from three years of scientific research.

Field tests had shown that all-male teams out-performed mixed gender units in 65 percent of typical land combat tasks, including casualty evacuations and long marches under heavy loads.  The Marines warned that ignoring these factors would impede mission readiness and combat lethality, but in the New Gender Order, reality doesn’t count.


Secretary of Defense Ashton Carter disregarded General Dunford’s best professional advice, and members of Congress failed to exercise their constitutional responsibility for diligent oversight.  Now we see Sen. Gillibrand and other critics blaming the Marine Corps for the consequences of policies made over the Marines’ objections.

This attitude ignores responsibilities that come with civilian control of the military.  Members of Congress and Obama officials who are still making policy in the Pentagon should be held accountable for what they did or did not do when President Obama was mandating unsound policies for our military.

A few weeks after Secretary Carter announced his decision, the incoming Commandant, General  Neller, dutifully submitted plans for making the women-in-combat experiment “work.”  To overcome male resistance, the Corps began deploying mobile instructors to conduct mandatory training to eliminate “unconscious bias” against women.

Details of the curriculum have not been disclosed, but the instruction program reportedly ignores and tries to discredit rational objections that male and female Marines had previously stated in countless focus groups and official surveys.

Infantrymen whose lives may depend on the physical strength of soldiers next to them on the battlefield are supposed to pretend that concerns about their own survival are less important than “gender diversity metrics,” another name for quotas.  One year later, what are we seeing?

Social Engineering Degrades Morale

Anonymous manifestations of hostility on the Internet may be a symptom not of misogyny, but  misdirected resentment rising from unworkable policies that undermine mutual trust for survival.

Political correctness in the military undermines unit cohesion, which is properly defined as mutual trust for survival in battle.  PC also weakens vertical cohesion, defined as two-way trust between commanders and the troops they lead.


In a Statement for the Record of the Senate Armed Services Committee last year, the Center for Military Readiness predicted that when misguided policies caused soldiers to be needlessly hurt and missions lost, military women would feel the brunt of resentment they did not deserve.

Could it be that resentments caused by constant attacks on masculinity are part of the problems evident on the Internet today?  Someone needs to find out.

Article 1, Section 8 of the U.S. Constitution makes Congress responsible for military policies.  With that power comes responsibility for results.

Politicians in Congress, the White House, and the Pentagon have repeatedly demanded military/social policies that elevate risks of physical and psychological harm to women and men alike.  These policy-makers should share the blame for social disruption that has harmed women and not improved readiness in any way.

Perhaps frustration began with dual-track, gender-neutral standards at boot camp.  Dishonest claims that men and women are interchangeable in the combat arms also may have fueled resentment among combat veterans who know better.  No one should be surprised if military men and women question the judgment of leaders who keep trying to “mitigate” problems that should have been avoided in the first place.

Men who violated women’s privacy on the Internet should be punished, but the issue transcends individual guilt.  Because civilians control the military, elected policymakers should be held accountable for going too far and asking too much.  Uniformed military leaders cannot say that, but I just did.

Feminists’ Record of Failure

More than 20 years ago, Congresswoman Patricia Schroeder and other feminists in Congress argued that putting women into combat aviation would reduce problems of sexual misconduct.  The same claim was made every time women’s combat exemptions were removed without any career advantages women don’t already have.  Instead of going down, rates of sexual misconduct have escalated steeply, year after year.

Today’s feminists are demanding fixes for the “masculinist” Marine Corps.  Since all land combat positions are open to women, the only target left is the Marines’ unique separate-gender boot camp training program, which is known to be superior in training both male and female recruits.  No one has explained how adding male/female distractions in boot camp would somehow stop cruel or juvenile behavior on the Internet.

Instead of beating the men with clubs until morale improves, perhaps it is time to consider a different approach.  What we need are policies that encourage discipline rather than indiscipline.  Congress should consider the consequences of their own votes to expunge rational statutory language and findings that are missing from law today.

Differences in Military and Civilian Life

Section 654, Title 10, the 1993 law that the Senate repealed in the 2010 lame duck session, used to recognize that the military is a “specialized society” with unique requirements that are: “characterized by its own laws, rules, customs, and traditions, including numerous restrictions on personal behavior, which would not be acceptable in civilian society.”

Standards of conduct applied to a member of the armed forces at “all times that the member has a military status, whether the member is on base or off base, and whether the member is on duty or off duty.”

Absent these findings in law, regulations now enforce acceptance of LGBT personnel in the military, with few protections for personal privacy remaining.  Priorities have been inverted, so almost any type of consensual sexual expression is legal.

For example, under President Obama’s transgender policies, Pentagon officials have ordered women to accept the presence of biological males in private showers and bathrooms.  And the Marines recently announced that women assigned to infantry battalions would share two-person tents with men.   In a process called “Real Life Experience” (RLE), a transitioning man can wear his uniform by day and a woman’s dress by night.

These and other politically correct policies are attempting to prove unsound theories about human sexuality.  What could go wrong?  Plenty.

Some advocates claim that male “sexism” is the primary cause of the photo-sharing scandal and all women are “victims” of that sexism. This “victim” paradigm is out of date; women engage in risky misconduct too.

Sound policies should recognize that military men and women are human beings with virtues and failings that occur regardless of gender or rank.  Instead, feminist demands for a “gender-free” military require the destruction of “masculinist” tendencies so that human beings magically will behave like saints.

Creepy guys who post salacious pictures of women without their consent should be punished – even if the women set themselves up for betrayal by sending intimate photos willingly.  Defense attorneys, however, likely will contend that their clients engaged in a form of sexual expression that does not violate current law made by Congress.

They will also argue that in the civilian world as well as in the military, many women seek attention with racy pictures of themselves. “Sexting” is common among straight and gay couples, married or not.   These practices degrade our culture, but in the absence of contrary law, any form of consensual sexual expression could be construed as a constitutional right.

Legislation to prohibit photo-postings without consent might be helpful, but what if the postings are voluntary?  According to USA Today, the Air Force Office of Special Investigations (AFOSI) is trolling through photos of group sex, identifying airmen they will contact and ask if their pictures were posted without consent.

The Naval Criminal Investigative Service (NCIS) has assigned dozens of investigators to look into the matter, and facial recognition software is being used to find and ask individuals whether they consider themselves to be victims.

The same March 17 article reported that investigators are looking at “a slew of gay pornography web pages with images of men wearing military uniforms engaged in sex acts.”  This is not surprising, since a Defense Department policy issued shortly after repeal of Section 654, Title 10 declared: “A person's sexual orientation is considered a personal and private matter.”

In a new message, (ALMAR 008/17), General Neller reinforced cultural values that were weakened when Congress voted to repeal the 1993 law.  He cited provisions of the Uniform Code of Military Justice (UCMJ), which still prohibit harassing or indecent behavior that is service-discrediting or prejudicial to good order and discipline.

The Commandant affirmed, “Marines represent the Marine Corps at all times, and their speech and conduct must consistently embody our core values . . ." He added, “Marines should think twice before engaging in questionable online activities.”

President Donald Trump and Secretary of Defense James Mattis also should think twice before capitulating to the same critics whose unsupported theories about gender equality repeatedly have been proven wrong.  Military leaders should defend core values, and civilian leaders should stop imposing flawed policies that weaken core values and make social turmoil worse.

                                                                          -- Elaine Donnelly, President, CMR

* * * * * * * *

Prepared by the Center for Military Readiness, an independent public policy organization founded in 1993, which reports on and analyses military/social issues.  More information is available on the CMR website: www.cmrlink.org.  To support CMR with a tax-deductible contribution, click here.  You can also support CMR by visiting, liking, and sharing the CMR Facebook page.

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Re:Quando in guerra combattono le donne...
« Risposta #44 il: Marzo 29, 2017, 23:56:46 pm »
E' un articolo di un anno fa, ma l'ho scoperto solo oggi.

http://www.askanews.it/video/2016/03/12/lotta-al-terrorismo-parla-la-prima-donna-del-nocs-20160311_video_18284076/

"Il Nocs è donna"
Ormai siamo alla malattia mentale.

http://infodifesa.it/polizia-il-nocs-e-donna-la-prima-agente-supera-le-durissime-selezioni/

@@

Minuto 2:46.
Un uomo ammanettato pesta una poliziotta.

Ovvero la differenza che passa tra la realtà e la propaganda mediatica.