Così sarebbe davvero un buon anno (fonte: Telegraph):
Arroganza, intransigenza e compiacimento hanno contraddistinto la risposta di Bruxelles alla strategia di David Cameron per rinegoziare il rapporto della Gran Bretagna con l’Unione Europea. In vista del referendum britannico sull’adesione all’UE, che si terrà entro la fine del 2017, il Primo Ministro aveva proposto un modestissimo pacchetto di riforme. Eppure, gli inflessibili leader dell’Unione europea non hanno voluto cedere di un passo. È stata rifiutata anche la richiesta di apportare una piccola modifica al diritto dei migranti di richiedere sussidi statali.
Una posizione così sprezzante potrebbe essere vista come assoluta certezza nel progetto europeo. Le richieste di cambiamento provenienti dalla Gran Bretagna vengono respinte automaticamente perché non viene consentito nulla che contrasti la spinta verso “un’unione sempre più compatta”. Nell’approccio dogmatico dell’élite dominante dell’UE, il trionfo di un superstato federale rappresenta un obiettivo imprescindibile.
Ma questo atteggiamento di compiaciuta sicurezza è del tutto fuori luogo. La realtà è che, a dispetto della noncuranza con cui è stato respinto il modesto piano di Cameron, l’Unione europea è in serio pericolo. L’edificio del federalismo sta cadendo a pezzi, frantumato dalle sue rovinose contraddizioni e dai suoi spettacolari fallimenti. I creatori dell’Unione europea avevano promesso di portare pace e prosperità, ma con la loro grandiosa follia hanno aumentato solo i debiti, la disperazione e le divisioni
L’Unione europea manca di qualsiasi legittimità democratica, il che significa che la fine potrebbe arrivare prima di quanto i politici si aspettano. Dopotutto, il collasso del regime di apartheid in Sudafrica avvenne in maniera drammatica e repentina nei primi anni Novanta, così come collassarono i Governi comunisti in Russia e nell’Europa dell’est sul finire degli anni Ottanta.
Il 2016 potrebbe essere l’anno in cui l’Unione europea crolla definitivamente, rendendo irrilevante il referendum britannico. L’economia ha un ruolo fondamentale in qualsiasi processo di collasso. Nonostante l’incessante propaganda ottimista di Bruxelles e il controllo fiscale sempre più centralizzato, le difficoltà dell’euro non sono scomparse. La crescita rimane anemica – appena dello 0,3% nel terzo quadrimestre dell’anno – mentre le code per il sussidio sono più lunghe che mai. La disoccupazione in Spagna, che un tempo veniva presa come esempio del “miracolo” dell’eurozona, è al 23%. In Grecia il dato supera il 25%.
Ma l’Unione europea non può risolvere questa implacabile crisi economica perché è essa stessa parte del problema. La moneta unica non è mai stata davvero un’iniziativa economica. Al contrario, è uno strumento politico per far avanzare il progetto federalista. Costringere insieme economie diverse come quelle della Germania e della Grecia era un’operazione destinata fin dall’inizio a sfociare nel debito e nella paralisi.
Finora le conseguenze politiche di questa catastrofe economica hanno riguardato soprattutto l’Italia e la Grecia, dove la rabbia per le condizioni imposte dall’Europa ha portato a scontri ed estremismi. Ma le ricadute politiche causate dall’eurozona potrebbero estendersi presto, allargando la portata del conflitto. Dopo le elezioni dello scorso ottobre, il Portogallo ha un Governo di minoranza socialista sostenuto dal Blocco di Sinistra – un movimento che incoraggia la disobbedienza civile di massa contro l’austerità – e dal Partito comunista portoghese che assume posizioni tradizionalmente marxiste e anticapitaliste. Dopo le recenti elezioni nazionali, anche la Spagna sta andando nella stessa direzione.
Lo scontro che incombe sulle questioni economiche sarà aggravato dal continuo disastro migratorio, che minaccia di strappare il tessuto sociale dell’Europa. Invece di difendere la civilizzazione europea, la UE – con la sua ossessione per le frontiere aperte e la diversità culturale – è stata uno strumento di distruzione della nostra eredità e identità.
Poco prima di Natale è stato riportato che nel 2015 più di un milione di migranti hanno raggiunto l’Europa in modo irregolare, quasi tutti attraverso la zona orientale del Mediterraneo. È un flusso già insostenibile che continuerà a crescere nel 2016. Dopo aver schernito il patriottismo e deriso il concetto di sovranità nazionale, avendo trasformato in feticcio l’idea del libero movimento, l’Unione europea non potrà far nulla per cambiare il corso degli eventi.
Tutto ciò porterà ad una disillusione ancor più profonda verso l’Unione europea, come si evince dalla crescita dei movimenti anti UE e anti-immigrazione, come il Front National in Francia, il Partito per la Libertà olandese e i Democratici svedesi. Ma nel 2016 la rabbia potrebbe trasformarsi in aperta ribellione se la crisi migratoria dovesse portare ad una serie di attacchi terroristici di stampo islamista. Lo Stato Islamico si è già vantato apertamente di aver mandato i propri jihadisti in Europa attraverso i porosi confini dell’UE, mentre il Ministro libanese ha dichiarato che almeno un rifugiato siriano su cinquanta è un potenziale estremista.
Se dovesse accadere il peggio, tutte le retoriche dell’UE sulla pace e l’unità suonerebbero vuote e offensive. È facile immaginare che delle manifestazioni di massa per le vittime del terrorismo potrebbero trasformarsi in dimostrazioni contro Bruxelles –– lasciando gli eurocrati sconvolti e spaventati come Nicolae Ceaușescu quando nel 1989 si trovò dinanzi una folla ostile a Bucarest, poco prima del collasso del suo regime.
Una carneficina sulle strade d’Europa potrebbe essere il simbolo ultimo del fallimento degli eurocrati, e il catalizzatore della loro caduta.