Condivido, pertanto condivido.
Uomini e donne hanno pari diritti e pari doveri.
Da questa affermazione, lampante alla ragione, deriva che il genere non è rilevante nello stabilire i diritti e i doveri di un individuo. Non è ammissibile sostenere che esistano, per esempio, “i lavori da donna”, e alla stessa maniera non è ammissibile che esistano “i diritti delle donne”: esistono, semmai, i “diritti degli esseri umani”.
Il genere contro il quale è perpetrata una discriminazione non è un elemento che incida sul giudizio quantitativo o qualitativo della gravità della discriminazione stessa.
È conforme a realtà l’opinione coloro che affermano che “le discriminazioni contro le donne sono, nella storia, maggiori per numero e per gravità rispetto a quelle contro gli uomini”? La risposta a questa domanda può essere interessante a fini storici e sociologici. È invece del tutto ininfluente da un punto di vista metodologico. Secondo nessuna logica, infatti, da questa opinione può conseguire che i singoli casi di discriminazione antimaschile si possano considerare diversamente gravi o diversamente meritevoli di attenzione rispetto ai singoli casi di discriminazione antifemminile.
La responsabilità, la colpa e lo status di vittima sono individuali: in nessun modo, dunque, si può ammettere che si trasmettano da individuo a individuo per omogeneità di genere, e dunque in virtù di una M o di una F sulla carta d’identità.
Secondo nessuna logica si può ammettere che la denuncia di uno o più casi di discriminazione contro un genere rappresenti una sottovalutazione delle discriminazioni contro l’altro genere.
Molti femministi dànno di “femminismo” la seguente definizione: “Essere per la parità dei sessi”. È senz’altro una definizione inadeguata: “essere per la parità dei sessi” può essere una condizione necessaria per essere femministi, ma di certo non è una condizione sufficiente; diversamente, anche i redattori di questo “Manifesto” dovrebbero definirsi femministi.
Locuzioni del tipo “sessismo al contrario”, “sessismo di ritorno”, “sessismo alla rovescia” sono ridicole e offensive. L’italiano ha un termine più che adeguato per indicare la discriminazione, sia nei confronti delle donne sia nei confronti degli uomini, in base al genere. Questa parola è “sessismo”. Ed è una parola che non necessità di complementi di modo o di direzione.