http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2015/08/04/ARf5m7MF-maledetto_vita_riducono.shtmlI fatti
Per risvegliare il branco è stata sufficiente un’occhiata: «Gay di m..., che c... guardi, il mio fidanzato?», gli ha detto la ragazza davanti a lui. Luca in quel momento era seduto sull’autobus con un amico e aspettava solo di tornare a casa. «Niente, ero sovrappensiero». E però gli altri cercavano la rissa e per entrambi si è messa malissimo: li hanno pestati in sei, fra loro due donne, infierendo sul volto, sulle gambe, sulla schiena, usando pure delle catene.
Luca è riuscito ad allontanarsi, a tornare a casa e a raccontare tutto alla fidanzata, spiegando che li avevano massacrati soltanto perché li credevano omosessuali. Non sapeva di avere un ematoma cerebrale, che dopo una settimana lo ha mandato in coma, ridotto in fin di vita e un intervento di neurochirurgia lo ha salvato in extremis.
Luca ancora non parla e lo alimentano a fatica; ma in questi giorni i suoi familiari, e tutti quelli che gli vogliono bene, hanno ricominciato a sperare di rivedere il ragazzo di prima.
L’aggressione si è trasformata (anche) in un’inchiesta giudiziaria per tentato omicidio, coordinata dal sostituto procuratore Vittorio Ranieri Miniati, che ha ricevuto due relazioni dei carabinieri nelle quali si fa esplicitamente riferimento alla probabile ritorsione omofoba. Di più: gli inquirenti hanno messo nel mirino un gruppo di giovani che vivono forse in Valpolcevera, nessuno dei quali è stato al momento identificato con certezza. L’unica denuncia è scattata per «favoreggiamento» nei confronti dell’autista del bus, che ha visto tutto ma non ha chiamato né i soccorsi né la polizia.
Chi può aver compiuto una violenza del genere, con motivazioni simili nella città che all’inizio di luglio aveva ospitato lo Human Pride, che ha istituito il registro delle unioni civili e dove mai si era vissuto un episodio così? L’unico appiglio, per chi indaga, è rappresentato dalla sequenza del pestaggio, ricostruita attraverso dichiarazioni indirette: il giovane con cui Luca si trovava quella sera, ad esempio.
La testimonianza: «Erano in sei,
con loro anche due ragazze»«Erano sei e c’erano anche due ragazze. Ci hanno picchiato con calci e pugni e anche con le cinture». Ha detto l’amico della vittima del pestaggio. Anche lui è stato picchiato ma ha riportato ferite più lievi .
Per orientarsi bisogna tornare alla notte del 14 luglio. Luca (il nome di fantasia e i riferimenti alla vittima sono necessariamente generici, per evitarne la riconoscibilità al di fuori della cerchia degli affetti più stretti), quarantenne, ha trascorso la serata nel centro storico dove lavora, bevendo qualcosa poco dopo. Alle 3,49 manda un sms alla fidanzata, in cui scrive che a breve sarà a casa poiché è in procinto di prendere il bus. Ma quando salgono sull’ “1” succede il finimondo. Dopo le botte scendono dal mezzo, barcollano e però entrambi riescono ancora a camminare. Luca è quello che sta peggio, rientra in taxi, racconta a Chiara (nome di fantasia) quel che gli è capitato, ma sulle prime ribadisce di non voler andare in ospedale.
Fra il 21 e il 22 luglio le condizioni si aggravano, Luca sta malissimo e Chiara chiama un’ambulanza perché lo accompagni al pronto soccorso. La Tac è allarmante, dal Villa Scassi di Sampierdarena lo dirottano al Galliera per operarlo d’urgenza, e Luca entra in coma farmacologico. Solo il 23 luglio i carabinieri sono informati per la prima volta di quel ragazzo in condizioni gravissime (la prognosi è ancora riservata), che ormai non può raccontare nulla. Ci prova Chiara, allora, che riferisce le confidenze del compagno nelle ore successive al pestaggio, che ha provato a mettersi in contatto con l’amico. Spiega agli investigatori che il look del suo compagno è molto «eclettico», e agli animali del bus numero “1” tanto potrebbe essere bastato per insultarlo e pensare a lui e al suo coetaneo come a una coppia. «Daje», è scritto adesso in uno degli ultimi messaggi sul suo profilo Facebook, inviato da chi lo conosce e spera di vederlo presto nei posti di sempre.
Le reazioni
Albano (Pd): «Il clima omofobo alimenta questi episodi»
«Le parole possono diventare pietre, il clima omofobo che ogni giorno vediamo alimentato da personaggi pubblici e da alcuni politici contribuisce a far scatenare episodi violenti e terribili come quello accaduto a Genova, mi riferisco al pestaggio da Arancia Meccanica avvenuto su un autobus ai danni di un quarantenne picchiato da quattro uomini e due donne perché creduto gay». Lo scrive la senatrice Donatella Albano (Pd). «Occorre ristabilire al più presto la dovuta laicità davanti al tema dei diritti civili e della libertà di orientamento sessuale, in cui l’Italia è in scandaloso ritardo - srive Albano -. Il fatto che questa violenza sia avvenuta sotto gli occhi di un autista che ha scelto di non intervenire ci deve far riflettere tutti su quale tipo di società vogliamo. Dobbiamo avere la forza di controbattere a chi vuole trasformare l’Italia in una nazione di bestie intolleranti, violente, egoiste e disumane».
Paita: «Questa non è una regione per omofobi»
«Questa non è una regione per omofobi: sono parole che vanno scandite con chiarezza, con forza, con rabbia. Perché il pestaggio, avvenuto su un autobus a Genova che ha ridotto in fin di vita un ragazzo solo perché sospettato di essere omosessuale, è gravissimo, e chiama tutti alla vigilanza, alla responsabilità e a una presa di posizione». Lo scrive in una nota Raffaella Paita, capogruppo del Pd in Regione Liguria. «Esprimo tutta la mia solidarietà al ragazzo e alla sua famiglia - scrive Paita -. Ma la solidarietà, a fronte di eventi come questo, non basta. C’è un lavoro politico e culturale da fare, a partire dalle scuole per finire con il lessico della politica. Atti come questi non nascono dal nulla: hanno una precisa matrice che va riconosciuta e condannata. Sono atti di violenza che si inscrivono in una cornice culturale in cui ancora le discriminazioni verso le persone Lgbt sono all’ordine del giorno. Se non vogliamo che la solidarietà verso le vittime della discriminazione sia solo a parole, dobbiamo impegnarci perché i diritti delle persone Lgbt in Italia abbiano un effettivo riconoscimento».
Il deputato Zan (Pd): «Serve dare una stretta alla violenza omofoba»
“Quanto è avvenuto a Genova, ai danni di un quarantenne eterossessuale creduto gay dal branco e picchiato a sangue fino a ridurlo in fin di vita, è spaventoso, e ci impone una seria riflessione sulle iniziative urgenti da attuare per porre un freno all’incredibile escalation di violenza omofoba che sta colpendo l’Italia”. E’ il commento di Alessandro Zan, deputato gay del Partito Democratico e attivista per i diritti civili, all’aggressione. “Sono vicinissimo al ragazzo, alla fidanzata e ai suoi familiari; so che la situazione non è facile, visto che l’uomo, dopo aver subito un delicatissimo intervento alla testa per un ematoma cerebrale ed essere stato in coma farmacologico per giorni, non parla ancora e ha difficoltà a essere alimentato. Mi auguro solo” prosegue il deputato dem, “che il decorso prosegua al meglio e che le autorità, guidate dal sostituto procuratore Ranieri Minati, riescano ad assicurare al più presto alla giustizia gli aggressori. Ma tutto ciò” continua Zan, “non basta; ho presentato un’interrogazione al Ministro dell’Interno e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri affinché siano individuate delle iniziative urgenti per porre una stretta al clima violento di omofobia in cui è sprofondata negli ultimi mesi l’Italia, con casi che si susseguono da Torino alla provincia di Padova - dove un genitore è arrivato a uccidere con un colpo di pistola alla testa la figlia perché lesbica -, da Pomigliano a Catania”.
L’intervento di Arcigay: «Lo Stato deve garantire giustizia»
«Facciamo fatica a ricordare quando si è verificata l’ultima aggressione di stampo omofobo. Perché è successo in questa città che si è sempre distinta per inclusione e tolleranza? Perché nella Genova Città dei Diritti? Perché nella città del Pride del 4 luglio?». Lo chiede in una nota Arcigay Genova commentando la notizia del pestaggio. «Il fatto che l’uomo aggredito non fosse gay per noi non è importante - si legge nella nota -. Innanzi tutto è una persona e in quanto tale sentiamo di voler manifestare la nostra solidarietà e vicinanza, garantendo, se necessario, l’assistenza dei nostri legali. Dobbiamo fare anche qualche altra riflessione. Per gli aggressori era gay e a noi basta per chiedere ad alta voce d’essere difesi. Difesi come persone e come gay». La comunità gay genovese oggi «non può che sentirsi aggredita e chiede giustizia, quella giustizia che lo Stato italiano ha il dovere di garantire».