Autore Topic: Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano  (Letto 4253 volte)

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Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2016

In difesa dei furbetti del cartellino

Difendo i ‘furbetti del cartellino’. Intanto nel decreto legge le misure punitive non sono graduate e rischiano di dar luogo a sperequazioni e a iniquità sostanziali. Un conto è se io sono un assenteista cronico, ed è giusto quindi che sia sanzionato, altro è se, ‘una tantum’, bigio un giorno di lavoro o, eludendo il controllo del dirigente, esco un’ora per prendere una boccata d’aria e un caffè sfuggendo alle mefitiche macchinette aziendali. In questi casi essere sospeso dal lavoro entro 48 ore e avviato in termini molto rapidi a una procedura di licenziamento che mi butterà sulla strada mi pare un provvedimento eccessivo e sproporzionato. Provvedimenti del genere possono essere presi, forse, in Germania o in Svizzera. Non in Italia dove, per fare solo un esempio fra i tantissimi, l’onorevole Giancarlo Galan condannato in via definitiva nel luglio del 2015 per corruzione, scontata ai comodi arresti domiciliari, continua a prendere una cospicua parte dello stipendio parlamentare (5 mila euro) conserva il vitalizio e la sua posizione di presidente della commissione Cultura alla Camera nonostante sia un’assenteista, benché forzato, dato che non può partecipare ad alcuna riunione.

Ma è l’intero sistema del ‘cartellino’ a essere psicologicamente sbagliato. Perché sottintende una totale sfiducia nel lavoratore che si ripagherà ricorrendo a ogni sorta di gherminella per far fessa l’azienda che così poco considerandolo lo umilia. Ho lavorato due anni alla Pirelli e so quel che mi dico (andavo alle raccolte dell’Avis, che l’azienda organizzava di frequente, non per spirito di volontariato ma perché un mezzo litro di sangue dava diritto, oltre che a un bicchiere di vino e a una fetta di panettone, a un agognato pomeriggio di libertà). Ho fatto il liceo classico al Berchet di Milano. In quarta e quinta ginnasio noi somari copiavamo a manetta le versioni di latino dai compagni più bravi e non c’era insegnante, per quanto cerbero, che riuscisse a scoprirci. In prima liceo venne uno straordinario professore, si chiamava Lazzaro, che oltre a saper comunicare il suo sapere conosceva bene la psicologia dei ragazzi e, più in generale, degli uomini. Dettava la versione di latino e poi usciva di classe. Nessuno copiò più perché il suo modo di fare ci toglieva il piacere della trasgressione e ci faceva capire quanto sciocco e autolesionista fosse il nostro comportamento.

Non c’è niente di più umiliante del ‘cartellino’ perché ti fa capire, in modo tangibile, che sei solo uno ‘schiavo salariato’ mentre intorno a te prilla un’opulenza sfacciata acquisita a volte in modo legale ma più spesso, soprattutto nella classe dirigente, illegale. Scrive bene Nietzsche: “una società che postula l’uguaglianza avendo bisogno di una moltitudine di schiavi salariati ha perso la testa”. Così infatti si innescano meccanismi di frustrazione e rancore che, oltre a farci viver male, possono diventare pericolosi.

Nella società preindustriale non esistevano cartellini di sorta. Era formata al 90 per cento da contadini e artigiani. Il contadino lavorava sul suo, viveva del suo e quindi autoregolava i propri ritmi di lavoro. Lo stesso valeva per l’artigiano. In quanto a quel 10 per cento, e anche meno, di nobili fainéant oltre ad avere alcuni obblighi (difendere il territorio e amministrare giustizia nel proprio feudo) partecipavano a un altro campionato e quindi il meccanismo della frustrazione e dell’invidia su cui si regge la nostra società spingendoci a raggiungere un’impossibile uguaglianza non scattava. Non è colpa mia se non sono nato Re. Non è colpa mia se non sono nato nobile.

E’ avvilente per un impiegato, per un operaio, per la cassiera di un supermarket, per un ragazzo o una ragazza dei call center sapere, o comunque intuire, di essere un paria, un ciandala, all’ultimo o al penultimo posto della scala delle caste, funzionale a quello che un tempo si chiamava ‘il sistema’.

Ribellati ‘popolo dei cartellini’, pubblici o privati. Distruggi quelle carte, quei timbri, quelle macchinette che certificano, in modo simbolico quanto concreto, la tua servitù. Insorgi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2016
Neil McCauley/Robert DE Niro [ultime parole]:- "Visto che non ci torno in prigione?"
Vincent Hanna/Al Pacino :-"Già."
Noodles:"I vincenti si riconoscono alla partenza. Riconosci i vincenti e i brocchi.Chi avrebbe puntato su di me?"
Fat Moe:"Io avrei puntato tutto su di te."
Noodles:E avresti perso.

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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #1 il: Gennaio 30, 2016, 13:21:13 pm »
Grandissimo Massimo Fini. Straquoto al 200%. Questo è il punto. Purtroppo il popolo del cartellino NON INSORGE. Si rassegna. Pensando a
quello che farà il fine settimana. Ci vorrà il crollo del modello di sviluppo occidentale oramai prossimo. Allora dovrà per forza cambiare modo
di vivere e registro. Ma soltanto perchè costretto.

Offline Vicus

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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #2 il: Gennaio 30, 2016, 13:58:48 pm »
Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2016

In difesa dei furbetti del cartellino

Difendo i ‘furbetti del cartellino’. Intanto nel decreto legge le misure punitive non sono graduate e rischiano di dar luogo a sperequazioni e a iniquità sostanziali. Un conto è se io sono un assenteista cronico, ed è giusto quindi che sia sanzionato, altro è se, ‘una tantum’, bigio un giorno di lavoro o, eludendo il controllo del dirigente, esco un’ora per prendere una boccata d’aria e un caffè sfuggendo alle mefitiche macchinette aziendali. In questi casi essere sospeso dal lavoro entro 48 ore e avviato in termini molto rapidi a una procedura di licenziamento che mi butterà sulla strada mi pare un provvedimento eccessivo e sproporzionato. Provvedimenti del genere possono essere presi, forse, in Germania o in Svizzera. Non in Italia dove, per fare solo un esempio fra i tantissimi, l’onorevole Giancarlo Galan condannato in via definitiva nel luglio del 2015 per corruzione, scontata ai comodi arresti domiciliari, continua a prendere una cospicua parte dello stipendio parlamentare (5 mila euro) conserva il vitalizio e la sua posizione di presidente della commissione Cultura alla Camera nonostante sia un’assenteista, benché forzato, dato che non può partecipare ad alcuna riunione.

Ma è l’intero sistema del ‘cartellino’ a essere psicologicamente sbagliato. Perché sottintende una totale sfiducia nel lavoratore che si ripagherà ricorrendo a ogni sorta di gherminella per far fessa l’azienda che così poco considerandolo lo umilia. Ho lavorato due anni alla Pirelli e so quel che mi dico (andavo alle raccolte dell’Avis, che l’azienda organizzava di frequente, non per spirito di volontariato ma perché un mezzo litro di sangue dava diritto, oltre che a un bicchiere di vino e a una fetta di panettone, a un agognato pomeriggio di libertà). Ho fatto il liceo classico al Berchet di Milano. In quarta e quinta ginnasio noi somari copiavamo a manetta le versioni di latino dai compagni più bravi e non c’era insegnante, per quanto cerbero, che riuscisse a scoprirci. In prima liceo venne uno straordinario professore, si chiamava Lazzaro, che oltre a saper comunicare il suo sapere conosceva bene la psicologia dei ragazzi e, più in generale, degli uomini. Dettava la versione di latino e poi usciva di classe. Nessuno copiò più perché il suo modo di fare ci toglieva il piacere della trasgressione e ci faceva capire quanto sciocco e autolesionista fosse il nostro comportamento.

Non c’è niente di più umiliante del ‘cartellino’ perché ti fa capire, in modo tangibile, che sei solo uno ‘schiavo salariato’ mentre intorno a te prilla un’opulenza sfacciata acquisita a volte in modo legale ma più spesso, soprattutto nella classe dirigente, illegale. Scrive bene Nietzsche: “una società che postula l’uguaglianza avendo bisogno di una moltitudine di schiavi salariati ha perso la testa”. Così infatti si innescano meccanismi di frustrazione e rancore che, oltre a farci viver male, possono diventare pericolosi.

Nella società preindustriale non esistevano cartellini di sorta. Era formata al 90 per cento da contadini e artigiani. Il contadino lavorava sul suo, viveva del suo e quindi autoregolava i propri ritmi di lavoro. Lo stesso valeva per l’artigiano. In quanto a quel 10 per cento, e anche meno, di nobili fainéant oltre ad avere alcuni obblighi (difendere il territorio e amministrare giustizia nel proprio feudo) partecipavano a un altro campionato e quindi il meccanismo della frustrazione e dell’invidia su cui si regge la nostra società spingendoci a raggiungere un’impossibile uguaglianza non scattava. Non è colpa mia se non sono nato Re. Non è colpa mia se non sono nato nobile.

E’ avvilente per un impiegato, per un operaio, per la cassiera di un supermarket, per un ragazzo o una ragazza dei call center sapere, o comunque intuire, di essere un paria, un ciandala, all’ultimo o al penultimo posto della scala delle caste, funzionale a quello che un tempo si chiamava ‘il sistema’.

Ribellati ‘popolo dei cartellini’, pubblici o privati. Distruggi quelle carte, quei timbri, quelle macchinette che certificano, in modo simbolico quanto concreto, la tua servitù. Insorgi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2016
I lavori col cartellino sono sempre meno.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #3 il: Gennaio 30, 2016, 16:23:28 pm »
Citazione
E’ avvilente per un impiegato, per un operaio, per la cassiera di un supermarket, per un ragazzo o una ragazza dei call center sapere, o comunque intuire, di essere un paria, un ciandala, all’ultimo o al penultimo posto della scala delle caste, funzionale a quello che un tempo si chiamava ‘il sistema’.

Ribellati ‘popolo dei cartellini’, pubblici o privati. Distruggi quelle carte, quei timbri, quelle macchinette che certificano, in modo simbolico quanto concreto, la tua servitù. Insorgi.

Bel discorso, che però è bello dal punto di vista teorico, ma non adatto e molto poco realistico per chi lavora in certi settori.
Sarebbe bello non essere servi di nessuno, ma questo è un mondo che non esiste, né può esistere.
Anzi no, può esistere: ma solo nella fantasia.
Peraltro, qualsiasi operaio sa di contare meno di zero nella società.
Io stesso, che son geometra di cantiere, ho un'influenza pari allo zero nel contesto sociale.
Peraltro, quale sarebbe "il sistema perfetto" ?
Qual è il sistema (utopistico?) che potrebbe permetterci di essere "realmente liberi" ?
Ma poi, liberi da cosa e da chi ?
Perché, diciamolo, nella nostra società siamo schiavi "di qualcosa e di qualcuno": in un'altra saremmo schiavi "di qualcos'altro e di qualcun altro".
E' la condizione umana ad essere intrinsecamente tragica.



Citazione
Ma è l’intero sistema del ‘cartellino’ a essere psicologicamente sbagliato. Perché sottintende una totale sfiducia nel lavoratore che si ripagherà ricorrendo a ogni sorta di gherminella per far fessa l’azienda che così poco considerandolo lo umilia.

Non è proprio così.
Questa è una mezza verità, non la verità; e bisogna anche distinguere tra pubblico e privato.
Certi ambienti bisognerebbe conoscerli bene, per capire il perché, altrimenti queste sono e restano soltanto delle belle chiacchiere.

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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #4 il: Gennaio 30, 2016, 19:14:45 pm »
Bel discorso, che però è bello dal punto di vista teorico, ma non adatto e molto poco realistico per chi lavora in certi settori.
Sarebbe bello non essere servi di nessuno, ma questo è un mondo che non esiste, né può esistere.
Anzi no, può esistere: ma solo nella fantasia.
Peraltro, qualsiasi operaio sa di contare meno di zero nella società.
Io stesso, che son geometra di cantiere, ho un'influenza pari allo zero nel contesto sociale.
Peraltro, quale sarebbe "il sistema perfetto" ?
Qual è il sistema (utopistico?) che potrebbe permetterci di essere "realmente liberi" ?
Ma poi, liberi da cosa e da chi ?
Perché, diciamolo, nella nostra società siamo schiavi "di qualcosa e di qualcuno": in un'altra saremmo schiavi "di qualcos'altro e di qualcun altro".
E' la condizione umana ad essere intrinsecamente tragica.



Non è proprio così.
Questa è una mezza verità, non la verità; e bisogna anche distinguere tra pubblico e privato.
Certi ambienti bisognerebbe conoscerli bene, per capire il perché, altrimenti queste sono e restano soltanto delle belle chiacchiere.

Ti ha appena risposto Massimo Fini nel suo magistrale articolo: nelle società preindustriali non esisteva il "cartellino" appunto perchè non c'era la paranoia dell'efficienza e non c'era la competizione: l'artigiano e il contadino lavoravano solo per quello che a loro bastava.
I nobili poi non lavoravano affatto perchè il lavoro per loro era addirittura una vergogna. Certamente non era una società idilliaca: era
una società statica che non si evolveva e non permetteva neppure all'individuo moltissime opportunità di miglioramento economico e
sociale. L'unica via era l'emigrazione, la carriera ecclesistica o quella militare per chi era nato povero. Ma era anche una società umana
che non era portatrice dello stress, delle anomie, dell'alienazione e degli squilibri psicologici tipici delle società dinamiche. Se la nostra
società, a forza di continuare il suo "dinamismo" andrà a collassare come è capitato a tutte le altre civiltà precedenti, temo che a una
società come quella descritta da Fini dovremmo ritornare per forza. Una società nella quale, guarda caso, non ci sarà più il femminismo.
Elemento, questo, generatore e foriero di gaudio e tripudio quant'altri mai.

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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #5 il: Gennaio 30, 2016, 20:45:00 pm »
Citazione
E' la condizione umana ad essere intrinsecamente tragica.

Ci sarà sempre qualcuno a occupare l'ultimo posto della fila
Da quando dio e' morto in occidente,pare aver prestato la sua D maiuscola al nuovo oggetto di culto la ''Donna''

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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #6 il: Gennaio 30, 2016, 20:46:06 pm »
Citazione
Ti ha appena risposto Massimo Fini nel suo magistrale articolo: nelle società preindustriali non esisteva il "cartellino" appunto perchè non c'era la paranoia dell'efficienza e non c'era la competizione: l'artigiano e il contadino lavoravano solo per quello che a loro bastava.
I nobili poi non lavoravano affatto perchè il lavoro per loro era addirittura una vergogna. Certamente non era una società idilliaca: era
una società statica che non si evolveva e non permetteva neppure all'individuo moltissime opportunità di miglioramento economico e
sociale. L'unica via era l'emigrazione, la carriera ecclesistica o quella militare per chi era nato povero. Ma era anche una società umana
che non era portatrice dello stress, delle anomie, dell'alienazione e degli squilibri psicologici tipici delle società dinamiche. Se la nostra
società, a forza di continuare il suo "dinamismo" andrà a collassare come è capitato a tutte le altre civiltà precedenti, temo che a una
società come quella descritta da Fini dovremmo ritornare per forza. Una società nella quale, guarda caso, non ci sarà più il femminismo.
Elemento, questo, generatore e foriero di gaudio e tripudio quant'altri mai.

Nel medioevo c'erano i servi della gleba.
Era meglio?
Non credo.
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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #7 il: Gennaio 30, 2016, 20:49:53 pm »
E' comunque quelli del cartellino dovrebbero considerarsi gli ultimi fortunati epigoni di una specie privilegiata in via di estinzione:quella degli impiegati fancazzisti con il posto garantito a viva.
Fantozzi non lo sapeva,ma sarebbe venuto un'era in cui lui veniva guardato con invidia.
Certe scene in cui i ragionieri giocano a battaglia navale nel luogo di ufficio mi fanno ridere ma le trovo fuori dallo spazio e dal tempo.
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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #8 il: Gennaio 30, 2016, 20:56:00 pm »
Nel medioevo c'erano i servi della gleba.
Era meglio?
Non credo.


Il servo della gleba non poteva lasciare la terra, ma non poteva nemmeno esserne scacciato. Vantaggio, forse, non da poco se si pensa che oggi il posto di lavoro lo puoi perdere da un momento all'altro se la tua azienda si trasferisce in Cina. I legami personali che oggi a noi
sembrano così odiosi erano anche una garanzia per il lavoratore, oltre ad essere un vincolo. Oggi invece non vi sono sicurezze di alcun tipo

Offline Salar de Uyuni

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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #9 il: Gennaio 30, 2016, 20:59:10 pm »
Massimo Fini è un borghese chiuso nel suo intellettualismo fine a sè stesso.
Sposa una teoria controcorrente per sentirsi à la page ma alla fine la teoria regge di fronte alla realtà?
Siamo 7 miliardi,cosa propone lui per tornare al medioevo in cui eravamo 300 milioni?
Pol pot l'aveva preso alla lettera e aveva aperto campi di sterminio.
Io dico che questi intellettuali dovrebbero ragionare in termini più concreti.
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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #10 il: Gennaio 30, 2016, 21:01:17 pm »
Massimo,non arrimpichiamoci sugli specchi,TU VORRESTI RINASCERE SERVO DELLA GLEBA?
Io non ci tengo.
Massimo Fini può contarla lunga quanto vuole.
Non è che se un intellettuale è antifemminista io sposo tutta la sua linea.
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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #11 il: Gennaio 30, 2016, 21:42:24 pm »
Ci sarà sempre qualcuno a occupare l'ultimo posto della fila

Certo, ma la condizione umana sempre intrinsecamente tragica rimane.

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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #12 il: Gennaio 30, 2016, 21:46:18 pm »
Ti ha appena risposto Massimo Fini nel suo magistrale articolo: nelle società preindustriali non esisteva il "cartellino" appunto perchè non c'era la paranoia dell'efficienza e non c'era la competizione: l'artigiano e il contadino lavoravano solo per quello che a loro bastava.
I nobili poi non lavoravano affatto perchè il lavoro per loro era addirittura una vergogna. Certamente non era una società idilliaca: era
una società statica che non si evolveva e non permetteva neppure all'individuo moltissime opportunità di miglioramento economico e
sociale. L'unica via era l'emigrazione, la carriera ecclesistica o quella militare per chi era nato povero. Ma era anche una società umana
che non era portatrice dello stress, delle anomie, dell'alienazione e degli squilibri psicologici tipici delle società dinamiche. Se la nostra
società, a forza di continuare il suo "dinamismo" andrà a collassare come è capitato a tutte le altre civiltà precedenti, temo che a una
società come quella descritta da Fini dovremmo ritornare per forza. Una società nella quale, guarda caso, non ci sarà più il femminismo.
Elemento, questo, generatore e foriero di gaudio e tripudio quant'altri mai.

Massimo, tu ci vivresti in una società come quella, dove campare 45 anni (cioè l'età del sottoscritto) era già tanto ? Una società dove morivi per un nonnulla ? Dove ti lavavi un giorno sì e quattro no ?
Io no, grazie.
Per quanto riguarda tutto il resto, ti ha già risposto Salar.

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Massimo Fini è un borghese chiuso nel suo intellettualismo fine a sè stesso.
Sposa una teoria controcorrente per sentirsi à la page ma alla fine la teoria regge di fronte alla realtà?
Siamo 7 miliardi,cosa propone lui per tornare al medioevo in cui eravamo 300 milioni?
Pol pot l'aveva preso alla lettera e aveva aperto campi di sterminio.
Io dico che questi intellettuali dovrebbero ragionare in termini più concreti.

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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #13 il: Gennaio 30, 2016, 21:51:33 pm »
Massimo,non arrimpichiamoci sugli specchi,TU VORRESTI RINASCERE SERVO DELLA GLEBA?
Massimo Fini può contarla lunga quanto vuole.
Non è che se un intellettuale è antifemminista io sposo tutta la sua linea.
No di certo, ma non è che siccome i servi della gleba non ci sono più questa civiltà e società debba per forza essere meravigliosa. Io dico che dobbiamo se non altro prendere delle suggestioni dalle civiltà del passato per conservare, se possibile, gli elementi positivi che pure
esse avevano e non seppellirle tout court e basta. Buttare via il bambino con l'acqua sporca non è mai stata una buona politica. Se un
intellettuale è un antifemminista per me basta e avanza per leggere ed ascoltare con attenzione quello che dice e che scrive. Se non altro
perchè ha il coraggio di andare controcorrente. E per andare controcorrente bisogna per forza avere idee tali che ne valga la pena.

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Re:Massimo Fini, In difesa dei furbetti del cartellino, Il Fatto Quotidiano
« Risposta #14 il: Gennaio 30, 2016, 21:55:59 pm »
Non è che se un intellettuale è antifemminista io sposo tutta la sua linea.

Peraltro Fini non è mai stato un vero antifemminista.
A mio parere lui non ha una reale consapevolezza di certe questioni.
In tal senso ci sono vecchi antifemministi - tra cui lo stesso Rino Barnart - che in confronto hanno due marce in più rispetto a Massimo Fini.
Poi sì, per carità, meglio lui che tanti altri pseudo intellettuali zerbini.