Capitolo 13. Buona lettura
XIII – Le paure di Jeremy
Jeremy era dunque passato dalla dimensione Beta ad Epsilon e, da quel momento, anche lui avrebbe assistito a notevoli cambiamenti circa l’andamento della sua vita e di quella di chi gli stava intorno.
Si accorse innanzi tutto che New York non era più la stessa, pur conservando parecchie similitudini con quella reale, veramente ebbe più volte l’impressione di essersi perso.
Scoprì in seguito la mancanza dell’esistenza della 6D e questa fu una delle cose che più lo fece sentire smarrito interiormente.
“Che accidenti è successo alla mia azienda? Dove diavolo l’hanno portata? Qui è tutto cambiato ora. Hunt mi sta rendendo le cose più difficili, ma questa faccenda non potrà durare in eterno, lo sa benissimo anche lui, prima o poi dovremo risolverla faccia a faccia!”
Si aggirò per la New York Epsilon in lungo e in largo cercando mentalmente di mapparla e compararla con quella reale che aveva ben presente.
“Accidenti! Qui c’era Augustin, il mio negozio di scarpe preferito e adesso mi ritrovo la pizzeria Da Alfonso e che dire di questa gioielleria al posto del night club che ero solito frequentare con gli amici?”
Non fosse stato altro per il fatto che alcune cose erano rimaste pressoché identiche, come Central Park e la Statua della Libertà, chiunque al suo posto avrebbe pensato di ritrovarsi altrove, identica sensazione già sperimentata da Steven e che ora si accingeva a provare anche Peter, ma con il vantaggio del supporto remoto da parte di Hunt.
“Puoi sentirmi Peter? Posso vedere tutti i tuoi movimenti ora, quindi non temere anche se tutto ti sembrerà diverso, io ti guiderò in base alla nostra cartografia originale, non ti perderai”.
“La sento Dottore, ma dove mi trovo? Non vedo il salone. Mi sono forse anche spostato come posizione geografica?”
“No Peter, semplicemente in Epsilon la 6D non esiste, la tua posizione è la medesima di partenza, ora attendi mie istruzioni: sto cercando Tanner. Eccolo, non è molto lontano da te, devi voltarti alla tua destra e procedere dritto per pochi secondi, tieni presente che nello stato d’ectoplasma in cui ti trovi ti sembrerà di avere le ali ai piedi”.
“Ricevuto, gli vado incontro”.
Seguì diligentemente le indicazioni fornitegli da Hunt passando anche attraverso muri, giusto per godersi un poco la sensazione di essere un fantasma.
Hunt non mancava di richiamarlo ogni qual volta lo ritenesse necessario.
“Non perderti troppo a giocare Peter, insegui il tuo obiettivo e raggiungilo quanto prima, ora si è spostato verso il ponte Williamsburg. Che succede Peter? Perché ti sei fermato ora? Peter, rispondi!”
Quel volto incrociato in una frazione di secondo sembrava proprio lei, sentiva che le era famigliare e si avvicinò per osservarla meglio.
“Avessi un qualunque strumento per filtrare i colori e compararla con un’immagine in negativo, giurerei che si tratti di Ulla. Non posso nemmeno attirare la sua attenzione, non mi vede e non mi sente”.
Hunt vide ciò a cui puntava Peter e rimase anch’egli scioccato da quel volto di donna.
“Non è possibile. Non può essere lei. Quella non può essere la persona con cui hai parlato in Omega. Quella è Sarah: la donna che non ho più rivisto per oltre venti anni, da quando fuggì via da me, senza fornirmi spiegazioni”.
“Eppure ha una forte somiglianza con Ulla. Non riesco a lasciarla andare, mi sento come attirato da lei, come se mi chiamasse, la sento pronunciare insistentemente il mio nome … Ah! Che fischio assordante alle orecchie!”
L’ectoplasma di Peter divenne visibile agli occhi dei presenti e anche la donna in questione lo vide.
Con fare noncurante lei attraversò la strada, tuttavia il passo svelto che prese ad assumere tradì il suo improvviso stato d’inquietudine interiore.
Il fischio cessò poco dopo, Peter riaprì gli occhi e si tolse le mani dalle orecchie, riprese a cercarla ma di lei non vi era più traccia.
Hunt cercava di interfacciare Virtuality con tutte le webcam stradali presenti nella zona circostanze, ma alla sua richiesta rispondevano soltanto quelle appartenenti alla dimensione reale. Chinò il capo in segno di resa, quindi rivolse nuovamente il suo sguardo ai monitor sussurrando quel nome che per tanti anni lo aveva tenuto in scacco nei propri sentimenti: “Sarah …”.
“Accidenti se n’è andata! Non la vedo più!”
“Lasciala perdere adesso, Peter. Prosegui con la ricerca di Tanner: deve essere informato al più presto di ciò che sta combinando qui sua figlia”.
Peter non si decideva. Continuava a guardarsi intorno senza muoversi nell’intento di ritrovare la donna avvistata poc’anzi. Dovette intervenire nuovamente la Grande Voce in soccorso di Hunt.
“Segui le istruzioni di Hunt, Peter. Lascia stare quella donna”.
“Era lei, vero? Era Ulla! Perché volete impedirmi di incontrarla?”
“Peter, sono qui. Mi riconosci?”
La voce di Ulla si fece sentire accanto a quella della Grande Voce.
“Ulla, sei tu! Mi manchi tantissimo!”
“Ti prego, Peter. Obbedisci a Hunt. Non perdere tempo in discussioni inutili … a tempo debito avremo occasione di rivederci. Io ti sono sempre vicino”.
Hunt non ebbe modo di seguire la conversazione tuttavia intuì che stava accadendo qualcosa dallo sguardo che Peter manteneva fisso nel vuoto.
“Stai bene, Peter? Se non te la senti di andare avanti, dimmelo senza farti problemi, ti faccio rientrare immediatamente”.
“Va tutto bene, Dottore. Mi dica dove si è spostato Tanner. Cercherò di raggiungerlo al più presto”.
Tanner si trovava in Roosevelt Avenue proprio all’incrocio con Broadway e la sua attenzione fu richiamata da una lunga limousine nera transitante accanto a lui.
Vi s’introdusse attraversandola, mosso dalla curiosità che lo spingeva a scoprire chi fosse il passeggero.
Quasi non riconobbe in quel pezzo di figliola, comodamente appollaiata sul sedile di pelle nera, colei che da sempre considerava la sua bambina, la sua piccola Lucy.
Stette accanto a lei tenendo il passo della limousine senza alcuna fatica, osservandola stupito.
“Non può essere lei: non l’ho mai vista indossare certi abiti così vistosi. Come diavolo si è conciata? Cos’è quella pettinatura e tutto quel trucco? Sembra una di quelle manager arriviste e mangiauomini senza scrupoli! Da un lato confesso che la cosa m’inorgoglisce: sembra tutta suo padre, ma dall’altro m’inquieta parecchio, non è mai stato nel suo stile presentarsi così”.
Lucy premette il pulsante di un interfono per comunicare con il proprio autista.
“Accosta qui, torno tra dieci minuti”.
Scese dalla macchina, attorniata dalla solita sequela di guardie del corpo.
Era alla ricerca di quell’insolente di Steven, il quale aveva osato lasciarla da sola in balìa dei giornalisti, provocando un pandemonio tale da scuotere mezzo mondo e da far precipitare in borsa le azioni del Tanner Fashion Magazine.
“Scommetto che lo hanno visto passare di qui. Sicuramente starà cercando qualche vecchia conoscenza per farsi aiutare, ma non andrà lontano. Stavolta la pagherà cara: non sono mai stata umiliata tanto in vita mia”.
Jeremy fu assalito nuovamente dal fischio alle orecchie e apparve dinanzi a Lucy Epsilon, che fu colta di sorpresa più per il fatto di vederlo vestito elegante e ben curato, sapendo che, proprio a causa sua, era ridotto a vivere per strada.
Lucy non riservò nei confronti di suo padre l’accoglienza che lui di certo si attendeva.
“Che diavolo ci fai tu, qui? Tommy, levami subito dalla vista questo vecchio pezzente! Non abbiamo altro tempo da perdere!”
Jeremy, proprio nell’istante in cui la figlia pronunciava quella frase, fu risucchiato dall’immagine di Tommy, il quale aveva già estratto la pistola e si stava per dissuaderlo dall’idea di avvicinarsi ulteriormente a Lucy.
Nonostante il forte scossone subito, l’immagine del capo delle guardie del corpo di Lucy rimase in piedi, già perfettamente in grado di rispondere ai comandi dell’ectoplasma di Jeremy, i quali non tardarono a farsi sentire.
Un primo schiaffo colpì Lucy Epsilon in pieno volto, facendole cadere a terra gli occhiali neri, seguito immediatamente da un secondo più potente del precedente, al punto da procurarle un taglio al labbro inferiore.
“Come osi dare del pezzente a me? A tuo padre!”
Lucy giaceva a terra stordita a gambe aperte e piegate. Persino un tacco delle sue scarpe aveva ceduto a causa della torsione improvvisa del suo corpo.
Era inoltre spaventata, poiché aveva riconosciuto in Tommy la voce di Jeremy e si domandava di quale razza di stregoneria era divenuta improvvisamente vittima.
Nel frattempo una calca di gente andò formandosi intorno all’accaduto, bloccando persino il traffico.
Hunt chiamò Peter: “L’ho perso di nuovo, non ho più il suo segnale, l’ultima cosa che ho potuto vedere è stato l’interno di una limousine nera”.
“So perché ha perduto il segnale, Dottore, succede sempre quando si realizza un incorporamento: l’ectoplasma di Tanner deve essersi introdotto nell’immagine più prossima a lui in quel determinato istante. Vedo una limousine parcheggiata e un po’ di ressa intorno, c’è gente innervosita che suona clacson, li vede anche lei? Se mi conferma che la limousine è quella, provo ad accostarmi”.
“Non ne sono sicuro Peter, dai pure un’occhiata mentre io controllo se recupero il segnale”.
Il ragazzo si fece largo tra la gente per vedere meglio e fu in grado di distinguere l’ectoplasma di Tanner dentro l’immagine di Tommy.
Tentò immediatamente di comunicare con lui.
“Presidente, Presidente Tanner, sono qui, sono Peter, riesce a vedermi? Mi sente?”
Jeremy lo fissò con rabbia.
“Cosa diavolo vuoi, Peter? Non vedi che sono occupato, ora?”
Lucy Epsilon da terra replicò: “Peter? E chi è Peter? Con chi stai parlando?”
Anche la gente intorno osservava nella stessa direzione di Tommy, scrutando nel vuoto.
“Il Dottor Hunt mi ha mandato a parlarle, Presidente: si tratta di sua figlia”.
Tanner digrignò i denti e gli puntò l’indice contro. “Riferisci a Bob quanto sto per dirti, ragazzo: giuro che non appena sarò rientrato a casa, dovrà fare i conti con me e ti assicuro che pagherà anche per tutto ciò che sto vivendo qui. Quanto a mia figlia, sta già ricevendo quello che si merita”.
Le persone intorno, convinte di avere a che fare con un pazzo, cominciarono ad allontanarsi facendo il vuoto intorno a lui.
Lucy Epsilon, invece, gli inveì contro: “Stavi per rovinarci tutti, lo sai? Tu e le tue manie sulle ricerche scientifiche! In qualche modo bisognava fermarti, ecco perché ora sei soltanto un barbone. La colpa in fondo è soltanto tua, caro papà!”
“Più ti vedo e ti ascolto e meno ti riconosco. Io ti rinnego come figlia e pertanto ti diseredo!”
La risposta di Lucy Epsilon fu eloquente: gli rise sonoramente in faccia.
“Chi o che cosa credi di poter diseredare? Tu non puoi nulla. Non sei più nulla, ormai!”
D’istinto Jeremy le puntò in faccia la pistola che Tommy stringeva ancora in mano prima di risucchiarlo.
Il fischio che lo raggiunse alle orecchie fu più che mai provvidenziale ed egli, rendendosi conto che l’immagine di Tommy si stava staccando da lui, con quel minimo di senso tattile che gli era rimasto in quei pochi istanti la spinse, scaraventandola addosso a quella di Lucy e urlando “Maledetta!”, ma stavolta lei non lo sentì.
Ritrovatosi nuovamente sotto forma d’ectoplasma, si avventò su Peter, lo afferrò per le braccia e iniziò ad urlare fissando in alto.
“E adesso, Hunt, riportaci a casa, se non vuoi che il ragazzo finisca male! Sbrigati!”
Jeremy si sentì toccare una spalla e si voltò, un calcio lo colpì in pieno viso, facendogli mollare la presa.
Hunt stava ancora decidendo sul da farsi quando si ritrovò ad assistere all’intervento improvviso dell’ectoplasma di Jasmine atto a liberare Peter.
Tutti furono sorpresi da quell’entrata alquanto inattesa. “Come accidenti ha fatto a trasferirsi Jasmine? Io di certo non l’ho mandata!”
Vide che il monitor sintonizzato su Epsilon si era annerito in modalità terminale e impartiva continuamente istruzioni.
Virtuality aveva, come si suole dire, inserito il pilota automatico e qualcuno doveva aver preso in mano il controllo della situazione, coinvolgendo Jasmine e convincendola ad intervenire in quella forma.
“Comincio a domandarmi che ruolo svolgo in tutta questa faccenda, dato che anche il software da me sviluppato agisce per conto proprio!”
Jeremy sorrise all’indirizzo della bella francese, quindi la salutò da par suo.
“Benvenuta, crepe suzette! È un piacere averti qui. Devo esserti mancato parecchio dal nostro ultimo incontro ravvicinato, molto ravvicinato”.
“Allontanati alla svelta, Peter. Penso io a questo lurido verme!”
Tanner scoppiò in una fragorosa risata.
“Credi davvero di spaventarmi, madamoiselle? E pensare che io e te potremmo andare così d’accordo, basterebbe che tu fossi solo un pochino più arrendevole!”
La attaccò in maniera fulminea, ma non abbastanza da sorprenderla: Jasmine era una lottatrice esperta e non le fu difficile respingerlo.
Intorno a loro, intanto, si andava delineando una scena con Lucy e Tommy soccorsi dalle altre guardie del corpo e da un’ambulanza giunta nel frattempo sul posto e, contemporaneamente, sommersi da flash di fotografi, i quali già fantasticavano notizie sensazionali da dare in pasto all’opinione pubblica.
Peter emise un urlo per attirare l’attenzione di Jeremy e Jasmine: “Omega!”
Una crepa nell’aria si dilatava a vista d’occhio come la bocca di una belva affamata e tutto ciò che stava intorno a loro era in procinto di essere inghiottito nel vuoto.
Peter e Jasmine si erano già stretti l’uno contro l’altra, pronti a rientrare, mentre Tanner tardava, preso a fissare la sparizione del luogo della scena con l’immagine di sua figlia.
Peter si protese per afferrarlo e unirlo a loro due: occorreva far presto.
Tanner piangeva disperato e continuava a chiamare sua figlia. “Lucy! Perdonami! Non lasciare il tuo papà! Lucy! Piccola mia! Torna da me, ti prego!”
Peter tentò per l’ennesima volta: “Presidente, si aggrappi a me, presto! Quella non è la vera Lucy, è solo un’ipotesi di evento mai realizzato!”
Niente da fare, Jeremy non lo ascoltava nemmeno, anzi, sembrava allontanarsi sempre più rapidamente da loro.
La scena era ormai quasi totalmente risucchiata dall’Omega, mancavano solo Jeremy, l’immagine di Lucy e delle guardie e la lunghissima lussuosa limousine nera.
Jasmine risolse il problema colpendo Tanner alla nuca con la mano e facendogli perdere i sensi, quindi lo strinse a sé alzando gli occhi al cielo e sospirando: “Ti avrei lasciato qui volentieri, vecchio cochon, prega che non ricapiti perché non sarò ancora così comprensiva!”