Decimo capitolo. Buona lettura.
X - Nuove sorprese per Steven
In Epsilon gli avvenimenti si discostavano di parecchio rispetto alla realtà, taluni erano addirittura completamente ribaltati e il povero Steven si ritrovò ad assistere a scene e situazioni circa la propria stessa vita che mai avrebbe potuto immaginare.
Il cruccio peggiore, per chiunque capitasse dall’altra parte, era l’impossibilità di interagire con l’ambiente circostante.
Si aggirava per New York in mutande e canottiera, coprendosi preventivamente nel malaugurato caso che qualcuno potesse ancora vederlo.
“C’è qualcosa che non quadra qui, è tutto così diverso, accidenti! Ci sono molte cose che mi ricordano New York ma non sono del tutto sicuro di trovarmi nel posto giusto”.
Capitò nelle vicinanze di Central Park, osservò alcune mamme sedute su una panchina conversare tra loro e contemporaneamente dondolare con una mano le carrozzine al loro fianco.
Provò un forte sentimento di tenerezza ripensando alla sua infanzia e al desiderio grande di poter avere un figlio da Margaret.
“Ormai è troppo tardi! Lei ora sta con quel tizio. Forse lo farà con lui, forse ne hanno già … che rabbia però, a me non ha mai chiesto di ritardare al lavoro per poter fare l’amore!”
Se la vide sfrecciare in parte, con il passo sicuro da sportiva convinta e determinata, con gli auricolari del suo MP3 nelle orecchie e, una volta tanto, sorridente e non annoiata o stressata com’era solita mostrarsi a lui.
“Sì Maggie, forse adesso tu sei veramente felice e io sono felice per te”.
Sentì un forte nodo alla gola e gli occhi inumidirsi, percepì la presenza di una lacrima sul proprio viso, la sentì cadere al suolo, ma nessun altro l’avrebbe notata poiché essa, inconsistente in quella dimensione, non avrebbe nemmeno formato una macchia sulla nuda terra.
Riprese a vagare sconsolato, guardandosi intorno solo di tanto in tanto, vide le persone accalcate ai semafori in attesa del verde per poter attraversare: c’era chi parlava al cellulare, chi mangiava fugacemente in piedi un sandwich e chi si osservava nello specchietto di una trousse da trucco per assicurarsi che le ciglia fossero ben allungate e il rossetto non sbavasse.
Per la prima volta nella sua “vita” si rese conto di come la gente in certi momenti sia solo un insieme d’involucri chiusi e totalmente concentrati su sé: non un sorriso, non un saluto, solo occhi puntati sugli orologi o sui propri telefoni.
“Dio, che tristezza, eppure sono sempre stato anch’io così … è proprio vero che diamo talmente tutto per scontato al punto da svuotare le cose del loro senso. Potessi tornare indietro ora, al diavolo tutte le mie cravatte e le mie camicie stirate e le ore perse davanti al computer! Penserei solo a riabbracciare lei, stare insieme con lei, fare tutto con e per lei”.
Margaret Alpha, quella vera, se ne stava seduta da sola su una panchina in Central Park e si lasciava accarezzare da un tiepido vento guardandosi intorno spaesata.
Non indossava la tuta stavolta e non ascoltava la musica com’era solita fare.
Il suo sguardo era smarrito: di Steven nessuna notizia, di lì a poco si sarebbe recata al più vicino distretto di polizia a denunciarne la scomparsa.
“Che diavolo stai combinando oggi Steve? Così perderai il lavoro, lo sai? Dove sei? Dammi un segno, uno squillo, parliamo, parliamo sì, è proprio di questo che io e te abbiamo bisogno, chiamami! Parliamo, sento che adesso mi manchi davvero …”.
Un sussulto improvviso, il cellulare vibrava nella borsetta, Maggie vi affondò subito dentro il braccio nella disperata ricerca del tanto agognato oggetto che forse lo stava riconducendo a lei, osservò lo schermo, una mano sugli occhi … no, era solo sua sorella, Jennifer.
“Ciao ti disturbo? Volevamo sapere, io e Michael, se tu e Steven potete fare un salto da noi dopo cena”.
Proruppe immediatamente in lacrime senza dire nulla.
La voce dall’altra parte riprese: “Maggie, cos’hai? Perché piangi? Cosa è successo?”
“Se n’è andato, Jenny! Temo che stavolta Steve se ne sia davvero andato!”
“Che stai dicendo Maggie? Dove sei adesso?”
“In Central Park, non so più cosa pensare, l’ultima volta l’ho visto ieri sera, poi stamattina sono successe quelle cose strane a casa, credevo si trattasse di uno dei suoi soliti scherzi …”.
I singhiozzi cominciarono a diventare sempre più forti.
“Non ti muovere Maggie, avviso Michael e sono subito da te!”
Jennifer la raggiunse circa mezz’ora dopo, Maggie si alzò dalla panchina, le andò incontro e si abbracciarono.
“Su, sorellina, non fare così, vedrai che si farà vivo al più presto, avete litigato ancora vero? Certo che siete due bei caratterini entrambi, Io almeno sono riuscita a domare un po’ il mio Michael. Vedrai che si risolverà tutto! Adesso vieni a stare un po’ da noi, se non altro sei in compagnia, qui sembri una vagabonda!”
“E’ tutta colpa mia Jenny! E ora mi ha lasciata!”
“Ma cosa dici Maggie? Cerca di calmarti, lo troveremo. Stai tranquilla, adesso. Hai mangiato almeno qualcosa?”
Rispose di sì, era convinta di aver mangiato, si era proposta di farlo al momento opportuno ma l’ansia aveva preso il sopravvento su lei.
“Non mi convinci! Hai un aspetto da cadavere ambulante. Appena arriviamo ti preparerò qualcosa, forza, sali!”
Maggie salì in macchina ed entrambe si diressero a casa di Jennifer.
Ironia della sorte, Maggie e Steven erano ancora entrambi pressoché nello stesso posto eppure impossibilitati a vedersi, in quanto in due mondi distinti e separati.
Steven si aggirava per New York Epsilon ancora convinto di essere morto, finché non assistette ad una scena che lo fece rimanere di stucco: da una limousine nera parcheggiata sul lato opposto della strada uscirono quattro tipi dall’aria minacciosa, in doppio petto e occhiali scuri, erano le guardie del corpo di una personalità importante.
Uno di loro si accingeva ad aprire la portiera posteriore, dalla quale si vide uscire in rapida sequenza uno spettacolare paio di gambe, dominate da un attillatissimo abito rosso.
Di rosso fuoco erano colorate anche le labbra della stupenda donna che si nascondeva dietro larghi e tondi occhiali neri e il cui modo di camminare e muoversi, come tutto il resto, la dicevano lunga sulla sua aggressività ed eccessiva sicurezza nei propri mezzi.
Lucy Tanner, in Epsilon, era il manager e la padrona del Tanner Fashion Magazine, una delle più autorevoli riviste di moda a livello mondiale.
Era una donna talmente priva di scrupoli da divenire uno dei principali artefici della rovina di suo padre.
Lei stessa avrebbe ordito l’ultima speculazione per vederlo finire in strada.
Lo odiava, suo padre, perché ritenuto troppo onesto e malleabile nel mondo degli affari e sua madre lo aveva abbandonato anzitempo, mangiandosi già una discreta fetta del loro capitale.
Lucy non voleva assolutamente correre il rischio di ritrovarsi su una strada, fece quindi piazza pulita e lo rovinò, senza il benché minimo rimorso di coscienza.
L’omuncolo che la seguiva a ruota, reggendole la borsetta, più che sembrare suo marito aveva tutta l’aria di un tizio qualsiasi che si ritrovava lì con lei come spaesato, senza quasi saperne il motivo.
Alla sola vista di quell’uomo, Steven s’irrigidì all’istante: “Non è possibile! Che storia è questa? Io sono morto, sono un fantasma! Che accidenti ci faccio lì con una donna così appariscente e dallo sguardo così minaccioso? Non è certamente il mio tipo!”
In quel preciso istante Lucy porse la mano verso quell’ometto chiamandolo a sé.
“Vieni, Steve! Sbrigati, l’elicottero è già in cima al palazzo che ci aspetta e io non voglio perdere troppo tempo con i fotografi”.
L’ectoplasma di Steve si soffermò ad osservare la reazione della sua immagine Epsilon, aspettandosi naturalmente un comportamento da vero uomo anziché un timido, tremante ed eccessivamente ossequioso: “Arrivo, cara …”.
“Ecco! Come appunto dicevo, quello non posso essere io!”
Spinto dalla curiosità, seguì il gruppo all’interno del palazzo e lo vide infilarsi all’interno di un ascensore, seguendo uno schema predefinito: Lucy Tanner e Steven Kent Epsilon nel mezzo e le quattro guardie del corpo agli angoli dell’abitacolo.
L’ascensore chiuse le porte e iniziò la sua salita verso l’ultimo piano.
Lucy prese a sbuffare e a farsi aria con una copia dell’ultima stampa della sua rivista in mano, mentre il marito al suo fianco le osservava con desiderio la scollatura del vestito.
Una delle guardie fece un mezzo sorriso e la donna, accorgendosi della situazione da dietro i suoi occhiali neri, prima alzò gli occhi al cielo, poi sbuffò più intensamente e infine, con un cenno della testa, ordinò al capo delle guardie di voltare loro le spalle. Prese quindi con veemenza per la nuca suo marito e gli affondò la faccia in mezzo ai propri seni.
“E’ questo che vuoi, vero tesoro? Avanti, assaggia, bacia, ma ricordati che te lo devi meritare! Perciò, quando ti dico di muoverti, tu ti muovi. Mi hai capito bene?”
L’immagine Epsilon di Steven riuscì a rispondere appena con un filo di voce, causa lo spavento e il soffocamento che si era ritrovato a subire: “S… s… sì amore… tut… tutto quello che vuoi …”.
L’ectoplasma di Steven reale, invece, totalmente inorridito da una simile scena di sottomissione, ebbe un immediato moto di reazione.
“Ehi! Ma chi diavolo sei, per permetterti di trattarmi in questo modo?”
Tentò di afferrarla, come per richiamarne l’attenzione e farla voltare verso di lui, invece l’unica cosa che ottenne fu di attraversarla e di ritrovarsi nel bel mezzo di quella strana coppia.
Improvvisamente si sentì tirare per la giacca alle sue spalle e fu stordito da un forte fischio alle orecchie.
Pochi istanti dopo si vide steso per terra all’interno dell’abitacolo dell’ascensore: la sua immagine Epsilon l’aveva involontariamente incorporato ed era svenuta.
Lucy lo fissava dall’alto, tenendo sollevati gli occhiali neri, mostrando in tal modo i suoi bellissimi e penetranti occhi verdi, autentici gioielli che Madre Natura si era prodigata generosamente di donare ai Tanner.
“Sei sempre il solito, Steve! Scegli ogni volta il momento peggiore per attirare l’attenzione su di te. Adesso rialzati buono a nulla e riprenditi al volo, prima che si aprano le porte dell’ascensore e comincino ad abbagliarci i fotografi con i loro flash. Non sarebbe affatto divertente finire in prima pagina in una situazione di questo tipo”.
Steven la guardò stranito e lei per tutta risposta lo toccò su un fianco con la punta della scarpa.
“Allora imbecille! Ti vuoi alzare o no?”
Mai, prima d’allora, la Lucy Tanner di Epsilon aveva visto uno sguardo così freddo e risoluto nell’ometto che si stava ergendo dinnanzi a lei.
Steven le diede una forte spinta. Due delle guardie la presero al volo, mentre le altre estrassero le loro pistole e gliele puntarono in faccia.
L’ascensore fu immediatamente bloccato.
“Per quanto tu sia bella ed avvenente, io non ti permetto nella maniera più assoluta di trattarmi come se fossi un tuo zerbino! Sono stato chiaro?”
Ripresasi dalla sorpresa, Lucy replicò: “Senti senti e tu da dove salti fuori ora? Ricordati che se non fosse per me, ora saresti ancora a marcire in quell’ufficio d’agenzia di borsa dal quale ti ho tirato fuori. Rammentati che ti ho sposato perché ci sai fare con i numeri e sai trattare con l’agenzia delle tasse, ma per quanto concerne tutto il resto sei un emerito incapace! Se sei ancora con me è perché ho pietà di te! Perciò ora mi chiedi perdono e ti riordini! Dobbiamo apparire al meglio dinanzi a quegli avvoltoi affamati di pettegolezzi!”
La guardia del corpo ripeté lo stesso mezzo sorriso di prima.
Steven non rispose nulla, si piazzò spalle alla porta dell’ascensore e lo riavviò fissando i presenti in silenzio.
“Allora?” riprese asciutta Lucy, “Sto ancora aspettando la tua umile richiesta di scuse!”
Le porte si aprirono alle spalle di Steven e il carosello di flash e di domande ebbe immediatamente inizio.
Steven si voltò verso di loro, poi le urlò a gran voce: “Potete andare al diavolo tu, i tuoi ridicoli scagnozzi e tutto il circo che ti porti appresso! Ti saluto, strega!” Quindi si fece largo in mezzo alla calca di fotografi e se ne andò.
Lucy spalancò gli occhi incredula per ciò che le sue orecchie avevano appena udito, poi gli inveì contro: “Tu non sei nessuno senza di me, hai capito? Nessuno! Te ne pentirai amaramente, Steven! Tornerai in ginocchio da me, in meno di una settimana!”
Lui, allontanandosi, ondeggiò la testa pensando: “E io avrei sposato questa pazza scatenata? Come posso aver commesso una simile idiozia?”
Una volta ripreso il controllo della situazione, Lucy chiamò a sé il capo delle sue guardie, gli indicò con lo sguardo quella che precedentemente aveva riso in ascensore e gli sussurrò in un orecchio: “Licenzia subito quell’idiota, Tommy! Fallo davanti a me, ora! Voglio godermi la faccia che farà, mentre glielo dirai! Voglio proprio vedere se avrà ancora così tanta voglia di ridere!”
Steven, a quel punto, era più confuso di prima: il risveglio, l’impossibilità di toccare le cose, osservare Maggie che amava un altro uomo, ritrovarsi in mutande per strada e scoprirsi sposato con una donna che possedeva un’aggressività a dir poco letale e infine ritrovarsi nei panni di un altro sé totalmente sottomesso a quella mantide! Il tutto nel giro di poche ore.
Portava inoltre con sé le preoccupazioni della vita reale: “Accidenti, quindi non lavoro più con Frazier, dovrò tornare da lui e chiedergli di riassumermi se adesso voglio andare avanti! Dovesse comunque andarmi male posso sempre fare altro, piuttosto che stare con quella pazza sono disposto anche a pulire latrine! Certo che una giornata simile supera proprio ogni mia immaginazione! Che altro potrà mai capitarmi, ora?”
Stava per raggiungere il palazzo dove aveva sede la Frazier & Co. quando l’ennesima sorpresa lo colse.
“Questa poi! Non solo non sono morto, ma qui addirittura resuscitano i morti! Dove accidenti sono finito?”
Si diede un pizzicotto su un braccio per cercare di capire se era sveglio e il dubbio fu fugato all’istante.
“Mamma e Frank che si bevono un caffé al bar ridendo e scherzando? Bene, almeno ora sarà contenta e forse la smetterà di tormentarmi per la mancanza del suo figliolo prediletto”.
Si nascose dietro un angolo del palazzo, in seguito decise di aggirarlo del tutto.
“Tra tutti i bar di New York, proprio quello sotto Frazier dovevano scegliere, speriamo che si allontanino alla svelta perché oggi non mi va affatto di intrattenermi con loro!”
Le sue speranze si rivelarono vane perché Frank Epsilon, che a differenza di quello reale godeva d’ottima salute, lo aveva già notato da lontano e gli si stava facendo incontro.
Vedendo che Steven si stava invece allontanando lo chiamò a gran voce.
“Steve! Dove stai andando? Vieni, io e mamma ti stavamo aspettando!”
Stavolta Steven non ebbe più l’impressione di essere un fantasma, bensì quella di trovarsene uno davanti.
Nel momento in cui Frank lo abbracciò, provò tuttavia dentro di sé un sincero moto di commozione.
Quanto gli mancava suo fratello …
Steven sentiva che bastava poco, veramente molto poco, affinché chiunque gli stesse vicino conquistasse il suo affetto, bastava avvicinarlo e farlo sentire apprezzato e voluto così come era. Steven non chiedeva altro.
“Che hai Steven? Mi sembri sconvolto, che succede?”
Si pose una mano sulla fronte fingendo di avere una lieve emicrania, ma in realtà si stava asciugando gli angoli degli occhi con il pollice e il dito medio, mimando un leggero massaggio.
Cosa aveva? Un rimescolamento interiore talmente intenso da far crollare un cavallo, ecco che cosa aveva!
“Non è niente Frank, solo un leggero mal di testa. Porgi le mie scuse a mamma, oggi non ho proprio tempo di fermarmi. Ho parecchie cose da sistemare. Ci vediamo presto”.
Abbozzò il sorriso più radioso che gli potesse riuscire al momento, quindi se ne andò con passo fugace, come se di fretta ne avesse avuta davvero tanta.
Lo sguardo perplesso di Frank lo seguì, finché non lo vide voltare l’angolo successivo del palazzo, ebbe come la tentazione di seguirlo e di chiamarlo di nuovo, poi ci ripensò e tornò dalla madre rimasta sola, seduta al tavolo del bar.
“Steven ti saluta e si scusa mamma, dice che purtroppo oggi non ha tempo di fermarsi con noi”.
“Lo so, lo capisco”, rispose lei, “avere per moglie una come Lucy Tanner deve richiedere parecchio impegno. Povero ragazzo! L’ambizione lo ha accecato. Lui e Maggie stavano così bene insieme, lei era dolce e solare. Quando lui la lasciò per mettersi con Lucy, era distrutta. Fortunatamente per lei le cose poi sono andate meglio. Ora è felicemente sposata con il suo ex datore di lavoro”.
Se Frank avesse seguito Steven, lo avrebbe trovato appoggiato al muro del palazzo, nel disperato tentativo di trattenere le lacrime che continuavano a fuoriuscire copiosamente.
Le emozioni che lo stavano assalendo erano decisamente troppe tutte insieme.
Aveva bisogno di fermarsi e cercare di capire, gli era soprattutto necessario ridare ordine alle proprie idee.
“D’accordo Steve, adesso ti dai una calmata, aspetti che se ne vadano e poi cerchi di riprenderti il posto di lavoro. Una volta sistemate queste cose vedrai di ottenere il divorzio da quella pazza e, per quanto concerne Maggie, cercherai di incontrarla il meno possibile, forse in tal modo te ne farai una ragione, riuscirai a dimenticarla e guarderai avanti come è giusto fare quando ci si ritrova in simili situazioni, ma che sto dicendo? Maggie! Io ti amo! Perché mi hai fatto questo? Chi è quell’uomo? Com’é potuto accadere? Dobbiamo parlare, ora, dobbiamo chiarire. Devo assolutamente capire com’è stato possibile che questa mattina mi sia alzato ritrovandomi qui con la mia vita completamente cambiata!”
Lasciò perdere il lavoro e s’incamminò sulla via del ritorno a casa, quella che in realtà lo era sempre stata, ma che in Epsilon non gli apparteneva, come colei che ci viveva e tutto il resto.
Giunto dinanzi alla porta di quella casa, Steven era talmente preso dal desiderio di rivedere Margaret che si dimenticò di aver acquisito un corpo e finì con lo sbatterci contro il naso. Dopo di che la porta si aprì poiché Maggie, passandoci davanti, aveva percepito distintamente il tonfo. Vide perciò un uomo che, voltandole le spalle, si copriva il viso con le mani mugolando dal dolore.
“Oh, accidenti! Come mi dispiace! Posso fare qualcosa per lei?”
Steven si voltò: aveva una leggera perdita di sangue dal naso.
“Maggie… ” non riuscì a dire altro.
Quanto tempo era che non la vedeva così bella? Erano passate solo poche ore, ma per lui era come se si fossero allontanati da anni e in Epsilon era effettivamente andata così!
Le loro rispettive immagini si erano lasciate già da quattro anni e la sua era sposata con quella di Lucy Tanner ormai da tre.
“Steven! Cosa ci fai qui? Ma… tu sanguini! Entra, presto e cerca di guardare verso l’alto, dammi una mano, ti conduco io”.
In pochi minuti l’emorragia fu domata.
“Ecco fatto. Ora puoi riabbassare la testa. Cosa stavi facendo con la mia porta? Temevo me la stessero buttando giù” disse sorridendogli.
Steven la fissò a lungo, tenendosi il cotone emostatico premuto nella narice, poi, istintivamente, tese ad avvicinare le proprie labbra a quelle di Maggie.
Lei se ne avvide immediatamente e obiettò un flebile: “No, Steve, no… cosa…?”
Il contatto di quelle bocche sprigionò una tale carica di passione da farli tremare entrambi.
Maggie ebbe un improvviso moto di rabbia e lo allontanò da sé.
“No! Cosa diavolo ti viene in mente?”
Divenne rossa in volto e i suoi occhi s’inumidirono.
“Come puoi pensare di farmi questo ora? Dopo quasi quattro anni! Ora che tutto è passato e comincio a sentirmi felice con Mark!”
“Maggie, tu non immagini neppure cosa mi sia successo”, le rispose timidamente e in modo confuso.
“Oh sì invece, mio caro! Semplicemente hai fatto la tua scelta: rincorrere il successo e il denaro! Ora vorresti farmi credere di esserne pentito, ma non puoi pensare semplicemente di cambiare le cose di nuovo! C’è un altro aspetto niente affatto trascurabile: io non ti amo più. Mark ora è l’uomo della mia vita e lo sarà per sempre. E’ meglio che ora tu riprenda la strada di casa, prima che la tua adorata Lucy sguinzagli i suoi dobermann. Non voglio noie con lei Steven, nessuno ne vuole avere con quella donna, perciò tornatene da dove sei venuto e lasciami vivere in pace”.