Spostatelo, se lo ritenete opportuno, l'ho messo qui, perché, secondo me, attiene alla "violenza" del mandante. Quella che sta al caldo ed espone gli altri al rischio. In questo specifico caso è evidente la gerarchia (uno studente è gerarchicamente subordinato ai professori).
http://www.huffingtonpost.it/carlo-panella/le-cattive-maestre-di-giulio-regeni_b_9252098.htmlUna sola cosa è chiara nell'angosciante caso di Giulio Regeni: la corresponsabilità morale di due inquietanti e ciniche professoresse di Cambridge e dell'American University del Cairo che, ben al riparo delle mura universitarie l'hanno usato ed esposto per le loro mire accademiche e anche politiche.
Stranamente nessuno rileva questo aspetto più che inquietante della vicenda, che sarebbe evidente se solo si facesse un parallelo. Cosa si penserebbe di due professori che avessero assegnato a uno specializzando una ricerca sull'opposizione al regime di Pinochet, o di Videla nel periodo della loro massima ferocia repressiva? La risposta è scontata: che esponevano il loro sottoposto (perché c'è una gerarchia tra professore e specializzando) a pericoli gravissimi e non giustificabili sotto nessun profilo. Bene, il regime di al Sisi è dieci volte più autoritario e pericoloso di quelli di Pinochet e Videla, anche perché combatte concretissimi e attivissimi jihadisti islamici. Ma Maha Abdelrahman dell'Universitá di Cambridge e Rabab El Mahdi dell'American University del Cairo, non si sono fatte scrupoli a spingere Giulio Regeni ad esporsi frequentando riunioni sindacali in cui si progettavano scioperi illegali e lo hanno incitato a prendere contatti con esponenti dell'opposizione. L'hanno usato cinicamente e irresponsabilmente per potere poi pubblicare, apponendo i loro nomi accanto al suo, i loro bei pamphlet accademici di denuncia tanto tanto politically correct e tanto utili per le loro carriere accademiche.
Una prassi vergognosa, inaccettabile per chi minimamente conosca il contesto repressivo egiziano che le due professoresse sono tenute a conoscere perfettamente. L'Egitto infatti è un paese in cui pendono più di 1.000 condanne a morte già pronunciate per gli oppositori, in cui agiscono squadre della morte, in cui i desaparecidos denunciati dalle organizzazioni umanitarie sono ben più di 200.
Nessun inviato oggi si lancerebbe in un'inchiesta in Egitto come quella in cui è stato spinto Giulio Regeni da queste due "cattive maestre" senza una serie di accorgimenti d'obbligo. Innanzitutto e in maniera tassativa: mai muoversi da solo, ma sempre accompagnato da un minimo di due colleghi. Poi: segnalare a un fiduciario ora per ora, anzi minuto per minuto, gli spostamenti del gruppo e fissare continui appuntamenti telefonici di tutela. Infine, eccezionale copertura assicurativa disponibile solo da pochi anni, munirsi di un Gps (dal costo di poche centinaia di euro) ben nascosto nell'abbigliamento, che segnali a un fiduciario al Cairo la propria posizione nel caso di inconvenienti e ancor più di scomparsa. Norme elementari e obbligatorie per chi intenda fare inchieste sull'opposizione in paesi ad altissima repressione e dalle forze di sicurezza scatenate e barbare come sono notoriamente quelle egiziane. Norme che nessuno ha suggerito a Giulio, mandato allo sbaraglio da due ciniche "cattive maestre" che incredibilmente e colpevolmente non sono state neanche sfiorate dal dubbio che la loro brama di denuncia e di carriera accademica potesse avere un prezzo umano insopportabile.