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Recensione del libro di Eric Zemmour "L'uomo maschio"

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maveryx:
http://quintavalle.blogspot.it/2007/09/politicamente-scorrettissimo.html

Politicamente scorrettissimo

In copertina campeggia un rasoio. Non è per la barba. Il tema di questo libro è chiaramente la castrazione. L’ho acquistato, dopo avergli dato una scorsa veloce, solo perché si trattava evidentemente di un testo controcorrente: Dio sa se ne abbiamo bisogno in questi tempi di ‘pensiero unico’. Solo dopo ho scoperto di avere tra le mani quello che in Francia, prima delle presidenziali, è stato un vero caso letterario. “L’uomo maschio” (Piemme, pagg. 143, euro 11,50), di Eric Zemmour, francese, giornalista e polemista de Le Figaro, è duro e cattivo sin dalle prime righe, e va giù come un cazzotto, contro tutto ciò che è considerato politicamente corretto, dicendo quello che è oggi assolutamente vietato non solo dire, ma anche pensare.

Dove sono finiti i maschi di una volta? Se lo chiedono in tanti ed in tante, da ultimo la simpatica Berarda del Vecchio nel suo gustoso “Sdraiami”. Quelli della mia età hanno fatto in tempo a vedere l’ultima generazione di uomini che si sono confrontati con la Caccia e con la Guerra, vale a dire con un archetipo maschile che resisteva dalla notte dei tempi, e possono misurare la differenza. L’uomo di oggi è discretamente in crisi. Quanto al “maschio” è oramai una parola demodé, come “virilità”, un concetto confinato alla sola sfera sessuale: ed anche lì se la passa male. Perché?

In francese il titolo è “Le premier sexe”
in voluto pendant con quel “Le deuxieme sexe” (1949) nel quale Simone de Beauvoir, scriveva: «Ebbi una rivelazione: questo mondo era maschile, la mia infanzia era stata nutrita da miti forgiati dagli uomini». Sessant’anni dopo, secondo Zemmour, la società è invece plasmata sui valori femminili. Nella sua versione più moderna, il femminismo ha preteso di cancellare le differenze di genere, di omologare l’uomo alla donna: in altre parole di evirarlo. «È un nuovo femminismo. Il femminismo degli anni ’70 voleva che le donne vivessero come uomini, pensassero, lavorassero come uomini. Il femminismo d’oggi esige invece che gli uomini vivano come donne. La donna non è più un sesso ma un ideale». Trionfano, in famiglia, ma anche in politica, i valori “femminilmente corretti”: tolleranza piuttosto che conflitto, consenso piuttosto che autorità, precauzione piuttosto che rischio, intuizione piuttosto che ragione, ascolto piuttosto che impulsività, coppia piuttosto che individuo, amore piuttosto che desiderio. Il buonismo consociativo e piacione. L’uomo, insomma, deve omologarsi, cioè diventare una donna.

Ma è, quella del trionfante femminismo, vera gloria? Qui il libro è ancora più coraggiosamente controcorrente. Zemmour propone una sua originale chiave di lettura del XX secolo: non il tempo dell’emancipazione e delle conquiste della donna - piuttosto un’epoca di progressiva rinuncia ed abdicazione dell’uomo dal suo ruolo, a partire dal macello della prima guerra mondiale.
Per le donne, una vittoria di Pirro: esse vanno ad occupare i posti che gli uomini hanno lasciato liberi, nelle professioni, nell’università, nella politica, luoghi disertati dal vero potere. Né trovano nelle relazioni con l’altro sesso sufficienti motivi per gioire.

Sognano ancora il principe azzurro, forse. Ma il Cavaliere pazzo, d’amore e di passione, che va lancia in resta contro i pericoli del mondo alla conquista della sua bella, alla fine del viaggio si trova davanti una signora cinica e disincantata che ha nel lavoro e nella carriera il suo vero baricentro. Partito alla ricerca della sua metà, incontra la metà sbagliata, ciò che credeva di essersi lasciato dietro per sempre: insomma, un altro uomo. La sua è una Principessa “col” pisello. Per la quale la maternità - se mai ci arriva, agli ultimi rintocchi dell’orologio biologico - è la ciliegina sulla torta di una vita spesa perseguendo il successo professionale. Oppure la soluzione di ripiego in caso di insuccesso. In ogni caso un progetto strumentale e secondario.

L’uomo, re spodestato, persi i privilegi, si disfa allora anche delle sue responsabilità. Si dà alla fuga. Ci pensa magari la legge a richiamarlo all’ordine: a differenza della donna, non può rinunciare a una paternità indesiderata. Di converso non può opporsi se la sua compagna decide di abortire. In nessun caso ha voce in capitolo sul frutto del suo seme. Castrato.

L'illuminante intuizione di Zemmour è che il femminismo è l’ultima e più raffinata forma di totalitarismo, perché, come tutti i totalitarismi, si propone di cambiare l’uomo sin nell’intimo, omologando e livellando le differenze di genere.
E com’è un uomo, nell’intimo? Il libro parla (con una sincerità che gli uomini raramente si concedono) delle paure ancestrali del maschio, in primo luogo dell’ansia da prestazione, della paura della castrazione. Ansie che vanno placate, rassicurate, affinché egli possa riuscire nell’atto sessuale. Ma che invece, la nostra società disprezza e sottovaluta, come un retaggio culturale di un'epoca barbara: quando invece hanno una natura biologica. Nel bene e nel male, la mascolinità risiede al crocevia tra debolezza ed aggressività: i riti di iniziazione, la guida del padre nella società patriarcale, servivano proprio a venire a capo di questa duplicità, a farla emergere ed a codificarla. Oggi invece è semplicemente ignorata e negata: gli uomini apprendono, sotto la pressione della società, a respingere i loro istinti più profondi, ed a negare con vergogna le loro paure ancestrali. Si è inceppato così il fragile meccanismo del desiderio maschile, malamente sostenuto dalla diffusione di pornografia e viagra.
Destabilizzato e privato della sua identità e dei suoi punti di riferimento, femminilizzato, l’uomo d’oggi sembrerebbe in teoria incarnare l’ideale femminile. In pratica delude. Il divorzio si diffonde, proprio ad iniziativa della donna: evirato, l’uomo non funziona più, non serve più a niente, il giocattolo si è rotto. Si divorzia paradossalmente in nome della "coppia", di un ideale di coppia, di un modello irraggiungibile di fronte al quale la realtà non può che essere deludente: è quello che l’autore chiama “liberazione del bovarismo”.

Suggerisce Zemmour che la crisi del maschio è una chiave di lettura della crisi dell’Occidente, della sua stagnazione creativa, del progressivo divario ed incomprensione tra Europa ed America: non scriveva già Robert Kagan che gli “Americani vengono da Marte e gli Europei da Venere”? Ma la psiche virile è un palinsesto (felice metafora, questa, dell’autore), che il verbo del politicamente corretto non è riuscito a cancellare del tutto. Forse conclude, la riscossa verrà proprio dall’America, ed approderà in Europa con qualche anno di ritardo. Peraltro “la più grande resistenza verrà proprio dall’uomo, ben felice di essersi liberato dal fardello che aveva tra le gambe”

Come si vede, materia per riflettere. Certo, un libro con profondi riferimenti alla realtà francese, vale a dire a un paese che vive sempre nel mito del padre-monarca, e che ne sente dolorosamente l’assenza ogni volta che questo non è all’altezza.

In Italia il discorso è già diverso. A differenza della Francia l’Italia non è un paese maschilista...

Sono ben cosciente che tale affermazione desterà nel lettore incredulità se non ilarità. Ma è così. L’Italia è un paese matriarcale, e lo è sempre stato. La grande madre mediterranea è il centro della famiglia italiana, non struttura fondante e solida di affetti e sentimenti, ma ragnatela vischiosa e complice che alimenta le dipendenze, scoraggia l'autonomia e castra il maschio. Il classico conflitto nuora-suocera, da noi, non viene combattuto nel nome dell'autonomia della coppia dal legame incestuoso con la famiglia d'origine. Esso è invece lotta per il controllo dell'uomo tra la matriarca e l'aspirante tale.
Non a caso in Italia ha conosciuto una durevole fortuna la soap opera “Beautiful”, incentrata proprio sul conflitto tra una madre e una fidanzata per il controllo di un uomo subordinato e bamboccio.
È in famiglia, dalla madre, che si apprendono gli stereotipi di genere: la diffidenza verso le donne viene abilmente coltivata dalla madre nel "suo" bambino, a scopo preventivo.

Il simbolo del maschio italiano è il Don Giovanni in Sicilia di Brancati, un eterno fanciullo che vive sotto tutela delle sue donne. E, quanto al potere, la fuga del Re l’8 settembre ben simboleggia la fuga dei padri, e delle classi dirigenti, dalle loro responsabilità, una fuga che dura tuttora: come ben sanno i lettori del mio blog, la mia teoria è che siamo in 8 settembre permanente.
Quello che i francesi oggi scoprono addolorati, in Italia c'è sempre stato. In Francia la rinascita del maschio è forse possibile e vicina, perché sono ancora disponibili modelli culturali strutturanti.
Per un italiano, in assenza di punti di riferimento, con padri irresponsabili ed assenteisti e leaders inetti, imparare a diventare un uomo è molto più difficile. Proprio come l'8 settembre, bisogna arrangiarsi da soli.

Vicus:
E' un libro eccellente, e non l'unico: si possono trovare molti libri in francese di argomento antifemmnista. Zemmour è anche un noto giornalista (Figaro) e conduttore televisivo, che non esita a manifestare le sue opinioni durante i suoi programmi in prima serata.
L'analisi di Zemmour, riassunta da Maverick, è precisissima:
- la conquista delle donne di un fortino abbandonato e irrilevante,
- il mito contraddittorio della carriera e la famiglia come ornamento sociale con l'uomo a fare da maggiordomo,
- lo sdoganamento del bovarismo, con le assurde pretese e il divorzio senza scampo al contatto con la realtà,
- il femminismo come ingegneria sociale per formattare e snaturare l'uomo,
- lo sciopero degli uomini
Solo l'ultima parte della recensione è deludente: la Francia non è un Paese maschilista (già la lingua è tra le più femminili al mondo) e forse anche per questo le donne hanno un ruolo sociale più preminente che da noi. Quello dell'Italia mammona è un mito tenace ma mai concretamente dimostrato, salvo forse la disoccupazione che del resto riguarda molti altri Paesi.
Le recenti manifestazioni sul job act francese dimnostrano che la società oltralpe reagisce molto più che da noi per far difendere i suoi diritti, ma a differenza della Francia l'Italia dà il meglio di sé quando "rompe le righe".

Frank:
A quanto pare ne parlavano anche su uomini 3000.

http://questionemaschile.forumfree.it/?t=16036976

Riporto i commenti di Rino Della Vecchia.

--- Citazione ---Barnart
view post Inviato il: 19/4/2007, 22:31    

Caro C. Nemo, è chiaro che non sei uno sprovveduto. Ad es. hai fatto chiarezza sul significato del termine "essenzialista" che da un po' di tempo circola nel mondo femminista. In esso non vi è nulla di misterioso, benché sia stato adottato appositamente per confondere le idee e al tempo stesso trastullarsi con una parola di alto rimando "filosofico". Significa semplicemente "naturale".

Quanto al libro di Zemmour in esso si trovano davvero affermazioni e intuizioni notevoli. La sua uscita e il suo successo (per ora in Francia) indicano che qualcosa sta maturando. Al tempo stesso però vi si trovano elementi regressivi, manifestazione del fatto che l'autore non ha ancora maturato un quadro coerente dello stato delle cose. Si potrebbero definire sbandamenti, ma purtroppo c'è di peggio. E il peggio viene verso la fine.

Egli ad es. fa sua acriticamente la tesi dei minori redditi femminili a parità di
lavoro e quella secondo la quale le donne vengono ammesse a quelle forme e gradi di potere che sono abbandonati dagli uomini perché ormai scatole vuote. I maschi, dandosi di gomito, in una tacita ma universale intesa criminosa, lasciano alle femmine le posizioni di potere apparente. Ma il peggio risiede nel fatto che egli non è in grado di presentare la virilità se non nelle forme precisamente descritte dal femminismo. "...la forza, la violenza, la guerra, la morte, la virilità." E' un refrain.

Si dimostra perciò incapace di individuare nello specifico del maschile la parte luminosa e così rende un formidabile servizio alla campagna di calunnia degli uomini.
Non è il solo.
La saggistica maschile sul maschile è in fase di sommovimento. A ritmo continuo escono trattati e trattatelli sul padre e sul maschio. Molti di essi vengono recensiti come testi capitali in grado di scandalizzare e scuotere "le femministe" i cui attacchi vengono riportati e sottolineati a suggello della novità e dell'originalità del contenuto e del coraggio dell' autore. I titoli, poi, sono spesso lusinghieri.

Così si è portati a credere che si stia aprendo finalmente una nuova stagione, che intellettuali di diversi paesi e orientamenti abbiamo finalmente incominciato a fare il loro mestiere: pensare autonomamente. I critici del femminismo infatti assumono spesso quei lavori come testi di riferimento e si corre allora ad acquistarli per vedere cosa bolle in pentola. Quasi sempre arriva la mazzata.

Valga per tutti il caso di A. Naouri con il suo "Padri e madri, l'ordine dei ruoli in famiglia." Einaudi . Eu. 15,50; di cui parlano bene avversari espliciti, e non sprovveduti, del femminismo.

Ebbene, vogliamo sapere chi e che cosa è il maschio per Naouri?

"Dunque non ha mai smesso di essere questo, questo e nient'altro: un uomo, nient'altro che un uomo, un maschio egoista e chiuso a priori a tutto quanto è estraneo alla sua preoccupazione principale, pronto ad usare senza indugi la forza fisica per ottenere i propri scopi. Un bruto! Un bruto che con il passare del tempo si è certamente evoluto - giusto un pochino! - un bruto che si è un po' - molto poco! - dirozzato, un bruto che indubbiamente ha acquisito strumenti culturali, intellettuali, e le buone maniere, un bruto che ha messo in gioco la propria intelligenza, un bruto che si è senz'altro interessato ad altri campi di attività, ma non per generosità e altruismo, caratteristiche che gli sono sempre state profondamente estranee, no, solo per calcolo - cosa che si suole definire con il bel nome di sublimazione - per eventualmente accrescere il proprio potere di seduzione, moltiplicando così le occasioni per soddisfare i propri bisogni." (pag. 163).

"E' sempre stato così. Tutto muscoli e niente cervello, come del resto si continua a dire, in maniera un po' sbrigativa, non senza un pizzico di impietoso intenerimento. La formula, tuttavia, mi sembra troppo riduttiva. Infatti, la testa di un uomo, quella di tanto tempo fa come quella di oggi, per quanto raffinata e civilizzata sia divenuta, non è vuota come si dice.

Al contrario è piena. Piena fino all'orlo, perfino. Piena di un organo, il più importante ai suoi occhi, che si tratti di un contadino, di un operaio, di un
funzionario d'azienda, di un professore universitario, di uno studioso, di un prete, e via discorrendo: il suo sesso! E quando si è valutato questo, si è praticamente capito tutto della tragedia che vive" (pag. 164).

Questo è Aldo Naouri, uno degli araldi della maschilità rinascente, elaboratore del nuovo pensiero maschile, impietoso antifemminista, maestro delle presenti generazioni maschili. ("Pediatra da 40 anni ha costruito la sua opera intorno alle relazioni familiari. I suoi lavori sono divenuti punti di riferimento in materia...")

Vigiliamo insieme, con mille orecchi e diecimila occhi.
Stiamo attenti ai falsi profeti, essi possono ingannare anche gli eletti.
Riprecipitare nel sonno i Risvegliati.

Rino
--- Termina citazione ---

Frank:

--- Citazione ---Barnart
view post Inviato il: 24/4/2007, 17:57    

Caro Sebastiano, (e possiamo senz'altro darci reciprocamente del tu) non è possibile argomentare su tutte le osservazioni che sollevi perché ne hai presentate davvero molte. Ad es. bisogna rimandare ad altro luogo-momento ogni valutazione del contributo che i classici (e quindi anche Aristotele e Platone) ci possono dare nella comprensione di ciò che sta accadendo. E quello che accade oggi non è mai stato congetturato razionalmente né ha mai figurato nei più fantastici sogni/incubi di chicchessia prima che accadesse (ad es. l'inutilità maschile in campo riproduttivo, la clonazione, la partenogenesi come possibilità materiale/reale non erano prevedibili prima che ...diventassero realtà). Per valutare il contributo dei classici nello specifico (la QM) bisogna però mettere in discussione, almeno parzialmente, l'interpretazione/valutazione che noi diamo della filosofia occidentale. Magari prendendo spunto dall'affermazione di Nietzsche laddove disse (tirandosela un po') che prima di lui la psicologia non esisteva. Se questa affermazione fosse vera bisognerebbe chiedersi: "Di cosa si sono dunque occupati i filosofi che lo precedettero?".

Vengo al dunque.

E' vero che sarebbe inammissibile se, nell'enucleare le specificità maschili, individuassimo quelle e solo quelle elencate dal femminismo, per giunta dandone in blocco la medesima valutazione derogatoria/denigratoria senza considerare il carattere ambivalente che possono avere tutte le qualità di chicchessia.
In tal senso finiremmo, simmetricamente, con il celebrare nei maschi quelle qualità che ...non hanno e che dovrebbero prendere in prestito dalle femmine. Che è appunto il programma femminista.

E' dunque necessario analizzare il contenuto dei termini che si associano alla maschilità e quindi al significato complessivo dell'idea stessa di "virilità". Oltre a ciò è cmq necessario tenere presente il significato che essi hanno oggi nella società, perché, errato e deformato che sia, quello è e quello resta e solo sui tempi lunghissimi si può pensare di modificarlo.
Forza, potere, gerarchia, guerra - tra gli altri - sono concetti comunemente riferiti alla polarità maschile e nessuno di essi gode oggi di popolarità, lo prova il fatto che appunto quelli vengono assegnati agli uomini dalla propaganda femminista, con lo scopo che sappiamo.
E' poi vero che gli autori di testi sugli uomini quasi mai si danno la pena di metterne in luce l'ambivalenza, di mostrarne la parte luminosa e positiva neppure agli occhi dei loro lettori. Si lascia che il significato veicolato da quei termini sia semplicemente quello comune oggi, e quindi sempre quello negativo.

Si prenda la problematica della guerra. Essa richiede, esercita e manifesta virtù di polarità maschile (non sto ad elencare quali, per brevità). E' però anche vero che la guerra se non è sempre il massimo dei mali (la schiavitù può essere peggiore) è pur sempre uno dei più grandi. Anzi, con lo sviluppo moderno di armi di distruzione di massa, essa ha cambiato aspetto per diventare una condizione in cui le qualità maschili sono divenute secondarie. O irrilevanti. Ma vi è di più, perché la guerra, quasi sempre, è uno scontro tra chi offende e chi si difende. Tra il predatore e il rapinato. Dunque bisogna essere prudenti nel considerarla in modo avalutativo, come scontro tra due ragioni eguali e due eguali eroismi. Alla generosità di una parte si deve infatti contrapporre la rapacità dell'altra, in una alternanza di ruoli che ha coinvolto da sempre quasi tutti i popoli e gli stati. Questo fatto è così eclatante che, se non inquadrato nel piano generale della vita (delle forme viventi), rende difficile contrastare l'affermazione femminista secondo cui: non vi sarebbe bisogno di generosi eroi maschi che ci difendano se non esistessero vili predatori maschi che ci aggrediscono. Davanti ad ogni patriota che muore per la sua terra/cultura c'è un altro "patriota" che aggredisce terre e culture altrui. Il fatto che individualmente possano essere entrambi valorosi non toglie nulla al carattere maligno della guerra. E se essa è intesa come opera degli uomini allora non si potrà opporre nulla a chi afferma che prima scompare e meglio è. Ma la guerra è opera dei soli uomini? Chi agisce è anche colui che promuove? Il genere femminile è pacifico per natura o è corresponsabile dei conflitti pur non essendo agente?

Analogo rapporto tra apparenza e realtà riguarda il potere. Il potere è cosa maschile. Ma cosa intendiamo per "potere"? La poltrona, il fucile, il denaro? Le strutture gerarchiche? E' tutto qui il potere? E qui la sua parte decisiva? Ad esso poi si associa la sottomissione di altri. E chi può accettare oggi di essere sottomesso? Se la sottomissione fosse cosa accettabile, potremmo semplicemente accettare di essere noi i sottomessi. Con ciò ogni problema sarebbe risolto.
Potere: anche in questo caso la sua attribuzione al maschile torna vantaggiosa nella campagna planetaria di men-pushing.

Bisogna distringuere, analizzare e svelare la realtà dietro l'apparenza. Cosa che però non viene (quasi) mai fatta e così si lascia che il significato di quanto affermato resti quello acritico, immediato, comune, ormai del tutto modellato dalla propaganda femminista.

Al tempo stesso, altri caratteri specifici della maschilità, quali ad es. la frugalità, non vengono mai richiamati. Eppure si vede bene come la valorizzazione sociale di un simile tratto sarebbe giovevole alla società del consumismo, dello spreco (e delle discariche). Utile oggi come mai prima nella storia. Su questo invece, silenzio assoluto.

Chiudo così, non perché il tema sia esaurito (hai voglia!) ma per esplicitare le ragioni delle mie critiche a quasi tutti gli autori di opere sugli uomini che abbia potuto avvicinare. E' vero che io per scelta vado alla immediata ricerca dei limiti e della parte regressiva dei loro scritti. Ma non pretendo che la mia lettura sia asettica e imparziale. E' ogni volta un'autopsia.
E nelle autopsie si va a cercare la causa del decesso. Nel nostro caso quella del mancato risveglio.

Rino
--- Termina citazione ---

Jason:
Vicus


--- Citazione ---ma a differenza della Francia l'Italia dà il meglio di sé quando "rompe le righe".
--- Termina citazione ---


Nel senso che gli italiani, superata una certa soglia, esplodono ? Fanno contestazioni molto piú vivaci ?

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