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Recensione del libro di Eric Zemmour "L'uomo maschio"
Vicus:
Niente del genere: l'Italia dà il meglio durante le Caporetto. Da un redazionale di Effedieffe:
La verità è che l’Italia, risibile quando prende impegni che richiedono costanza, è pericolosissima quando «rompe». Non solo è l’economia più grossa, con il debito più grosso, del Club Med. È anche il solo Paese che ha abbastanza elementi di forza fondamentali da lasciare l’euro, se costrettavi dagli eventi. Anzitutto, svaluterebbe e recupererebbe immediatamente il 35% di competitività persa a favore della Germania dall’entrata nella moneta unica. Ha, è vero, un enorme debito pubblico, ma poco debito privato, e 9 trilioni (9 mila miliardi, anche se ora molto diminuiti) di ricchezza privata da spendere ed investire nella ripresa. Inoltre e più importante, il Paese è in «attivo primario» o quasi e in pareggio nella posizione d’investimento internazionale (ha pochi investimenti esteri sia dentro sia fuori), contrariamente a Spagna e Portogallo.
È esattamente quello che farete, italiani. Lo farete nel peggior modo possibile, non per deliberata volontà ma per disfatta; non per strategia ma per improvvisazione; non pulitamente ma in modo sporco, e perfino senza saperlo; lo farete come la ritirata di Caporetto, gettando i fucili nel fango, disertando il dovere, gridando che tenete famiglia, sotto una tempesta torrenziale, disubbidendo a capi che valgono ancor meno di voi, tradendo gli alleati che vi fucileranno ai lati dei sentieri; lo farete in mezzo a paura, fame, ruberie, atti di viltà vergognosi; ma lo farete, e sarà la vostr salvezza. Meglio farlo presto, comunque meglio che mai.
Tornerete alla lira: la moneta vostra. La moneta che vi ritrae, la moneta che siete voi: con il fazzoletto il testa al posto dell’elmetto e le scarpe di cartone per andare nel mondo a vendere le merci. E il gioco ricomincerà.
Jason:
--- Citazione da: Vicus - Maggio 21, 2016, 10:27:24 am ---Niente del genere: l'Italia dà il meglio durante le Caporetto. Da un redazionale di Effedieffe:
La verità è che l’Italia, risibile quando prende impegni che richiedono costanza, è pericolosissima quando «rompe». Non solo è l’economia più grossa, con il debito più grosso, del Club Med. È anche il solo Paese che ha abbastanza elementi di forza fondamentali da lasciare l’euro, se costrettavi dagli eventi. Anzitutto, svaluterebbe e recupererebbe immediatamente il 35% di competitività persa a favore della Germania dall’entrata nella moneta unica. Ha, è vero, un enorme debito pubblico, ma poco debito privato, e 9 trilioni (9 mila miliardi, anche se ora molto diminuiti) di ricchezza privata da spendere ed investire nella ripresa. Inoltre e più importante, il Paese è in «attivo primario» o quasi e in pareggio nella posizione d’investimento internazionale (ha pochi investimenti esteri sia dentro sia fuori), contrariamente a Spagna e Portogallo.
È esattamente quello che farete, italiani. Lo farete nel peggior modo possibile, non per deliberata volontà ma per disfatta; non per strategia ma per improvvisazione; non pulitamente ma in modo sporco, e perfino senza saperlo; lo farete come la ritirata di Caporetto, gettando i fucili nel fango, disertando il dovere, gridando che tenete famiglia, sotto una tempesta torrenziale, disubbidendo a capi che valgono ancor meno di voi, tradendo gli alleati che vi fucileranno ai lati dei sentieri; lo farete in mezzo a paura, fame, ruberie, atti di viltà vergognosi; ma lo farete, e sarà la vostr salvezza. Meglio farlo presto, comunque meglio che mai.
Tornerete alla lira: la moneta vostra. La moneta che vi ritrae, la moneta che siete voi: con il fazzoletto il testa al posto dell’elmetto e le scarpe di cartone per andare nel mondo a vendere le merci. E il gioco ricomincerà.
--- Termina citazione ---
In soldoni , l'italiano é vigliacco , ma per il futuro e per il rischio di collasso dell'UE e NATO, sará proprio la sua vigliaccheria la salvezza ?
ilmarmocchio:
--- Citazione da: maveryx - Maggio 20, 2016, 19:37:13 pm ---http://quintavalle.blogspot.it/2007/09/politicamente-scorrettissimo.html
Politicamente scorrettissimo
In copertina campeggia un rasoio. Non è per la barba. Il tema di questo libro è chiaramente la castrazione. L’ho acquistato, dopo avergli dato una scorsa veloce, solo perché si trattava evidentemente di un testo controcorrente: Dio sa se ne abbiamo bisogno in questi tempi di ‘pensiero unico’. Solo dopo ho scoperto di avere tra le mani quello che in Francia, prima delle presidenziali, è stato un vero caso letterario. “L’uomo maschio” (Piemme, pagg. 143, euro 11,50), di Eric Zemmour, francese, giornalista e polemista de Le Figaro, è duro e cattivo sin dalle prime righe, e va giù come un cazzotto, contro tutto ciò che è considerato politicamente corretto, dicendo quello che è oggi assolutamente vietato non solo dire, ma anche pensare.
Dove sono finiti i maschi di una volta? Se lo chiedono in tanti ed in tante, da ultimo la simpatica Berarda del Vecchio nel suo gustoso “Sdraiami”. Quelli della mia età hanno fatto in tempo a vedere l’ultima generazione di uomini che si sono confrontati con la Caccia e con la Guerra, vale a dire con un archetipo maschile che resisteva dalla notte dei tempi, e possono misurare la differenza. L’uomo di oggi è discretamente in crisi. Quanto al “maschio” è oramai una parola demodé, come “virilità”, un concetto confinato alla sola sfera sessuale: ed anche lì se la passa male. Perché?
In francese il titolo è “Le premier sexe”
in voluto pendant con quel “Le deuxieme sexe” (1949) nel quale Simone de Beauvoir, scriveva: «Ebbi una rivelazione: questo mondo era maschile, la mia infanzia era stata nutrita da miti forgiati dagli uomini». Sessant’anni dopo, secondo Zemmour, la società è invece plasmata sui valori femminili. Nella sua versione più moderna, il femminismo ha preteso di cancellare le differenze di genere, di omologare l’uomo alla donna: in altre parole di evirarlo. «È un nuovo femminismo. Il femminismo degli anni ’70 voleva che le donne vivessero come uomini, pensassero, lavorassero come uomini. Il femminismo d’oggi esige invece che gli uomini vivano come donne. La donna non è più un sesso ma un ideale». Trionfano, in famiglia, ma anche in politica, i valori “femminilmente corretti”: tolleranza piuttosto che conflitto, consenso piuttosto che autorità, precauzione piuttosto che rischio, intuizione piuttosto che ragione, ascolto piuttosto che impulsività, coppia piuttosto che individuo, amore piuttosto che desiderio. Il buonismo consociativo e piacione. L’uomo, insomma, deve omologarsi, cioè diventare una donna.
Ma è, quella del trionfante femminismo, vera gloria? Qui il libro è ancora più coraggiosamente controcorrente. Zemmour propone una sua originale chiave di lettura del XX secolo: non il tempo dell’emancipazione e delle conquiste della donna - piuttosto un’epoca di progressiva rinuncia ed abdicazione dell’uomo dal suo ruolo, a partire dal macello della prima guerra mondiale.
Per le donne, una vittoria di Pirro: esse vanno ad occupare i posti che gli uomini hanno lasciato liberi, nelle professioni, nell’università, nella politica, luoghi disertati dal vero potere. Né trovano nelle relazioni con l’altro sesso sufficienti motivi per gioire.
Sognano ancora il principe azzurro, forse. Ma il Cavaliere pazzo, d’amore e di passione, che va lancia in resta contro i pericoli del mondo alla conquista della sua bella, alla fine del viaggio si trova davanti una signora cinica e disincantata che ha nel lavoro e nella carriera il suo vero baricentro. Partito alla ricerca della sua metà, incontra la metà sbagliata, ciò che credeva di essersi lasciato dietro per sempre: insomma, un altro uomo. La sua è una Principessa “col” pisello. Per la quale la maternità - se mai ci arriva, agli ultimi rintocchi dell’orologio biologico - è la ciliegina sulla torta di una vita spesa perseguendo il successo professionale. Oppure la soluzione di ripiego in caso di insuccesso. In ogni caso un progetto strumentale e secondario.
L’uomo, re spodestato, persi i privilegi, si disfa allora anche delle sue responsabilità. Si dà alla fuga. Ci pensa magari la legge a richiamarlo all’ordine: a differenza della donna, non può rinunciare a una paternità indesiderata. Di converso non può opporsi se la sua compagna decide di abortire. In nessun caso ha voce in capitolo sul frutto del suo seme. Castrato.
L'illuminante intuizione di Zemmour è che il femminismo è l’ultima e più raffinata forma di totalitarismo, perché, come tutti i totalitarismi, si propone di cambiare l’uomo sin nell’intimo, omologando e livellando le differenze di genere.
E com’è un uomo, nell’intimo? Il libro parla (con una sincerità che gli uomini raramente si concedono) delle paure ancestrali del maschio, in primo luogo dell’ansia da prestazione, della paura della castrazione. Ansie che vanno placate, rassicurate, affinché egli possa riuscire nell’atto sessuale. Ma che invece, la nostra società disprezza e sottovaluta, come un retaggio culturale di un'epoca barbara: quando invece hanno una natura biologica. Nel bene e nel male, la mascolinità risiede al crocevia tra debolezza ed aggressività: i riti di iniziazione, la guida del padre nella società patriarcale, servivano proprio a venire a capo di questa duplicità, a farla emergere ed a codificarla. Oggi invece è semplicemente ignorata e negata: gli uomini apprendono, sotto la pressione della società, a respingere i loro istinti più profondi, ed a negare con vergogna le loro paure ancestrali. Si è inceppato così il fragile meccanismo del desiderio maschile, malamente sostenuto dalla diffusione di pornografia e viagra.
Destabilizzato e privato della sua identità e dei suoi punti di riferimento, femminilizzato, l’uomo d’oggi sembrerebbe in teoria incarnare l’ideale femminile. In pratica delude. Il divorzio si diffonde, proprio ad iniziativa della donna: evirato, l’uomo non funziona più, non serve più a niente, il giocattolo si è rotto. Si divorzia paradossalmente in nome della "coppia", di un ideale di coppia, di un modello irraggiungibile di fronte al quale la realtà non può che essere deludente: è quello che l’autore chiama “liberazione del bovarismo”.
Suggerisce Zemmour che la crisi del maschio è una chiave di lettura della crisi dell’Occidente, della sua stagnazione creativa, del progressivo divario ed incomprensione tra Europa ed America: non scriveva già Robert Kagan che gli “Americani vengono da Marte e gli Europei da Venere”? Ma la psiche virile è un palinsesto (felice metafora, questa, dell’autore), che il verbo del politicamente corretto non è riuscito a cancellare del tutto. Forse conclude, la riscossa verrà proprio dall’America, ed approderà in Europa con qualche anno di ritardo. Peraltro “la più grande resistenza verrà proprio dall’uomo, ben felice di essersi liberato dal fardello che aveva tra le gambe”
Come si vede, materia per riflettere. Certo, un libro con profondi riferimenti alla realtà francese, vale a dire a un paese che vive sempre nel mito del padre-monarca, e che ne sente dolorosamente l’assenza ogni volta che questo non è all’altezza.
In Italia il discorso è già diverso. A differenza della Francia l’Italia non è un paese maschilista...
Sono ben cosciente che tale affermazione desterà nel lettore incredulità se non ilarità. Ma è così. L’Italia è un paese matriarcale, e lo è sempre stato. La grande madre mediterranea è il centro della famiglia italiana, non struttura fondante e solida di affetti e sentimenti, ma ragnatela vischiosa e complice che alimenta le dipendenze, scoraggia l'autonomia e castra il maschio. Il classico conflitto nuora-suocera, da noi, non viene combattuto nel nome dell'autonomia della coppia dal legame incestuoso con la famiglia d'origine. Esso è invece lotta per il controllo dell'uomo tra la matriarca e l'aspirante tale.
Non a caso in Italia ha conosciuto una durevole fortuna la soap opera “Beautiful”, incentrata proprio sul conflitto tra una madre e una fidanzata per il controllo di un uomo subordinato e bamboccio.
È in famiglia, dalla madre, che si apprendono gli stereotipi di genere: la diffidenza verso le donne viene abilmente coltivata dalla madre nel "suo" bambino, a scopo preventivo.
Il simbolo del maschio italiano è il Don Giovanni in Sicilia di Brancati, un eterno fanciullo che vive sotto tutela delle sue donne. E, quanto al potere, la fuga del Re l’8 settembre ben simboleggia la fuga dei padri, e delle classi dirigenti, dalle loro responsabilità, una fuga che dura tuttora: come ben sanno i lettori del mio blog, la mia teoria è che siamo in 8 settembre permanente.
Quello che i francesi oggi scoprono addolorati, in Italia c'è sempre stato. In Francia la rinascita del maschio è forse possibile e vicina, perché sono ancora disponibili modelli culturali strutturanti.
Per un italiano, in assenza di punti di riferimento, con padri irresponsabili ed assenteisti e leaders inetti, imparare a diventare un uomo è molto più difficile. Proprio come l'8 settembre, bisogna arrangiarsi da soli.
--- Termina citazione ---
l' ho letto qualche tempo fa, ne ho anche parlato. Libretto agile, denso di contenuti, che non può mancare nella libreria di un qmista, ma anche di chi vuole comprendere il mondo di oggi
TheDarkSider:
--- Citazione da: Vicus - Maggio 21, 2016, 01:28:38 am ---Solo l'ultima parte della recensione è deludente: la Francia non è un Paese maschilista (già la lingua è tra le più femminili al mondo)
--- Termina citazione ---
Che intendi?
Il francese, semmai, e' una lingua profondamente maschile nella cristallina regolarita' della sua fononologia, ortografia e grammatica. E' anche piu' sistematica e regolare dell'italiano, in questo.
Molto piu' femminile e' l'inglese, con la sua costante e diabolica irregolarita' nella pronuncia (perche' now si pronuncia nau e know si pronuncia no? perche' bear -orso- si pronuncia bear ma fear -paura- si pronuncia fiar?).
maveryx:
http://www.truciolisavonesi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=6166:la-femminizzazione-delleuropa&catid=61:marco-giacinto-pellifroni&Itemid=57
Un'altro bell'articolo che prende spunto dal libro di Eric Zemmour
LA FEMMINIZZAZIONE DELL’EUROPA
È appena uscita la traduzione italiana di un libro di Éric Zemmour, “Sii sottomesso: la virilità perduta che ci consegna all’Islam”, uscito in Francia nel 2006, anticipando di parecchi anni il successivo bestseller“Sottomissione” di Michel Houellebecq, che prevede nel 2022 un’Europa islamizzata. Il libro fa una scansione dei vari sintomi che sono venuti connotando l’Europa di oggi attraverso più di mezzo secolo. Denominatore comune: il graduale sfumare delle diversità verso un continente popolato da donne sempre più mascolinizzate e uomini de-virilizzati. Insomma una facile preda di popolazioni “maschie”, come quella islamica, lungo una china simile a quella che portò alla capitolazione dell’impero romano, in progressiva decadenza per mancanza di guerrieri, atti a fronteggiare i “barbari”. Zemmour evidenzia l’effeminatezza del maschio europeo in tante sue manifestazioni. L’uomo vuole sempre più assomigliare al genere vincente: quello femminile. E così ne copia sia i comportamenti esteriori, come la depilazione, gli atteggiamenti e il modo di vestire, sia il metro di giudizio verso cosa sia lecito fare e cosa invece sia da condannare. Basti pensare a quanti pochi anni fa l’omosessualità fosse giudicata un reato, mentre oggi viene ufficializzata con leggi sempre più inclusive di diritti da sempre riservati alle coppie etero. L’ultima sortita (caldeggiata dalla solita Boldrini) è quella della Corte di Strasburgo, che sollecita l’Italia, ultima nazione europea non ancora allineata all’andazzo dominante, a riconoscere alle coppie gay gli stessi diritti di quelle tradizionali; ammettendo persino che un uomo possa cambiar sesso all’anagrafe pur restando fisicamente maschio. Forse ci sarà una corsa in tal senso se, come riporta Zemmour, “il 38% degli uomini vorrebbe essere incinto” e “quasi un uomo su due vorrebbe conoscere le gioie della gravidanza!”. […] “Il capitalismo (le multinazionali), dopo aver optato per la società multirazziale e multiculturale, ha scelto il campo della femminizzazione degli uomini, la frankensteiniana fabbricazione di un uomo senza radici né razza, senza frontiere né paesi, senza sesso né identità. Un cittadino del mondo meticciato e asessuato. Un uomo campato in aria”. Un uomo indebolito da un carico di responsabilità troppo pesanti per gravare solo sulle sue spalle, e quindi ben felice di condividerle sempre più con la donna, sino a una forma di ormai patente sottomissione: oggi alla donna, domani a popoli più virili e bellicosi, come appunto quello islamico. Zemmour vede tutto ciò all’origine di un mondo dove l’uomo è –e si sente- sempre e comunque in colpa per il solo fatto di essere uomo; anche in campo sessuale, dove ogni sua pulsione è marchiata, cattolicamente, come peccato, e laicamente come reato, da punire senza pietà e insieme da “curare”. Se fino a ieri erano “malati” i gay, oggi lo sono gli uomini che hanno pulsioni considerate sino a ieri come “normali”. Zemmour cita come esempio la prostituzione. L’accanimento contro chi insiste nel cercare evasioni fuori del legale rapporto matrimoniale è criminalizzato ogni giorno di più, perseguitando non tanto e non più le prostitute, quanto i loro clienti, anche virtuali: basta accostarsi ad una “passeggiatrice” per vedere il proprio numero di targa segnalato alla polizia e alla procura. E se una donna denuncia un uomo per molestie o stupro, si tende sempre più a credere alla versione femminile, inquadrando sempre, anche tramite martellamenti TV di reali violenze sulle donne, l’uomo nella parte del violentatore. Tutto ciò contribuisce ad una generale “castrazione psicologica” dell’ex-maschio (persino latino!) affinché righi dritto, ossia secondo l’ipocrita morale che ha sempre contraddistinto le donne: tutte sante, a sentir loro; ma molto più simili al maschio vecchio stampo, a sentire i resoconti degli uomini d’oggi, che le riferiscono molto più “libertine”, non più preoccupate di nascondere la propria naturale libidine, repressa sino a ieri. Anzi, a sentire i sondaggi, le esigenze delle ragazze d’oggi sono spesso imbarazzanti per i loro partner, tanto da essersi creata una situazione in cui, oltre ad un crescendo di impotentia generandi, si assiste oggi ad un aumento considerevole di impotentia coeundi, sostanzialmente dovuta al timore di prestazioni inferiori alle odierne aspettative femminili; mentre la pornografia proietta immagini di superman e pubblicizza l’uso di stimolanti per emularli, anzichè semplicemente suggerire di vestire la donna da donna, e non in afflosciante unisex. “Si possono vedere -scrive Zemmour – mano nella mano, con la stessa uniforme: pantaloni, scarpe da ginnastica, camicia ampia…Lo stesso corpo da ragazzini androgini… più che fratello e sorella, sono gemelli”.
Mentre la Boldrini sogna un’Italia finalmente femmina al 100%, con libero ingresso nelle nostre case degli “eco-rifugiati”, reddito di cittadinanza, specie agli immigrati e pubblicità senza “donne-oggetto” in costume, l’uomo sogna in cuor suo le donne orientali, rimaste fedeli alla loro immagine tradizionale, con le quali si presume non esser necessari Viagra e Cialis. La Boldrini del resto è lo specchio pasionario di un’Europa nella quale il femminismo sta celebrando il suo trionfo: ha stravinto, avvilendo il maschio e contagiando in pieno le istituzioni; e accumula crescenti rivendicazioni di diritti e doveri un tempo riservati all’altro sesso. Come il diritto al lavoro, che, in parallelo al proliferare della tecnologia, sostitutiva della mano e della mente umana, ha determinato lo schizzo verso l’alto della disoccupazione.
Eppure, l’umanità ha un bisogno spasmodico delle ancestrali virtù femminili: delicatezza, pazienza, gentilezza. Virtù di cui non si trova più traccia in un mondo dove le guerre su larga scala sono svanite, più per il timore dell’olocausto nucleare che non per il prevalere di strategie al femminile. In effetti, se nei comportamenti dell’europeo medio prevale, quando i bisogni primari sono soddisfatti, la considerazione per l’altro, l’umana solidarietà, almeno nelle intenzioni, secondo i classici canoni femminili, a livello esecutivo predomina l’antico maschilismo, che si esplica nella guerra globale, perpetrata, più che con le armi, con i bazooka della finanza, ben simboleggiata dalle palle del toro di Wall Street. L’UE, femmina quando si tratta di diritti civili, mostra il suo lato “penico” quando si tratta di regole finanziarie, come ha dimostrato al mondo intero condannando spietatamente la Grecia a un debito eterno. Quanto all’Italia, è madre quando recupera migliaia di immigrati in mare, per poi accorgersi del suo isolamento quando cerca solidarietà in un’Europa, mutata da madre a matrigna.
Chi volesse inferire da quanto letto sinora che lo scrivente sia un rude maschilista sbaglia di grosso: nato in epoca in cui era l’uomo a tenere le leve del comando, io sono il prodotto di questo nuovo mondo femminizzato, avendo gettato alle ortiche il retaggio di un’educazione dove non era uomo chi mostrava le proprie emozioni e debolezze. La “conversione” è avvenuta durante il decennio più bello che il secolo scorso ci abbia regalato: gli anni Ottanta, dopo la tetraggine degli anni di piombo. Bello, perché esaltava valori scoperti dopo il ’68, come il rispetto per la donna –in quegli anni solare e frizzante- e l’ambiente; ma conteneva altresì i germi dei successivi decenni, dove la libertà individuale sarebbe scaduta alla sola deregulation finanziaria e alla mera scelta tra varie mode, le conquiste del welfare erose in nome dei “conti in ordine”, laprivacy massacrata col pretesto della lotta al terrorismo e più in generale della “sicurezza”, l’ambiente stuprato in nome del profitto, la parità uomo-donna ridotta a con-fusione androgina, l’uomo col fiato sul collo di collegi giudicanti femminili, dentro e fuori dei tribunali. L’espressione “l’orco di Arcore” ben sintetizza il cliché dominante, dell’uomo-lupo che adesca l’innocente Cappuccetto Rosso. E il pericolo di sconfinare da corteggiamento a stalking (si noti anche la creazione del linguaggio acconcio), cioè in reato da codice penale, è sempre in agguato, a seconda degli umori della donna.
Credo pertanto che la grande sfida che ci attende sia quella di temperare la predominanza della donna in campi che le sono alieni per natura e al tempo stesso sviluppare una cultura che sappia restituire alle donne (il “gentil” sesso!) le loro tradizionali virtù, oggi troppo dimenticate in nome di un appiattimento sul modello maschile; con la parallela riappropriazione degli attributi maschili da parte degli uomini, oggi espressi più con uno sterile, sporadico bullismo che non con una virile responsabilità nella difesa dei beni comuni.
Marco Giacinto Pellifroni
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