http://www.lintraprendente.it/2015/06/nella-scuola-gender-si-potra-parlare-di-dante-e-beatrice/di Emilio Russo
ArcigayNon più tardi di una settimana fa, per contestare le tesi del Family day romano, si erano affannati a spiegare che la “teoria del gender” era un inutile idolo polemico, l’ubbia di qualche fondamentalista in cerca di pretesti per cancellare sacrosanti diritti e negare il pluralismo dei costumi sessuali degli italiani. L’avevano rubricato come l’espressione della cultura regressiva dei “soliti” cattolici incapaci di rassegnarsi alle dinamiche di una società secolarizzata. Un sottosegretario del governo Renzi aveva addirittura bollato la manifestazione romana come “un evento inaccettabile”. Ora invece c’è il rischio concreto che divenga legge, attraverso il cavallo di Troia dell’indicazione secondo cui in ogni parte d’Italia si dovrà “assicurare l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità dei sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. Che cosa accadrà quando si tratterà di passare dalle parole alle azioni intraprese dalle scuole è facilmente immaginabile.
La parola chiave, al netto delle frasi scontate sulla parità dei sessi e sulla violenza di genere, è “discriminazioni”. La sua declinazione è già stata anticipata nel senso della cancellazione di fatto delle differenze uomo-donna. Basti leggere le linee guida prodotte contenute dell’opuscolo “Tante diversità, uguali diritti”, pubblicato dal Miur e dall’Unar. Al centro, più che le tematiche discriminatorie, vi sono quelle sessuali. Vi si trova l’invito a curare la formazione sui temi Lgbt nei confronti di studenti, insegnanti e personale scolastico, sullo “sviluppo dell’identità sessuale nell’adolescente, l’educazione affettivo-sessuale” e la “conoscenza delle nuove realtà familiari”. Come corollari, si prevede “la valorizzazione dell’expertise delle associazioni Lgbt” e si propone l’integrazione delle materie antidiscriminatorie nei curricula scolastici “con un particolare focus sui temi Lgbt”. Non mancano nemmeno la prescrizione di predisporre la “modulistica scolastica amministrativa e didattica in chiave di inclusione sociale, rispettosa delle nuove realtà familiari, costituite anche da genitori omosessuali” e “l’arricchimento delle offerte di formazione con la predisposizione di bibliografie sulle tematiche Lgbt e sulle nuove realtà familiari, di laboratori di lettura e di un glossario dei termini Lgbt che consenta un uso appropriato del linguaggio”. E basta con le storielle di principesse e di principi azzurri. Del resto, è evidente che il lupo di Cappuccetto rosso è un travestito, ma non per questo deve essere necessariamente cattivo. Anche i libri di testo andranno purgati. Saranno ammessi solo libri rigorosamente politically correct. Difficile negare che sia un atto un’offensiva insidiosa contro la “normalità” e che, da parte dei suoi protagonisti, da Ivan Scalfarotto in giù, sia rigorosamente escluso che, accanto alle – legittime – motivazioni di carattere religioso, possano essere messe sul tappeto anche argomentazioni critiche di matrice laiche. O basate semplicemente sul buonsenso.
Ma è possibile riprendere le file di una discussione seria sulla scuola di fronte alla retorica sulla “buona scuola” e ai ricatti, nei confronti di Parlamento, “precari” e opinione pubblica? Soprattutto, come si fa di fronte a una “riforma della scuola” che si vorrebbe realizzare con un emendamento di un articolo composto da 209 commi che, a loro volta, modificano una miriade di altre disposizioni? Dentro vi si insinuano gran parte dei luoghi comuni della pedagogia di un centrosinistra senz’anima, insieme con una complicata e forse ingestibile babele di adempimenti organizzativi frutto della peggiore burocrazia ministeriale. Sempre pronta a scrivere testi del tutto incomprensibili a qualsiasi cittadino in pieno possesso delle facoltà mentali e a tradurre in confuse disposizioni legislative le confuse proposizioni ideologiche dei politici. Non manca nulla: si accenna genericamente al “potenziamento” e alla “valorizzazione” in pratica di tutte discipline esistenti, dalle lingue all’educazione motoria, dall’arte al cinema, dalla matematica alle “competenze digitali”, ma vengono elencati anche molti di quelli che dovrebbero essere obiettivi formativi, definiti con una perentorietà che nemmeno uno Stato totalitario si sognerebbe di esibire. Si passa dall’ “educazione all’interculturalità e alla pace” alla lotta al cyberbullismo, dal “rispetto dei beni comuni” all’introduzione nelle diete degli studenti di “prodotti agricoli e agroalimentari provenienti da sistemi di filiera corta e biologica”, dall’addestramento alle tecniche di primo soccorso al rispetto per l’ambiente.
scuola_pubblicaIl dramma vero di questa mancata discussione sul futuro della scuola, cioè sul profilo culturale degli italiani, è l’assenza di un vero confronto sugli obiettivi, sulla pedagogia che sorregge la “buona scuola”: sbrigativa, convenzionale, falsamente efficientista. È il permanere dell’equivoco che scuola e cultura siano due pianeti diversi, e che l’educazione possa essere impartita attraverso sermoncini virtuosi, “imbottendo” le menti dei giovani con i nuovi dogmi del politicamente corretto. Invece può essere solo il risultato del confronto, serio, impegnato, faticoso anche, con il patrimonio culturale dell’Occidente, della sedimentazione che esso produce facendo maturare in ciascuno una capacità di giudizio che gli consenta di agire in modo riflessivo. Ma Dante con la sua Beatrice e Renzo con la sua Lucia hanno ancora diritto di cittadinanza nella cattiva scuola di Renzi?