http://rivista.artiterapie-italia.it/ottobre23/340-ottobre5.htmlIl potere materno nell'istituzione mafiosa
Lo scambio intellettuale avvenuto con Antonio Damasco, Direttore della Rete Italiana Cultura Popolare, ha generato in me la necessità di affrontare un argomento così ostico come il potere femminile all’interno delle istituzioni mafiose, ostico perché come donna è difficile da accettare ma prima ancora è complesso da comprendere. Una donna non può, in prima istanza credere, che delle parti di sé possano essere così violente.
Argomento ancora più difficile nel bacino del mediterraneo, dove si è abituati a vedere la figura femminile in maniera distonica, peggio ancora se è madre.
La persona di mentalità mafiosa non è matura o autonoma, egli come tutti sanno, è fortemente e profondamente identificato con il gruppo di appartenenza, isolato dalla società e insicuro di sé, non può fare a meno di una protezione da parte della famiglia o della mafia.
La persona con una mentalità mafiosa prima ancora di affiliarsi è affiliato a un sistema incestuoso della propria famiglia d’origine. Questo modo di sentire e di vivere si struttura in modello di comportamento, nell'ambito di un'organizzazione criminale e diventa sistema extralegale.
L’uomo con una struttura psichica mafiosa non è in grado di amare, sa soltanto che la donna deve “essere uomo”. In lui si accentua la divergenza e la contraddizione, tra l’immagine ideale da esibire, e la paura, insicurezza e anche l’angoscia, da nascondere o meglio, da negare.
L’uomo di mentalità mafiosa, riprende, la psicoanalista Silvia de Lorenzo, appare sicuro e potente, si mostra arrogante, disprezza le donne e le usa per fare sesso, ma non sia abbandona mai all’amore perché teme l’incontro con i luoghi delle sue emozioni più profonde: il regno della madre, il ritorno alle origini.
La negazione della soggettività della donna (oggetto da esibire) nasconde la paura della madre, o meglio la simbiosi distruttiva con la Grande Madre.
La realtà in Sicilia è solo apparentemente e vistosamente patriarcale, vista invece da Sciascia come una “società matriarcale, in cui la donna ha avuto il suo impero”. Sciascia stesso narra di aver passato infanzia e adolescenza sempre circondato da tante “madri”, e denuncia con amarezza, il loro sistema di potere, i loro focolai tirannici, della loro funzione schiacciante e divoratrice manifestatasi socialmente in forma conservatrice.
Vendette e disgrazie del Sud sono venute dalle donne, soprattutto quando diventano madri. Le donne del Sud vivono questo di terribile, di colpo sono capaci di trasformarsi nelle peggiori Erinni, per rifarsi delle vessazioni da loro stesse subite durante la giovinezza.
Tali donne sono un forte elemento di distruttività, di disonestà e di abuso di potere nella intera società e non solo nella famiglia. Le matriarche infelici, che nutrono in silenzio il loro odio, diventano spiriti vendicativi imponendo il tutto al figlio, al nipote o al fratello, lei non esce mai allo scoperto.
Appare come vittima, dove nella relazione vittima carnefice, la vittima è l’assassino più ferrato proprio perché la sua crudeltà è nascosta dalla miseria della sua esistenza.
Buscetta dirà poi durante gli interrogatori: “la moglie tradizionale del mafioso non parla, è lo stampo del marito. Perché lui l’ha addestrata a tacere…deve restare chiusa nel suo mondo. E non si sa fino a che punto è infelice perché non lo dirà mai a nessuno”. Il suo odio è il “covo” ideale.
Qual è lo spunto di riflessione e di apertura verso la vita in tutto questo Uroburos?
Il primo aspetto è quello di prendere coscienza che se un bambino cresce sotto il dominio femminile, il potere della madre sarà decisivo nel suo sviluppo. Imparerà a svalutare e disprezzare le donne, senza tuttavia liberarsi dalla paura; continueranno a manifestarsi in lui meccanismi di difesa di formazione reattiva (es. affermo che amo mia madre perché non posso permettermi di dire, a me stesso, che lei ha abusato del suo potere su di me.)
Tutto questo rapporto è determinato dall’assenza del padre. Assenza del padre non in termini di presenza fisica. Ma se la famiglia è dominata dalla madre che sceglie il figlio come sostituto del marito, il padre gioco/forza se ne va.
Quando in una società debole, come quella italiana e non solo siciliana, è forte l’antagonismo di generazione madre/figlia padre/figlio, il timore, la diffidenza, ma soprattutto l’assenza impediscono la relazione e l’amore nei rapporti. L’archetipo della Grande Madre richiama così l’esaltazione del figlio come eroe e salvatore insieme perché lo vive come propaggine, quindi prolungamento di se stessa: egli realizzerà tutti i suoi sogni, mangiandosi a poco a poco, sottilmente la vita del figlio. Questo accade anche con le figlie femmine che proietteranno nella vita di coppia l’imago materna, ricreando lo stesso circolo.
I figli sono per madri narcisistiche espressione di cura delle proprie ferite narcisistiche. Da questo atteggiamento materno dipenderà la struttura narcisistica del figlio, che genererà in quest’ultimo una bassa considerazione e stima di sé. Se il figlio è per sua madre, afferma la psicoanalisi, l’unica ragione di vita e deve corrispondere alle sue aspettative come uomo ideale (sia come compagno che come eroe che la salva), egli si sente paralizzato dalla possibilità di compiere qualsiasi sviluppo.
Quindi anziché liberarsi dal mondo materno per entrare alla porta del padre, lo porterà a fare alla madre dono della propria virilità per tacitare la sua invidia e il suo fallimento. L’enfasi della virilità si manifesta nella madre/donna del mafioso come ossessione della fama e dell’onore, come avidità insaziabile di prestigio e invidia divorante dei successi altrui, come arroganza, ambivalenza (ti voglio, non ti voglio) che induce all’intrigo, alla sofferenza a un nutrimento di un solito latte marcio, fino ad arrivare vittoriosi alla vendetta.
Fino a quando uomini, ma soprattutto le donne, non accettano e accolgono questa parte distruttiva per poterla poi trasformare in creatività e senso per la vita non potrà mai cambiare il sistema mafioso, anzi, come sta accadendo con i clan ‘ndranghetisti (sistema mafioso costruito direttamente sulla famiglia di origine quindi più forte e patologico) si infiltreranno sempre più nel nord.
Il potere del no e del limite paterno ora vacilla. Senza l’istanza maschile del no, senza il limite, il potere magmatico della madre prenderà il sopravvento facendo fuori l’amore del padre.
Se la figura del padre è importante, fondante per l’essere umano allora deve tornare nel suo ruolo di limite, non può imitare le istanze materne creando confusione e magma oltre che una forte ambivalenza nel figlio con conseguenze rabbiose.
Ora, molte donne, moltissime donne siciliane che si sono ribellate alla mafia ribellandosi così alla Grande Madre, hanno trovato il coraggio di parlare, di metterci la faccia e il cuore, la loro audacia e il loro dolore, si danno la possibilità dell’errore uscendo dall’ideale di perfezione imposto dalle loro madri e dal loro sistema sociale.
Sono vicina a tutte le donne siciliane, a tutte le donne nate in famiglie ‘ndranghetiste, sono vicina a tutte le donne che con la loro forza e gioia di vivere hanno iniziato un processo di individualizzazione e liberazione da una madre reale/società che le ha oppresse. Sono vicina a tutte quelle donne che sono accanto a un marito o un compagno che ricoprono posti di potere, affinché queste donne con una nuova mentalità possano essere generatrici per loro stesse e per gli altri di autonomia, stima, e onestà intellettuale e che all’interno di una scala di valori non barattino il tutto per il potere, che non è un valore.
Ricordo a me stessa e a tutte le donne che la risposta all’oppressione non è l’oppressione ma la libertà e l’autonomia come valore.