Autore Topic: Il gender? È beautiful!  (Letto 1604 volte)

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Offline Vicus

  • Moderatore Globale
  • Pietra miliare della QM
  • ******
  • Post: 21255
  • Sesso: Maschio
Il gender? È beautiful!
« il: Ottobre 08, 2015, 17:44:17 pm »
http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&view=article&id=320664:il-gender-e-beautiful&catid=17:costume-a-societa&Itemid=146

Milena Spigaglia
17 Settembre 2015

Chi è Brooke? La bella di Beautiful… Chi è Ridge? Il bello di Beautiful… la cantava Masini, si intitolava Il Morbo di Beautiful, ed era il 1995. Bei tempi: c’era ancora la lira, le Torri Gemelle, e soprattutto, nella narrativa di massa, c’erano ancora gli uomini e le donne. La celebre e longeva soap opera americana girava tutta intorno al tira e molla tra la bionda della vallata, seduttrice endogamico-seriale, e il mascellone, manifesto della virilità post-moderna.

Ma i tempi sono cambiati, e assieme alla sovranità nazionale e al diritto dei popoli paiono svanite anche le differenze tra i sessi. Beautiful, amplificatore demagogico delle più basse velleità del popolino, ma soprattutto proscenio ruffiano dei valori abbracciati dalle élites e modello di imprinting da cui il volgo assimila voracemente, evolve e si adegua: finita l’epoca di Ridge e Brooke (ad onor del vero pure un po’ attempati), comincia quella di Maya Avant.

Chi è Maya? Piacerebbe a questo punto poter dire «la bella di Beautiful», se non fosse che risposta alternativa ed ugualmente valida sarebbe «il bello di Beautiful»… e sì, perché Maya, che di cognome fa Avant – e questa è la prima lezione per voi, reazionari che non siete altro – una volta era Myron.

Il drammone ci informa che il piccolo Myron non tarda a sentirsi stretto il corpo maschile ricevuto in dote da madre natura perciò, non appena raggiunta l’età dell’emancipazione, decide di recarsi a Los Angeles per cambiarlo. Come se non bastasse, si dà il caso che Myron sia pure nero. Di questi tempi sappiamo che essere neri è più che sufficiente in America per avere qualche problema con le forze dell’ordine… ma chi vuoi che si ricordi dell’attualità americana quando apparecchi una storia così pruriginosa come il cambio di sesso? Quello è razzismo vecchio, signori, fuori moda, ha già adempiuto al suo scopo, adesso c’è un razzismo tutto nuovo da combattere contro le ingiuste barriere sessuali!

Una laringoplastica per sistemare il pomo di Adamo, una tiratina a zigomi e sopracciglia, ché l’aria da gattona l’aveva sempre invidiata alle dive delle pagine di Vanity Fair, un paio di protesi, una resezione alle parti basse, un nuovo certificato di nascita ed ecco che Myron non deve far altro che scegliersi un nome e lanciarsi alla conquista del riccone californiano capace di garantirle per transfert quel rispetto e quella stabilità sociale a cui ha sempre anelato.

Dunque Beautiful ha sdoganato il transessuale. Oddio, assomiglia ancora un tantino a Michael Jackson, ma non importa, l’essenziale è che l’ometto è diventato una femminuccia e s’è attrezzato di tutto punto per la scalata sociale. Addio Myron, benvenuta Maya.

Ora, se la scelta del cognome Avant è tanto spudorata da non essere neanche un messaggio ma una battuta, quella del nome è secondo me un tantino più raffinata. Maya è sostantivo femminile sanscrito il cui significato originale è quello di «creazione», e che successivamente ha acquisito quello di «illusione». Nella prima accezione, «maya» fa riferimento al potere di misurare, foggiare, distribuire, costruire – quale termine più adatto per la rivendicazione dell’autonomia nel creare la propria identità secondo un processo auto-gestito?

Nella seconda e forse più interessante denotazione, «maya» è, come dicevamo, illusione, epifenomeno. Il «velo di Maya» è, per Arthur Schopenhauer, la dimensione materiale della realtà che ci impedisce di cogliere l’essenza del mondo. È la rappresentazione falsamente oggettiva che scaturisce da un’illusione ottica. Alla pseudo-razionalità della rappresentazione si sfugge soltanto attraverso la percezione della propria volontà di vivere, impulso irrazionale che ci domina ed è l’unico autentico.

Nelle sue opere, Julius Evola definisce la maya (e la maya-shakti, intendendo per Shakti la forza generatrice femminile complementare a Shiva, entrambi presenti in ogni essere umano) in termini di un principio per il quale l’uomo sperimenta il mondo fenomenico come una realtà a sé, e non come il riflesso, o meglio la degradazione di quello metafisico. Di qui l’illusione di Io e non-Io, e la soggezione a ciò che sembra vero ma che non lo è – perché solo samsara, mero divenire – soggezione dovuta ad ignoranza e a perdita di consapevolezza. Maya è dolore, insufficienza, stato di bisogno, sete di verità.

Maya Avant, oltre le apparenze. A cavallo tra il grottesco e l’inquietante –– in una parola, americano.

E adesso mi perdonerete ma mi tocca contestualizzare. Maya Avant è la modella di punta della Forrester, la casa di moda della famiglia di stilisti protagonista della serie. La signorina si è fidanzata con l’erede, nonché amministratore delegato, tale Rick Forrester. Il problema è che ha tardato parecchio a dire al promesso sposo che lei, prima, era un maschietto, Myron appunto. Ed è qui che si gioca la partita tra sceneggiatori e pubblico. Sono le modalità della rivelazione ad illustrarci qual è la verità che hanno scelto per noi.

Come scrive Le Bon, etnologo tra i fondatori della psicologia sociale, una nuova idea trionfa soltanto se penetra nella coscienza delle masse, divenendo parte dell’anima collettiva. L’idea deve trasformarsi in mito, scendendo «dalle regioni mobili del pensiero in quella regione stabile e incosciente dei sentimenti dove si elaborano i motivi delle nostre azioni». Quando l’idea ha finito per trasformarsi in sentimento, il suo trionfo resta acquisito nel lungo periodo, e tutti i ragionamenti tenteranno invano di screditarla. È solo in un secondo momento che inizia il processo di applicazione dei nuovi valori all’interno del sistema sociale attraverso norme e regole a loro tutela.

È accaduto con le campagne LGBT, coronate dalla pronuncia della Corte Suprema americana. Accade anche in Beautiful, dove il matrimonio – ossia il riconoscimento sancito per legge – finisce per ripagare un percorso che Maya, occhioni da cerbiatta impaurita sempre colmi di lacrime, ci spiega esserle costato molto, in termini di solitudine, sacrifici, soprusi, minacce, ricatti. Maya, diciamocelo, ci fa pena. Ci dispiace per lei. Ci immedesimiamo nelle sue sofferenze. Nei suoi desideri. Lei voleva un altro corpo. Ne aveva diritto –– non finiamo per pensarla così?

Maya fugge da una famiglia che non la capisce. Figurati, erano convinti di avere un figlio, ignoravano che in Myron albergasse cuor di donzella. E Maya ci racconta che la sua era una famiglia tradizionalista. Che significa? Ce lo spiega lei: «A casa mia si mangiava carne e patate, e guai se non si stava tutti a tavola puntuali all’ora di cena». Cribbio, vi rendete conto che spietatezza? I genitori di Myron osavano imporgli degli orari… e non erano neanche vegani! Par di riascoltare Roland Barthes, linguista e semiologo francese, censore severo della società borghese nei suoi aspetti conservatori e tradizionalisti, appunto, quando criticava «il comfort spettacolare delle norme familiari, giuridiche, religiose, la proprietà infusa dei beni borghesi, quali per esempio la messa della domenica, la bistecca con le patate fritte e la comicità del cornuto, insomma quello che si chiama un’ideologia». Uomini e donne, una mera ideologia borghese.

Per Myron-Maya arriva, quindi, il momento della verità, a lungo rimandato per timore di perdere l’amato. A proposito – l’amato in questione, Eric Forrester III detto Rick, è un soggetto che nell’ambito della soap piace solo alla sua fidanzata (dato l’ingente patrimonio di cui dispone, non stentiamo ad intuirne le ragioni: pecunia non olet…et, androgina est, aggiungeremmo). Si tratta di un insicuro, complessato e rancoroso, irascibile e viziato, un instabile insomma, e forse non è un caso che sia proprio lui a subire l’attrazione della confusa identità della modella. E’ l’eterno ragazzino di casa, e infatti è l’ultimo a sapere come stanno le cose. Mamma, papà, zii e parenti scoprono la verità prima di lui, e a turno affrontano Maya, accusandola di non essere adatta al giovane rampollo.

Perché è una transessuale? Giammai! Il problema è che non è stata sincera. Ce l’hanno con lei perché non gliel’ha detto subito! L’unico aspetto che hanno da eccepire i riccastri, ci raccontano, non è che il figlio stia per impalmare un transessuale no, ma una bugiardona. Ipocrisia politicamente corretta? Ma che andate a pensare. E’ che stanno più «Avant» di voi. Transessuale è cool, fatevene una ragione.

Il povero Rick, accecato dall’amore, non si è accorto di niente. Ha persino sostituito il quadro del soggiorno, la gigantografia della matriarca Stephanie, classico paradigma wasp, con un ritratto della nuova capo-famiglia caffellatte. Ora, tralasciando il profilo vagamente satanico dell’immagine, dove Maya è ritratta con lo sguardo allusivo, le vesti porpora e la chioma corvina raccolta in due prominenze laterali (corna caprine?), è la simbologia del quadro (la cui sostituzione ha impegnato una roba come una ventina di puntate e provocato l’ulcera gastrica a Ridge) che richiama l’attenzione.

Walter Benjamin ci insegna che tra la pittura e la fotografia c’è una distanza siderale. La pittura, insieme alla scultura e all’architettura, è depositaria del mito, cioè di una storia sacra ed esemplare. Il valore di un quadro è nella sua aura, cioè nella sua unicità e autenticità. L’aura è appunto ciò che si perde nel processo di riproducibilità dell’arte con l’avvento della fotografia, tecnica democratica che mette l’opera d’arte a disposizione della massa. Non a caso la fotografia si sviluppa con l’avvento del socialismo. La quantità ha il sopravvento sulla qualità. Progresso vuole che l’arte non racconti più Dio, ma l’uomo.

Maya la modella, regina delle immagini riprodotte in milioni di copie, compie il percorso inverso, ed è questo il suo significativo trionfo. Abbandona il regno del molteplice, del fruibile e del fungibile, e ascende dalle riviste patinate alla dimensione dell’unicum dell’opera d’arte in quanto evento irripetibile, Non più oggetto estetico ma etico. Non più valore espositivo ma votivo. Cultuale.

Il transessualismo è la nuova religione.

La trama della vicenda di Myron-Maya è naturalmente preordinata in vista del confronto decisivo, del momento in cui la modella svela al futuro marito di essere una transessuale. Gli spettatori si domandano cosa si diranno, come reagirà Rick. Quali parole userà Maya. E Maya, che non è una sprovveduta, le parole le sceglie con cura.

Rick le chiede se le pasticche che le ha visto cadere dalla borsa e prontamente recuperate (estrogeni) hanno a che fare con la verità del suo passato: «Sei malata?» chiede timoroso.

«No, certo che no, ma le pillole servono a preservare il mio benessere, che ho conquistato solo dopo la mia nascita» risponde la neo-pulzella, ancora un po’ criptica.

«Sei nata con un difetto?» insiste Rick.

«Qualche volta l’ho pensato anche io, ma poi ho capito che non è così» risponde pensosa Maya che infine, rotti gli indugi, ammette al fidanzato che in passato «l’esterno non corrispondeva all’interno», e che prima di arrivare a Los Angeles non c’era nessuna Maya Avant. C’era Myron. «Avevo il nome di mio nonno» aggiunge (sottotitolo: vedi che succede a fare i tradizionalisti?).

«Perché avevi nome di tuo nonno? Perché avevi il nome di un maschio?» domanda Rick, evidentemente forte di tutto il potenziale intuitivo che lo accompagna dal principio della storia.

Ed ecco finalmente la verità, la chiave, la leva per la traslazione dei significati. «Perché» scandisce Maya «mi hanno cresciuta come un maschio». Et voilà il cuore dell’ideologia gender. Uomini e donne si viene educati, non si nasce.

Subito segue la pubblicità, cosicché lo spettatore-massa metabolizzi. Non è colpa sua, del transessuale, ma di chi l’ha cresciuto in contrasto con le sue emozioni. Di chi gli ha imposto un ruolo che non gli apparteneva. La prossima volta fate attenzione, se dalla pancia della mamma spunta fuori un pistolino, non battezzatelo subito Marco, Giovanni, Andrea, Luca. Aspettate che vi chieda di comprargli la Barbie e di provare le scarpe col tacco. Non castrate la sua identità con la vostra educazione retrograda, intesi?

Gli spot non durano molto, del resto non c’è bisogno di reclamizzare i prodotti, quello più importante l’hanno già venduto: la teoria di genere che, direbbero i piazzisti di casa nostra, non è un sogno, ma solida realtà.

E Rick come ha reagito? Ah, Rick ha perdonato Maya (avevate dubbi?) non di essere una transessuale, no, ma di aver dubitato di lui e del suo amore, di non avergli confessato subito la sua vera identità.

Rick è «avant», e ci chiedono di essere «avant» quanto lui. Vogliono che noi siamo Rick.

Chi è Rick? Il pirla di Beautiful.

Milena Spigaglia
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.