Qualcuno ha deciso che non bastavano i padri separati a dormire nelle stazioni... NO! Mettiamoci pure i conviventi!
Incredibilmente, si è parlato poco o niente del capo secondo del DDL che disciplina, invece, le convivenze di fatto. All’art. 11 della legge, si definiscono come conviventi di fatto due persone maggiorenni – di sesso diverso o dello stesso sesso – unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Per stabilire la data di inizio della stabile convivenza, la legge fa riferimento alla data in cui entrambi collocano nel medesimo indirizzo la comune residenza. I successivi articoli disciplinano gli effetti giuridici di questo stato di fatto: si prevede, tra l’altro, il reciproco diritto di visita e assistenza in ospedale e in carcere (art. 12), la possibilità di successione nel contratto di locazione in caso di decesso del conduttore (art. 13, c. 3), il riconoscimento quale nucleo familiare per le graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare (art. 14), la parificazione allo status di coniuge superstite in caso di decesso dell’altro convivente per fatto illecito di terzi con conseguente applicazione dei medesimi criteri per il risarcimento del danno.
E fin qui, tutto sommato, la proposta, pur molto innovativa, non solleva particolari rilievi.
Sennonché la legge prevede anche che in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite abbia diritto di continuare ad abitare nella stessa casa per un periodo pari alla convivenza per un minimo di due anni e un massimo di cinque (art. 13, c. 1-2). Il che significa che, senza che il proprietario abbia mai previsto alcunché, gli eredi legittimi si troverebbero danneggiati da una situazione “di fatto” come la convivenza. La cosa bizzarra di questa previsione è che essa è valida “ex lege” e cioè a prescindere dal consenso, prestato in vita, del proprietario defunto. In altre parole, non si scappa.
Altro articolo assai discutibile è il 15 “Obbligo di mantenimento o alimentare”: la legge Cirinnà statuisce, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il diritto del convivente a ricevere dall’altro quanto necessario per il suo mantenimento oltre agli alimenti per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza. In altre parole i fidanzati conviventi che decidono di lasciarsi si trovano vincolati a obbligazioni di natura patrimoniale simili a quelli derivanti dal matrimonio, con la sola differenza della, non ben precisata in termini quantitativi, temporaneità. Anche in questo caso, non c’è modo di sfuggire da questa previsione: se vivi una convivenza con legami affettivi, dovrai pagare gli alimenti e il mantenimento alla parte economicamente debole in caso di “rottura” del rapporto.
http://www.glistatigenerali.com/legislazione/linferno-delle-convivenze-di-fatto-il-vero-attacco-della-cirinna-al-matrimonio/MERDA! MERDA! MERDA PER TUTTI!!!