http://www.investireoggi.it/economia/grecia-divisa-sul-referendum-per-i-sondaggi-ma-perche-4-su-5-vogliono-restare-nelleuro/La Grecia si avvicina all'appuntamento con il suo destino. Domenica saranno chiamati a votare per il referendum sull'accordo con i creditori pubblici (UE, BCE e FMI) 8 milioni di elettori. Affinché la consultazione sia valida dovrà votare almeno il 40% degli aventi diritto. Stando ai sondaggi, potrebbe recarsi ai seggi anche il 90%. Chi è favorevole alle proposte della (ex) Troika, scadute il 30 giugno e formalmente non più valide, dovrà votare "sì", chi è contrario dovrà votare "no".
Stando all'ultima rilevazione di Bloomberg, i contrari sarebbero solo lievissimamente avanti con il 43%, mentre il 42,5% sarebbe favorevole all'accordo. Il resto è indeciso. Tuttavia, l'81% dei greci resterebbe favorevole all'euro e solamente il 12% vorrebbe tornare alla dracma.
La società ellenica è divisa più che mai in 2 parti uguali sul referendum tra chi crede che il "no" sarebbe l'opzione migliore per spuntare al tavolo delle trattative un accordo migliore possibile con i creditori e chi pensa che, invece, se non vince il "sì", la Grecia potrebbe essere cacciata dall'euro. C'è, poi, chi vorrebbe votare "no", perché stufo dell'euro e dell'Europa.
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L'appello al no di Tsipras
Non è un caso che il premier Alexis Tsipras stia anche in queste ultime ore puntando su un messaggio sopra ogni altro: votare "no" significa avere un accordo migliore per i greci. Il "sì" significherebbe costringere il governo di Atene ad accettare le cattive proposte dei creditori. Il governo ha annunciato nei giorni scorsi che nel caso di vittoria del "sì" si dimetterà, subito dopo avere firmato l'intesa, mentre il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, ha spiegato ieri che si dimetterebbe ancor prima di firmare, perché non accetterebbe mai un accordo che non preveda la ristrutturazione del debito pubblico.
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Quale che sia l'esito del voto, è prevedibile una fase di caos, perché tra possibili scontri nella maggioranza in Parlamento e successive elezioni anticipate, il paese potrebbe restare senza una guida, mentre si avvicina una nuova scadenza, quella del 20 luglio, quando dovranno essere rimborsati alla BCE titoli di stato per 3,6 miliardi di euro, pari al 2% del pil.
Emerge chiaramente sin dall'inizio di questa infinita crisi che la stragrande maggioranza dei greci resta fermamente favorevole all'euro, nonostante i grossi sacrifici patiti per rimanere nell'Eurozona. Ci si potrebbe chiedere come mai, se sia solo paura dell'ignoto, del salto nel buio. Se questo è in parte vero, è reale ipotizzare che moltissimi greci conservino ancora oggi una percezione positiva dell'Europa e della moneta unica, se non altro perché il loro benessere ha coinciso prima con l'ingresso nell'allora CEE, il mercato comune europeo, nel 1981, ampliato con l'adesione all'euro sin dal 2002.
Una storia di benessere con la UE e l'euro
La Grecia era meno ricca della vicina Turchia fino agli inizi degli anni Ottanta, ma il superamento avvenne proprio con l'entrata nella CEE, potendo disporre di un grosso mercato di sbocco per la sua agricoltura e di fondi europei generosi, anche se per grossa parte mal gestiti. Nel 1990, tuttavia, aveva ancora un tasso d'inflazione intorno al 20% e pagava rendimenti del 24% sui suoi bond governativi a 10 anni, 3 volte superiori a quelli dei Bund. Per questo, decise di aderire anche all'euro e fece di tutto (truccando anche i conti pubblici) per fare parte del primo gruppo, quello che si mise in tasca la moneta unica nel 2002.
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Fino allo scoppio della crisi del 2008, l'euro portò alla Grecia grossi benefici. Anzitutto, i rendimenti dei bond crollarono ai livelli tedeschi, convergendovi totalmente, e così fecero i tassi sui prestiti e i mutui bancari, creando un'ubriacatura sul mercato del credito, che riteneva ormai di avere a che fare con un'economia come quella tedesca. L'inflazione stessa si mantenne mediamente intorno al target perseguito dalla BCE, 10 volte più bassa di inizio anni Novanta, mentre la spesa per i consumi delle famiglie crebbe a ritmi notevolmente superiori a quelli registrati in Germania o in altri paesi, grazie a una crescita dei redditi e del pil da nuovo miracolo economico.
Tuttavia, non solo il governo ellenico non ne approfittò per tenere a bada i conti pubblici, ma gestì al peggio questa fase, aumentando la spesa pubblica, in particolare, quella degli stipendi e delle pensioni. La prima crebbe del 60% dal 2000 al 2008, un fatto senza eguali nel resto dell'Eurozona, la seconda è esplosa all'attuale 17,5% del pil, la più alta della UE, anche se l'impennata è dovuta in parte al crollo del pil negli ultimi anni.
I greci si sentirono per alcuni anni come i tedeschi, senza avere un'economia anche solo lontanamente ugualmente efficiente. Poi, venne il buio. Ma è probabile che la stragrande maggioranza non abbia dimenticato il dividendo positivo incassato in 30 anni trascorsi nell'Europa. Anche per questo il voto di domenica è più difficile che mai.