Un buon articolo sul tema, particolarmente interessante perche' non si puo' tacciare di essere di parte, in quanto l'autrice e il giornale sono accesi sostenitori delle unioni civili per omosessuali, quindi sono totalmente a favore della prima parte del DDL Cirinna'.
http://it.ibtimes.com/non-solo-unioni-civili-ecco-le-regole-alcune-assurde-la-convivenza-di-fatto-1436703La convivenza di fatto somiglia troppo al matrimonio
Non solo unioni civili: ecco le regole (alcune assurde) per la convivenza di fattoÈ meraviglioso il modo in cui i nostri politici stanno affrontando il dibattito politico, parlamentare e pubblico sulle unioni civili. Il DdL Cirinnà si compone di 23 articoli, ma per tutti sembra che ne esista solo ed esclusivamente uno: l’articolo 5 sulle stepchild adoption, vale a dire la possibilità per il genitore non biologico di adottare il figlio naturale del partner cui si è unito tramite l’unione civile. A volte qualcuno prova a sollevare qualche rimostranza sugli articoli 2 e 3 (quelli che disciplinano le modalità per la costituzione di un’unione civile e i diritti e i doveri dei coniugi) allo scopo di scongiurare qualsiasi tipo di equiparazione al matrimonio, ma ben poca cosa rispetto ai litigi, alle minacce e agli scontri politico-religiosi derivanti dall’ormai celeberrima norma che in italiano può essere definita “adozione del figliastro”.
Pochi, pochissimi, sembrano essersi accorti che i suddetti articoli si dividono in due Capi, il primo (dall’art.1 all’art.10) riguardante la “registrazione della costituzione e della cessazione delle unioni civili” appunto, il secondo (articoli 11-23) avente come oggetto la disciplina della convivenza di fatto, sia eterosessuale che omosessuale.
Ebbene, ad oggi, sembra che in Parlamento il Capo II non se lo sia letto proprio nessuno. Niente rimostranze, pochissimi emendamenti sugli articoli, non una parola su una normativa che cambierà radicalmente le regole attualmente in vigore per milioni di persone.
Quella della convivenza infatti è una strada intrapresa da moltissimi italiani, giovani e meno giovani che però oggi non hanno assolutamente nessuna forma di tutela o riconoscimento , neanche la più elementare come quella di assistere il convivente in caso di malattia o di esprimere la propria opinione in caso di morte dell’altro.
Per alcuni equivale ad un “periodo di prova” in vista di un successivo matrimonio, per altri è invece una scelta definitiva presa in tutta coscienza allo scopo di sottrarsi alle regole e ai doveri derivanti dal vincolo matrimoniale, per altri ancora è semplicemente una tappa obbligata perché semplicemente non ci si può sposare essendo in attesa di divorzio. Qualsiasi sia la motivazione alla base,
è una decisione che va rispettata, sia da terzi che dallo Stato, lasciandole quel margine di libertà per il quale entrambi i partner optano consapevolmente (in caso contrario ci troveremmo davanti a un’unione civile o a un matrimonio)Ma Il DdL Cirinnà va oltre le tutele elementari e i diritti, molto oltre, intervenendo a gamba tesa sulla convivenza di fatto e istituendo delle regole e dei doveri , come quello sul mantenimento su cui ritorneremo a breve, in modo del tutto arbitrario, sorvolando proprio su quella libertà che invece soggiace alla volontà di entrambi i partner. In altre parole lo Stato dice la sua in materie in cui dovrebbe ampiamente “farsi gli affari propri”.Se grazie all’intervento dei nostri zelanti parlamentari, le unioni civili risultano essere un istituto totalmente autonomo e distinto rispetto al matrimonio, lo stesso (e questo è davvero paradossale) non può dirsi per i conviventi, i cui obblighi in taluni casi vengono equiparati a quelli esistenti per i coniugi senza che tra l’altro nessuno l’abbia richiesto. Il tutto avviene nonostante
il disegno di legge definisca la convivenza di fatto come “una relazione attenuata”. Ma dati alcuni degli obblighi previsti, di “attenuato” sembra esserci poco o nulla.Ma quali saranno le nuove regole per i conviventi dopo l’approvazione della legge sulle unioni civili? Vediamole nel dettaglio.
Le nuove regole per i conviventi
Come detto in precedenza il Capo II del DdL si apre con l’articolo 11 che contiene la definizione della convivenza di fatto, vale a dire una relazione formata “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.” La definizione si applica ovviamente sia alle coppie omosessuali che a quelle eterosessuali.
Di fronte alla legge, la convivenza avrà inizio nel momento in cui entrambi i partner collocheranno la propria residenza al medesimo indirizzo.Ma quali sono i nuovi effetti giuridici della convivenza di fatto? I due conviventi avranno finalmente diritto alla reciproca assistenza, diritto di visita (anche in carcere) e di accesso alle informazioni personali in caso di malattia o ricovero. Ciascun convivente di fatto può designare l'altro quale suo rappresentante e, nei casi di incapacità di intendere e volere, il partner potrà prendere decisioni in materia di salute, mentre nei casi di interdizione potrà svolgere il ruolo di curatore, tutore o amministratore di sostegno (art.17). Se uno dei due partner muore, l’altro potrà dire la sua sulla donazione degli organi, sul trattamento del corpo e sul funerale.
Fin qui tutto bene.
Le prime perplessità nascono quando si arriva all’articolo 13 che si concentra sulla “ casa di residenza”, stabilendo che in caso di morte del proprietario della casa comune, il convivente possa continuare a vivere nell’abitazione “per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni (non meno di tre anni in presenza di figli minori o disabili)", scavalcando de facto quelli che sarebbero i legittimi eredi, anche senza alcuna indicazione del convivente deceduto. In altre parole, la legge stabilisce in automatico il diritto del partner superstite di abitare nella casa di comune residenza, a prescindere dalle volontà degli altri eredi e del proprietario stesso mentre era in vita. Il “diritto” cessa solo in caso di matrimonio, unione civile o convivenza di fatto. In ultimo, il comma 3 specifica che che in caso di morte del conduttore o di un suo recesso del contratto d’affitto, il convivente possa succedergli nel contratto (e su questo nulla da eccepire).
In questo caso, lo sottolineiamo, la scelta del legislatore potrebbe essere considerata una forma di “tutela” in caso di presenza di parenti-serpenti che avanzano pretese nei momenti “più opportuni”. Tuttavia come si presenta oggi la norma potrebbe essere anche vista come un eccesso di diritto che fa scattare in automatico una scelta che il convivente deceduto non ha fatto e che forse non avrebbe neanche voluto fare (in caso contrario avrebbe a disposizione differenti strade).
Dopo l’articolo 14, che riconosce l’accesso ai conviventi alle graduatorie valide per l’assegnazione degli alloggi popolari si arriva al
la parte più delicata del Capo II, vale a dire l’articolo 15 “obbligo di mantenimento o alimentare”. Ed è a questo punto che le perplessità diventano pesanti interrogativi sulla possibile intromissione dello Stato in una relazione che, lo ribadiamo, dovrebbe essere “attenuata” rispetto all’unione civile e al matrimonio.
La suddetta norma prevede infatti che,
in caso di fine della convivenza, il convivente “più debole” abbia diritto a ricevere dall’altro mantenimento e/o alimenti. Vi chiederete: qual è la differenza rispetto al matrimonio? La diversità risiede nel tempo, perché per i conviventi l’obbligo vale solo per “un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza”.
In altre parole, anche per la convivenza viene previsto un vincolo patrimoniale simile a quello esistente per il matrimonio o per le unioni civili, un diritto imposto dallo Stato, anche in automatico (perché non scelto dai partner), interferendo in un legame “di fatto” cui invece dovrebbe essere lasciata maggiore libertà proprio perché nel caso in cui la coppia volesse maggiori vincoli (patrimoniali in primis) deciderebbe di optare per gli altri due istituti previsti dalla legge o, in alternativa, per il contratto di convivenza previsto dagli articoli 19-20-21-22 del DdL Cirinnà.
Stando così le cose, chi sceglie la convivenza per sottrarsi a un vincolo legislativo e patrimoniale, con la nuova legge sarà comunque obbligato a rispettarlo, senza possibilità d’appello.Nonostante la volontà della legge attualmente in discussione al Senato sia quella di porre rimedio a forme di discriminazione tanto odiose quanto stantie, a non-regole che non rispecchiano (da decenni) la realtà della società contemporanea,
il risultato è quello di interferire nella vita di due persone che hanno scelto volontariamente di sottrarsi a un impegno legislativo e patrimoniale nel pieno rispetto del proprio libero arbitrio. Un diritto non richiesto ma imposto che non lascia alcuna via d’uscita.Da sottolineare inoltre che, come affermato in precedenza, i conviventi avrebbero piena possibilità di decidere in favore di questi vincoli stipulando il contratto di convivenza.
Quest’ultimo infatti ha proprio lo scopo di “disciplinare i rapporti patrimoniali”. Deve essere redatto in forma scritta e deve essere ricevuto da un notaio in forma scritta. Il notaio, dopo averlo autenticato, provvederà ad inviare copia del contratto al comune di residenza (entro 10 giorni dalla ricezione) per l’iscrizione all’anagrafe della coppia.
All’interno del documento i partner potranno inserire le modalità di contribuzione alle necessità di coppia e, appunto, il regime patrimoniale scelto (divisione o comunione dei beni). Il contratto verrà considerato nullo in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza di uno o di entrambi, nel caso in cui non sussistano le condizioni inserite nell’articolo 11 (legame affettivo, assistenza fisica e morale, ecc.), nel caso in cui venga stipulato da un minore non autorizzato dal Tribunale o da una persona interdetta giudizialmente. Infine la nullità scatta in caso di condanna di uno dei due conviventi per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell'altra.
Ovviamente (art.21) il contratto potrà anche essere sciolto, sia in accordo che unilaterlamente, o in caso di successivo matrimonio, unione civile e morte.
Occorre sottolineare che la legge (all’articolo 16) interviene sull’attività d’impresa stabilendo che «Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato». In ultimo l’articolo 18 stabilisce che in caso di decesso di uno dei due conviventi, derivante da un atto illecito compiuto da terzi, il superstite abbia diritto a un risarcimento danni come i coniugi uniti in matrimonio o in un’unione civile.
Ecco dunque le nuove regole che i conviventi residenti in Italia dovranno rispettare nel caso in cui il DdL Cirinnà dovesse essere approvato così come si presenta oggi . Una disciplina totalmente ignorata dai nostri politici che invece preferiscono battagliare sulla concessione di diritti civili che al giorno d’oggi dovrebbero essere ovvi in uno Stato democratico. A questo punto ci teniamo a darvi un consiglio: prima di andare a convivere, guardate il portafogli, e pensateci due volte, perché una volta fatto, la legge potrebbe costringervi a rispettare dei vincoli che voi non avete minimamente scelto.