Autore Topic: disastro educativo  (Letto 1065 volte)

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Offline ilmarmocchio

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disastro educativo
« il: Maggio 28, 2015, 09:58:38 am »
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    Giorgio Israel
    Giovedì, 28 Maggio 2015

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[...] Giulio Ferroni è uno dei pochi intellettuali italiani che contrasta apertamente una deriva della scuola, senza timore delle strida degli adepti di un avvilente “politicamente corretto” che rappresenta in modo plateale l’infimo livello culturale e persino linguistico in cui è precipitata la tematica dell’istruzione.
Recentemente, il quotidiano francese Le Figaro osservava che nel recente rapporto del Consiglio Superiore dei programmi al Ministero dell’Educazione Francese si leggono definizioni del genere: «Lezione di nuoto in piscina: “Imparare a spostarsi in modo autonomo in un ambiente acquatico profondo e standardizzato”». E il quotidiano così commentava: «I pedagoghi che blaterano da 40 anni, sono responsabili della lenta agonia della nostra scuola. Non più luogo sacro dove si trasmette la conoscenza ma, come dice il rapporto, «un self service dove si passa per approfittare di un clima di fiducia».

Il fatto curioso è che, se certa pedagogia porta queste responsabilità, oggi essa non riesce neanche a godere di questo trionfo, ma subisce una progressiva emarginazione. Delle tesi che essa ha introdotto – la trasformazione dell’insegnante in “facilitatore”, la trasformazione della scuola della conoscenza in scuola delle “competenze” (un concetto fumoso che trova cento definizioni diverse), l’autoformazione, il successo formativo garantito, e tante altre che non sto a elencare – si è riappropriata un’amministrazione ministeriale avida di controllo centralizzato che le impone a scuole e insegnanti sotto la forma di circolari dal triste linguaggio burocratico. È poi subentrato un nuovo attore che ha soppiantato rapidamente i pedagogisti e cioè il cosiddetto “economista dell’istruzione”, per lo più uno statistico o un econometrico che non ha mai messo piede in una scuola e ragiona esclusivamente in termini economicistici e aziendalisti. Almeno i pedagogisti sono intellettuali e docenti che quando parlano di istruzione, parlano pur sempre di istruzione e non di una scuola ridotta a sistema di formazione di addetti all’impresa, in cui occorre incanalare ogni persona in una prospettiva lavorativa precisa, il prima che sia possibile. Fino al punto che qualche esaltato, immemore delle schedature razziali del regime fascista, ha persino parlato di determinare il futuro lavorativo degli individui mediante un’analisi delle caratteristiche genetiche e neuronali del bambino…

Sarebbe lungo analizzare a fondo come si possa essere giunti a tanto. Ma è possibile individuare le linee di tendenza che hanno condotto a questa metamorfosi. Esse non sono specificamente italiane, bensì sono legate a tendenze del mondo occidentale, ma soprattutto al contesto del modo in cui l’integrazione europea ha affrontato il tema dell’istruzione, scegliendo di distruggere il modello classico anziché affrontare vie più difficili ma certamente più ragionevoli.

Ricordiamo che questo modello classico – che è valso all’Europa per più di due secoli di essere il centro della migliore istruzione mondiale – ha le sue origini nel progetto illuminista di costruire un’istruzione universalistica che rompesse l’antica frattura tra una massa ignorante e pochi eletti che potevano godere di una costosa istruzione privata mediante precettori. L’istruzione universalistica mirava a fornire a ogni cittadino gli strumenti per orientarsi in modo autonomo sia nel costruire il proprio futuro liberamente, sia nel partecipare consapevolmente alla vita della nazione. Non a caso questa tematica era strettamente connessa a quella della rappresentanza nelle strutture del governo (e alla determinazione delle forme elettorali capaci di rappresentare al meglio la volontà popolare) e quindi doveva essere un pilastro della democrazia.

Due punti cruciali vanno ricordati. Un simile ambiziosissimo progetto non poteva che essere gestito in quanto di interesse pubblico, e quindi poteva essere sostenuto soltanto dallo stato. Il secondo è che esso non conteneva l’ambizione di fabbricare un cittadino secondo dei precetti preformati, e quindi un suddito, ma, al contrario, di fornire a ciascuno delle conoscenze nel modo più libero e oggettivo possibile, affinché costituissero lo strumento della sua libertà. Nel corso dell’Ottocento e fino alla prima metà del Novecento questo progetto è stato allargato, perfezionato, con nuove leggi, e con significative caratteristiche specifiche nei diversi stati nazionali ma comunque coerenti con queste due caratteristiche di base. La polemica che oggi viene fatta con questa scuola delle “conoscenze”, che le avrebbe colate attraverso un imbuto nelle teste passive degli alunni, trascurando le loro capacità di applicarle autonomamente (le “competenze”), non soltanto è totalmente infondata – come è ovvio per chi conosca un minimo il sistema classico dell’istruzione – ma ha introdotto una spaccatura tra i due termini privilegiando assurdamente il secondo. Un esempio per tutti. La visione classica dell’insegnamento della matematica ha conservato sempre l’idea che questa scienza non fosse qualcosa di separato dalle altre, e anzi che avesse un rapporto profondo con le conoscenze umanistiche e, in particolare, con la filosofia e la storia. Oggi invece si tende a ridurre disastrosamente la matematica a tecnica del “problem solving”.

Voglio esemplificare perché ritengo che, peggio ancora che ignoranza, vi sia un malevolo intento in questa riduzione. Nel 2008 facevo parte di una commissione che riformulò le Indicazioni nazionali per i Licei. Propongo i passaggi iniziali riguardanti la matematica, scritti di mio pugno, e che fanno parte della versione approvata:

«Al termine del percorso dei licei classico, linguistico, musicale coreutico e della scienze umane lo studente conoscerà i concetti e i metodi elementari della matematica, sia interni alla disciplina in sé considerata, sia rilevanti per la descrizione e la previsione di semplici fenomeni, in particolare del mondo fisico. Egli saprà inquadrare le varie teorie matematiche studiate nel contesto storico entro cui si sono sviluppate e ne comprenderà il significato concettuale. Lo studente avrà acquisito una visione storico-critica dei rapporti tra le tematiche principali del pensiero matematico e il contesto filosofico, scientifico e tecnologico. In particolare, avrà acquisito il senso e la portata dei tre principali momenti che caratterizzano la formazione del pensiero matematico: la matematica nella civiltà greca, il calcolo infinitesimale che nasce con la rivoluzione scientifica del Seicento e che porta alla matematizzazione del mondo fisico, la svolta che prende le mosse dal razionalismo illuministico e che conduce alla formazione della matematica moderna e a un nuovo processo di matematizzazione che investe nuovi campi […} e che ha cambiato il volto della conoscenza scientifica».

Ci vorrebbe un bel coraggio per definire tutto ciò una visione della matematica come mero “problem solving”. Era anzi un tentativo di difendere il ruolo della matematica in una visione non meramente tecnicistica, ma umanistica. Eppure il ministero, nel proporre le prove preliminari della maturità, ha avuto il coraggio di dire che si sarebbero basate sul “problem solving”, per coerenza con le Indicazioni nazionali…

Ma torniamo a un’identificazione della scelta che ha condotto l’eurocrazia alla distruzione del modello classico di istruzione. La sfida era enorme: come costruire un terreno comune per le giovani generazioni di nazioni aventi un possente passato storico e culturale, sostenuto da lingue e letterature di straordinaria consistenza? Il buon senso avrebbe dovuto dettare che una simile sfida – l’unica peraltro capace di creare basi solide a una costruzione europea che si vede ora quanto sia traballante sotto la mediocre leadership della tecnocrazia – avrebbe richiesto molto tempo e molta intelligenza. Per esempio, preparare le nuove generazioni alla conoscenza profonda, oltre che della propria lingua e cultura, di altre due lingue europee e della cultura legata a quelle lingue. Ciò avrebbe potuto costituire una prima base per conoscersi profondamente al di là di scambi turistici, di capire a fondo l’altro di cui si dovrà diventare concittadini in senso pieno. Molto più facile, invece, cancellare la complessità e la ricchezza delle cultura e procedere per riduzione a individuare le caratteristiche minime indispensabili per un soggetto che possa circolare come forza-lavoro in tutti i paesi dell’Unione. Di qui le famose competenze di Lisbona, che rappresentano la quintessenza di come la cultura e il suo linguaggio possano essere livellate a gergo burocratico insensato. E soprattutto rappresentano il passaggio a un modello in cui la formazione di persone libere è sostituita dalla fabbricazione di soggetti preconfezionati secondo precetti stabiliti dall’alto. Un modello manifestamente autoritario, mascherato dall’idea ormai falsa che l’attuale capitalismo finanziario sia coerente con una visione liberale.

In un recente bel libro, Massimo Recalcati sostiene che «il nostro tempo sembra essere figlio di una collusione terribile, anche se involontaria, tra la spinta rivoluzionaria-libertaria sorta dalle istanze critiche più che legittime del ’68 e quella del neoliberismo forsennato, del capitalismo finanziario protagonista dell’attuale crisi». Osservazione acuta e che condivido (salvo l’aggettivo “più che legittime”) e che conclude osservando che «entrambe queste linee di tendenza […] sostengono l’idea ferocemente antieducativa, che tutto è possibile, che la vita è una potenza autoaffermativa che non necessita di nessuna legge se non quella della propria stessa potenza» e anche lui parla di necessità di riattribuire dignità alla figura dell’impossibile.

Come poi sempre accade nella gestione burocratica l’idea ferocemente antieducativa viene declinata entro forme di un linguaggio fumoso e mediocre che, nel suo generico buonismo, tende a presentarsi come innocuo. Così nel progetto della Buona Scuola, si parla di «miglioramento dell’offerta formativasempre più declinata in base alle esigenze degli studenti e coerente con la necessità di orientarli al futuro».  Si parla di «curriculum digitale che conterrà informazioni utili per l’orientamento e l'inserimento nel mondo del lavoro. E soprattutto di dare «più spazio all’educazione ai corretti stili di vita» e «di guardare al domani attraverso lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti (pensiero computazionale, utilizzo critico e consapevole dei social network e dei media)». La cultura, le conoscenze, le discipline sono messe sul binario dell’estinzione: l’obbiettivo della scuola non è più quello di formare persone libere che usino gli anni dell’istruzione per scegliere autonomamente il proprio futuro, ma individui corrispondenti ai precetti imposti da un’autorità centrale. Basti leggere la versione ultra-burocratica di questa visione nella recentissima circolare ministeriale sulla certificazione delle competenze. Vi si parla di uno studente che deve «collaborare alla costruzione del bene comune», che «ha cura e rispetto di sé, come presupposto di un sano e corretto stile di vita» e addirittura di «corretta partecipazione alle occasioni rituali nelle comunità che frequenta». Il Ministero si occupa addirittura di prescrivere la necessità di pregare bene, studiare il catechismo, osservare la sharia o i 613 precetti ebraici?

Ma chi mai, se non uno stato totalitario, può arrogarsi il diritto di definire cos’è il «bene comune»? Chi, se non uno stato totalitario, può essere titolare della nozione di «sano e corretto stile di vita»? E che cosa verrà imposto di circolare in circolare? Magari che il bene comune coincide col politicamente corretto? Qualche zelante funzionario o qualche dirigente scolastico (definito ora come “leader educativo”) vorrà “bollinare di rosso” le Metamorfosi di Ovidio perché politicamente scorrette, come ha chiesto un’associazione studentesca della Columbia University, degna controparte dei distruttori di monumenti dell’Isis? Oppure si prescriverà più modestamente che un sano e corretto stile di vita significa non bere più di 15 cl. di vino al giorno e andare a letto entro le 21? Siamo agli antipodi delmotto liberale di John Stuart Mill: «Ciascuno è l’unico autentico guardiano della propria salute sia fisica sia mentale e spirituale». Ma siamo anche agli antipodi della visione della scuola universalistica che, sia pure con rilevanti declinazioni, è stata condivisa lungamente sia dall’area liberaldemocratica, sia da buona parte della sinistra occidentale. Siamo qui nel contesto di un costruttivismo dai connotati autoritari e che ha posto al suo centro una visione meramente economicista e aziendalista.

L’insufficienza delle categorie politiche tradizionali a comprendere il fenomeno di cui parla Recalcati spiega non soltanto una diffusa confusione delle idee, ma anche lo stupore con cui i promotori della Buona Scuola hanno accolto le vastissime reazioni negative, definendole come “conservatorismo” e non capendo che esse raccolgono trasversalmente chi difende la visione classica dell’istruzione in nome del suo legame con la tradizione liberaldemocratica e chi è legato alla stessa visione in quanto si è formato alla visione di Antonio Gramsci della scuola.

Indubbiamente, la natura delle forze in gioco rende molto problematico arrestare questo andazzo. Ma chiunque desideri un futuro per i nostri figli come persone e non come polli di batteria confezionati ad uso e consumo delle aziende, che non accetti l’idea che un paese che è stato uno dei centri della cultura mondiale si spenga nella mediocrità e nell’ignoranza, non può che battersi fino in fondo per invertire la tendenza. Il che non significa rigettare le necessarie riforme, rifiutare una seria e autentica valutazione, ancorarsi passivamente al passato. Significa rigettare decisamente il trucco con cui, con l’alibi del rinnovamento, si distrugge cultura, conoscenza e libertà.

Di nuovo grazie a Giulio Ferroni per il suo bel libro e il suo coraggio.

Giulio Ferroni La scuola impossibile, Salerno Editrice, 2015, e-book

Offline Vicus

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Re:disastro educativo
« Risposta #1 il: Maggio 28, 2015, 16:26:49 pm »
Il modello classico di istruzione non nasce -anzi decade- con l'Illuminismo, e risale a Cicerone e Quintiliano.
Consiglio Dark Age Ahead di Jane Jacobs, che evidenzia come in occidente il ruolo di scuola e università non sia più quello di formare, ma di selezionare gli allievi in base a sottomissione al sistema, tendenza a non porre in questione lo status quo e facilità a 'lavorare in squadra'.
Il successo famminile nell'ambito dell'istruzione e dell'università, conferma la sottomissione delle donne al potere di cui sono tra i migliori cani da guardia.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Hector Hammond

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Re:disastro educativo
« Risposta #2 il: Maggio 29, 2015, 18:32:11 pm »
Il modello classico di istruzione non nasce -anzi decade- con l'Illuminismo, e risale a Cicerone e Quintiliano.
Consiglio Dark Age Ahead di Jane Jacobs, che evidenzia come in occidente il ruolo di scuola e università non sia più quello di formare, ma di selezionare gli allievi in base a sottomissione al sistema, tendenza a non porre in questione lo status quo e facilità a 'lavorare in squadra'.
Il successo famminile nell'ambito dell'istruzione e dell'università, conferma la sottomissione delle donne al potere di cui sono tra i migliori cani da guardia.
Lo vedo ad ingegneria, ormai passa chi è conforme .Secondo me , è ovvio  :huh: .

Offline Vicus

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Re:disastro educativo
« Risposta #3 il: Maggio 29, 2015, 19:41:50 pm »
L'accademia è diventata inutile non solo per l'innovazione, ma anche per la trasmissione del sapere. E' solo una scuola materna con un po' di lievito. Per questo faccio una modesta proposta: 100% di quote rosa all'università.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.