Autore Topic: Si stava peggio quando si stava peggio.  (Letto 2120 volte)

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Online Frank

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Si stava peggio quando si stava peggio.
« il: Giugno 19, 2016, 20:05:22 pm »
http://digrazia-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/06/07/si-stava-peggio-quando-si-stava-peggio/

Citazione
Salute e bugie
di Salvo Di Grazia
Si stava peggio quando si stava peggio.
7giugno2016

Noi uomini abbiamo una caratteristica, innata e spesso inconsapevole: giudichiamo le cose in base alla nostra esperienza. Questo è un limite, non c'è che dire. Le nostre opinioni e la percezione della realtà sono costruite su quello che vediamo, su come viviamo la vita. Se pensiamo al problema della fame nel mondo riusciremo ad immaginarlo in maniera teorica ma non avremo mai l'esatta percezione di cosa voglia dire non avere un pasto tutti i giorni, non possiamo nemmeno provarci visto che la stragrande maggioranza di noi ha un pasto o più (quasi sempre molti di più) e non ha nessun problema per procurarsi il mangiare, come non riusciamo a renderci conto di cosa significhi soffrire finché non lo proviamo sulla nostra pelle.

Una frase molto nota che ormai è una sorta di tormentone è "si stava meglio quando si stava peggio", chi lo pensa seriamente sostiene che i tempi andati, quelli dei nostri avi, in fondo non sarebbero stati così poveri di piaceri e soddisfazioni e, nonostante tutto, la vita scorresse meglio di come lo faccia oggi, epoca di progresso ed abbondanza.
Ma è vero? Si stava veramente meglio? Non posso certo dirlo io, non ho vissuto quegli anni ma se vado a cercare com'era la medicina quando c'erano i nostri nonni (o bisnonni) non emerge un quadro invidiabile e da rivivere. Abbiamo sicuramente sconfitto tantissime fonti di sofferenza, tante malattie e, quelle che non abbiamo sconfitto, almeno proviamo a curarle. Non per niente oggi viviamo molto di più di allora, forse pieni di acciacchi ma vivi e qualcuno vede questo fattore come un segno di decadimento: vivendo di più ma più malati si vivrebbe peggio. D'altra parte l'alternativa quale sarebbe? Quella che avevano i nostri avi, morire giovani. Così la prima domanda sorge spontanea: era meglio morire da piccoli...no, la riformulo, che differenza ci sarebbe tra morire più giovani e morire più anziani ma più malati? Io credo sia meglio la seconda possibilità, pieni di dolori ed avidi di pastiglie ma vivi ed attivi (nella maggioranza dei casi). Sembra evidente quindi che si stava peggio quando...si stava peggio.

Se è ovvio che tutti vorrebbero morire più tardi possibile è anche vero che morire da giovani ha una causa e quindi sempre morte è.

Oggi moriamo per malattie cardiovascolari, tumori, malattie degenerative (che guarda caso aumentano con l'età), allora morivano per bronchite, infezioni, tumori, emorragie o fratture, c'era un'altissima mortalità infantile, intere famiglie falcidiate dalle malattie per l'infanzia, la tubercolosi riempiva interi ospedali che, per contenere tutti i malati, dovevano essere costruiti appositamente (i cosiddetti "sanatori"). Le malattie sessualmente trasmesse (come la sifilide) erano delle piaghe sociali e persino norme oggi considerate ovvie, come l'igiene, non erano così diffuse. La maggioranza delle cause di morte del 1800 oggi sono guaribili o curabili. Ma allora perché non siamo soddisfatti? Perché non ci "accontentiamo"? Perché qualcuno sostiene che si viveva meglio 100 anni fa? Proprio per il motivo che dicevo all'inizio. Non abbiamo idea di come si vivesse e si "curasse" la malattia. Giudichiamo quei tempi idealizzandoli, esaltando i (pochi) lati positivi (vita semplice, poche pretese) e negando quelli negativi (malattie, fame, guerre, dolore). Anche certi stereotipi della "moderna vita di città" sono discutibili se paragonati alle condizioni di vita dei nostri avi. L'inquinamento? Esiste ma è più pericoloso della malaria di certe zone d'Italia o della mancanza di fognature o acque potabili sicure (le infezioni del passato erano spesso dovute proprio ad acque inquinate)? Lo stress quotidiano? Quanto è vero...ma è più stressante del non avere cosa portare ai figli a cena o a vedere morire metà della propria famiglia per rosolia?

I "bei tempi andati" sono così in tutti gli ambiti ed è per questo che qualcuno li usa per vendere prodotti inutili. I "rimedi tradizionali", la "cura della nonna", un "prodotto che arriva dall'antica saggezza" e così il richiamo all'"antico" è spesso uno slogan pubblicitario, fa leva sui nostri sentimenti nostalgici, ricorda epoche passate ma le edulcora, le esalta e le descrive per quello che non erano. In passato non si viveva meglio. Non dimentichiamo che anche la vita dei malati cronici (invalidi, persone con malattie neurodegenerative...) è resa molto più semplice dal progresso. L'era informatica ha trovato un modo per fare comunicare chi non riesce a farlo, l'elettronica, i microchip e l'informatica rendono la vita quotidiana di milioni di persone accettabile. Non è poco.

Sembra evidente e chiaro che oggi viviamo (nelle nostre latitudini) molto meglio dei nostri avi, da tutti i punti di vista e non c'è nessun motivo per invidiarli. Il problema del mondo moderno è che "mangiamo troppo" non che "non abbiamo da mangiare" o che "abbiamo una vita sedentaria" e non "lavoriamo tutto il giorno sotto la pioggia". Qualcuno allora approfondisce e, tra le obiezioni più comuni, c'è quella relativa alle malattie oggi incurabili. Com'è possibile che siamo arrivati sulla Luna, abbiamo fotografato il DNA e non riusciamo a curare malattie come il cancro?

Possibile, di qualcosa si muore e se allunghiamo la durata della vita moriremo di malattie dovute a questa sopravvivenza prolungata.

Come scrivevo all'inizio noi percepiamo la realtà come quella oggettiva, attuale, quella che viviamo e difficilmente riusciamo a giudicarla paragonandola a quella che era (ed è, in certi paesi) per i nostri simili fino a pochi anni fa. Questo è umano ma crea false idee e spesso false aspettative.

Se ci limitiamo alla malattia più temuta di tutte, il cancro, vedere cosa facevano i nostri avi può riportarci tutti con i piedi per terra e, forse, apprezzare di più ciò che abbiamo oggi, ottenuto grazie all'ingegno umano.
Nel secolo che va dal 1800 al 1900 (quindi pochissime generazioni fa) non si conosceva l'origine e la causa della maggioranza delle malattie e, di conseguenza, non si conosceva neanche una cura realmente efficace. Le "terapie" dell'epoca erano quasi tutte palliative o empiriche e persino grandi luminari della medicina si affidavano alla loro osservazione ed esperienza personale, a volte utile, molto più spesso assolutamente inutile se non dannosa. Si improvvisava e si andava per tentativi e per molte sofferenze l'unico sollievo era la morte.
La differenza data dal progresso in medicina è evidente, malattie oggi considerate banali (dall'infezione di una ferita ad una peritonite) erano spesso causa di morte fino agli anni prima della II guerra mondiale. La "pillola" per stare meglio non esisteva, la medicina non era per tutti e non c'era neanche una particolare cultura medica: molte persone si rivolgevano a "praticoni" locali, persone che erano conosciute come capaci di curare qualsiasi malattia ma che in realtà non avevano nessun rimedio utile neanche per i disturbi più banali. Non che negli ospedali fosse meglio. Una cistite (infezione urinaria, in particolare della vescica) che oggi curiamo nelle forme più serie con un antibiotico, prevedeva: "dieta strettamente lattea, cataplasmi e degli impacchi caldi sulla regione vescicale, qualche decotto di uva ursina o delle acque bicarbonate acidule. Si può prescrivere oppio o dell'elmintolo". (Manuali di medicina: ginecologia, UTET, 1928).
Ma la differenza più evidente la possiamo notare nelle malattie più gravi, quelle che neanche oggi riusciamo a curare ma proviamo a contenere. Le armi che abbiamo oggi per curare malattie come i tumori o quelle neurodegenerative sono potentissime, molto costose ed a disposizione di tutti. "Quando si stava peggio" non c'era nulla, per nessuno. Tanto semplice quanto netto: una malattia grave non si curava. Se per sventura un nostro avo si fosse ammalato di cancro non poteva contare che su metodi assolutamente inefficaci e si improvvisava, non avevamo idea di cause, diagnosi e cure dei tumori.

Nel libro del 1854 "Storia clinica ed anatomica dei tumori" di Giacomo Sangalli, dopo una lista di possibili cause tra le quali "malnutrizione" di una parte del corpo o "aggressioni" esterne al corpo umano, Sangalli elenca tutta una serie di presunte cause del cancro che negli anni hanno sviluppato alcuni medici o ha osservato lui stesso. Sono tutte "circostanze" (come le chiama l'autore) che possono causare tumori ma alla fine il medico conclude che "più spesso per l'insufficienza di tutte queste circostanze secondarie, dobbiamo confessare di non saperne nulla", in un altro testo, la causa dei tumori, viene definita "oscura". Non ne sapevano nulla, c'è poco da fare.
L'autore si stupisce che i tumori colpiscano tutti, dai più deboli ai più forti di costituzione, questo perché si era diffusa l'idea che l'origine delle malattie (tutte) dipendesse da "debolezza", cattiva "costituzione fisica", questo perché a quei tempi le anemie, lo scorbuto ed il rachitismo erano molto diffusi e come conseguenza avevano un cattivo stato di salute, queste persone apparivano più "deboli" del resto della popolazione e quindi la "debolezza" del corpo sembrava la causa di ogni malattia. Oggi la "costituzione fisica" è passata in secondo piano, nel nostro paese è molto raro trovare persone nutrite male o poco. Nel "Trattato di patologia esterna" di Augusto Vidal (1864), è scritto che i tumori cutanei "appariscono più o men tardi dopo la nascita, in occasione di un colpo, di una compressione prolungata, oppure senza causa apprezzabile [...] quelli congeniti sono sempre preceduti da macchie della pelle chiamate nevi materni o voglie, di colore e forma variabili, che alcune persone considerano come il resultato dell'influenza che le emozioni morali della madre esercitano sul feto". Non si conosceva quindi la causa che era ipotizzata come un "insulto" esterno di vario tipo o addirittura all'influenza del vissuto della madre durante la gravidanza.

Sembra sorprendente ma ci trovavamo in un'epoca nella quale persino l'esistenza dei batteri era ancora oscura, i virus erano sconosciuti ed i rimedi per la cura delle malattie che provocavano non esisteva. Per questo una polmonite poteva essere fatale, così come una frattura diventava un dramma.

I tumori non lasciavano scampo, è interessante notare che, nonostante l'opinione comune e la medicina parlano di rarissimi casi di guarigione senza l'uso di nessuna terapia, in molti testi si dice chiaramente che non sono mai stati descritti casi di risoluzione spontanea. Questo accadeva probabilmente perché chi oggi dice di non aver fatto nessuna cura (ed in effetti può anche non averla fatta), ha di solito dei mezzi per migliorare i sintomi (disinfettanti, antidolorifici, pulizia), cose all'epoca non disponibili, così che la morte avveniva spesso per i sintomi del tumore e non per il tumore stesso (infezioni, dolore neuropatico, emorragie) ed in breve tempo. Questo è un altro aspetto che le persone conoscono poco (forse per scarsa capacità di spiegare da parte della medicina). Molte delle cure attuali, specialmente se non c'è possibilità di guarigione, puntano al miglioramento della qualità di vita o all'allungamento della sopravvivenza. Un farmaco chemioterapico, a dispetto di importanti (a volte) effetti collaterali, può ridurre o eliminare gravissimi disturbi causati da un tumore avanzato, sintomi che rendono impossibile una vita normale e che spesso sono la stessa causa di morte. "Curare" non significa necessariamente "guarire", si può curare un organo o un apparato per permettere l'alimentazione, si può ridurre o eliminare il dolore o si può evitare un'emorragia interna causata dal tumore. Fare qualcosa anche in assenza di possibilità di guarigione, quindi, non è sempre sbagliato, ricordandosi però che bisognerebbe evitare gli accanimenti.

In uno studio del 1964 si analizzava la sopravvivenza da tumore mammario non trattato (senza nessuna cura) in confronto alla durata normale della vita. Analizzando 250 casi di donne (dal 1805 al 1933) che non si erano sottoposte a nessun trattamento si notava come la sopravvivenza media fosse di 2,7 anni (circa 2 anni e 8 mesi), con un 18% che sopravviveva dopo 5 anni dalla diagnosi ed un 3% dopo 10 anni.Ovviamente lo studio non è nulla di eclatante ma ci fornisce un dato molto utile (oggi sarebbe difficile trovare molti pazienti che non si sono sottoposti a nessuna cura), i pazienti sono inseriti ad uno stadio di malattia vario e, se confrontiamo la percentuale di sopravvissuti a 5 anni con la malattia che non ha avuto nessun trattamento con chi oggi ha lo stesso problema ma si sottopone a cure, vediamo che c'è una differenza evidente, oggi sopravvive circa l'87% delle pazienti (a 5 anni). Questo ci fa capire che, a dispetto di paura o effetti collaterali, curarsi conviene ed oggi ancora di più.

sopravvivenza
La sopravvivenza con tumore mammario non curato (curva in basso), in alto linea con l'aspettativa di vita normale secondo l'età.

Qualche passo avanti lo abbiamo fatto, sembra chiaro. Il progresso però (e questo è più difficile da percepire) non risiede solo nei risultati ma anche in altri aspetti della medicina, la diagnosi e la cura, ad esempio.

La diagnosi era tardiva, spesso generica, non esistendo esami radiologici non era facile nemmeno stabilirne la sede con sicurezza tanto che la maggioranza dei tumori degli organi interni restavano sconosciuti e non diagnosticati. La classificazione generica e vaga, si basava quasi totalmente sull'aspetto ("tumori venosi", "epiteliali", "linfatici"...) e la terapia, conseguentemente mirava ad una cosa sola: estirparli, con tutte le conseguenze del caso che forse oggi nemmeno immaginiamo.

Non è facile descrivere la cura dei tumori in un'epoca nella quale non esistevano anestetici o antidolorifici e quindi limiterò le mie descrizioni, anche perché alcune sono veramente crude (e scusate alcuni particolari cruenti ma sono inevitabili, forse chi si impressiona può consolarsi pensando a come queste cose non succedano più).

prostata

Partiamo dall'anestesia.

Chi non aveva mezzi economici (la maggioranza delle persone) non poteva rivolgersi ai medici, men che meno ai luminari dell'epoca i quali chiedevano compensi astronomici per spostarsi da una città all'altra (e con loro si spostava un'intera servitù), spesso quindi si assisteva ad interventi chirurgici praticati da barbieri, amici, "guaritori" conosciuti localmente. Questi non procedevano quasi mai ad anestesia ma usavano sostanze come l'alcol, l'oppio o i fumi di mercurio o canfora, tutte sostanze che provocano stordimento ma ovviamente né anestesia, né analgesia e nemmeno uno stato di sonno, per questo motivo ogni intervento era dolorosissimo e spesso provocava lo svenimento del paziente, a volte la rinuncia all'operazione e sicuramente a scene drammatiche. Era quasi sempre necessario mantenere fermo il paziente e questo si faceva con l'aiuto di altre persone. Il dolore era visto come un sintomo inevitabile ed ineluttabile, una volontà superiore non controllabile dall'uomo (come diceva il detto latino "sedare il dolore è solo compito di Dio"). Era lontana anche l'epoca della rianimazione. Un individuo che perdeva i sensi era rianimato (per modo di dire) con metodi primitivi quale l'immersione nel ghiaccio, le frustate o appendendolo a testa in giù.

Chi si rivolgeva ai medici o in ospedale aveva come "anestetico" di prima scelta il cloroformio, tossico e con effetti negativi sul cuore, poi sostituito dall'etere, sostanza che provoca un profondo stordimento ma non sempre possibile, poco costante e non controllabile, oltre ad effetti irritanti ed alcuni rischi derivanti dal suo uso (altamente infiammabile). Questi furono comunque soluzioni adottate molto lentamente e non dovunque. Prima dell'uso di queste sostanze si utilizzavano impacchi di erbe, vapori di vario tipo, soluzioni dalle formule poco chiare, altri rimedi come l'uso del ghiaccio o lo "strozzamento" dell'arto da operare con un laccio, erano abituali. Le conseguenze sono immaginabili e le possiamo leggere nelle testimonianze dell'epoca.

    "Quando lo stiletto venne introdotto nel torace - penetrando attraverso vene, carne, nervi – non potei fermare la mie lacrime. Cominciai a gridare e continuai a urlare durante tutta l’incisione, e sento ancora le mie grida nelle orecchie come fossero di un altro. Pensai che questa era l’agonia prima della morte. Tutto questo mentre il chirurgo grattava dentro il mio torace. E io non riuscii a pronunciare parola, ma solo urla durante tutta la tortura. Poi svenni" (Frances Burney, scrittrice, 1840)

Si può parlare di vero e proprio tentativo di anestesia solo nel 1846, William Thomas Green Morton sperimentò uno strumento che permetteva di somministrare l'etere in maniera più controllata e continua (erano frequenti i risvegli durante gli interventi) ma l'anestesia moderna si sviluppò solo negli anni della guerra, attorno al 1940.

Gli interventi chirurgici per la cura dei tumori ovviamente risentivano di questo limite, operare una persona stordita ma praticamente sveglia e che avvertiva tutti i dolori non era opera facile ma non c'era altro. Un altro limite fondamentale era l'assenza di antibiotici: un intervento chirurgico era fondamentalmente la porta per le infezioni che spesso erano causa di morte o di ulteriori, terribili interventi chirurgici. C'è da aggiungere che anche le conoscenze di anatomia e fisiologia erano molto limitate e quindi l'intervento si limitava ad una tecnica molto arcaica e senza grandi basi scientifiche.

Non c'erano però molte alternative alla chirurgia primitiva di allora. Qualcuno proponeva un digiuno totale (con l'idea arcaica dell'"affamare il tumore"), chiamata "cura famis", nella quale erano concessi solo acqua e farina di frumento una volta al giorno, qualcuno aveva osservato un rallentamento del tumore. Poi i salassi, prelievi di sangue ripetuti per i quali venivano usate piccole lame o sanguisughe, "ottenuti con qualsiasi mezzo" che lentamente stavano per essere abbandonati ed infine la compressione: si comprimevano (schiacciavano) i tumori con bende o fasce per ridurne il volume, mezzo molto amato da importanti chirurghi europei.

Infine il metodo "principe", usato negli ospedali più quotati: la "cauterizzazione" (ovvero la bruciatura) spesso accompagnata dall'estirpazione (la rimozione).

La cauterizzazione dei tumori si otteneva in vari modi, tra i più usati le sostanze ustionanti (polvere di Rousselot, pomata di Fra Cosimo, polvere di Vienna, cloruro di zinco), sostanze usate quando "l'infermo avesse una invincibile repugnanza per il bisturi" che causavano profonde ustioni e quindi distruzione delle strutture sulle quali erano applicate. Inutile sottolineare la poca precisione di queste sostanze ed i tremendi dolori, spesso insopportabili, causati da queste sostanze, la "bruciatura" avveniva in diversi giorni e, naturalmente, senza alcuna anestesia. In ambienti non medici erano molto utilizzati i ferri arroventati.

chirurgia

Questo metodo precedeva o seguiva la chirurgia vera e propria, eseguita con una sterilità solo teorica (spesso i medici non usavano nemmeno guanti o protezioni) e con mezzi primitivi. La sterilizzazione degli strumenti era praticata con la bollitura e durante l'intervento, per impedire emorragie, gli assistenti del chirurgo comprimevano i vasi sanguigni con le proprie dita (li "premevano" per "chiuderli" ed evitare emorragie). Inutile dire che gli esiti erano disastrosi, si moriva spesso per complicanze chirurgiche o anestetiche e la guarigione era rara, senza dimenticare che anche il decorso post operatorio, in mancanza di antibiotici ed antidolorifici era un vero e proprio calvario.

Dopo l'intervento il paziente era sedato con alcol, sottoposto a "spugnature" (lavaggi con acqua tiepida), vapori di canfora, the o infusi di erbe.

    "Appena l'operata fu tornata all'uso dei sensi bevè un poco di acquavite diluita che ingozzò facilmente, avea la voce debole ed asseriva di sentirsi meglio. Le forze però non si rianimarono il giorno dopo, era nello stesso stato di debolezza, ebbe un purgativo ed una bevanda analettica mista a the. Si lagnava di torpore alle gambe ed alla parte inferiore del dorso. Spirò due giorni dopo la operazione senza cacciare il minimo grido".

Questo brano l'ho riportato per mostrare come fosse normale e scontato un decorso post chirurgico completamente negativo. Non deve stupire, non c'erano mezzi, non c'era nulla per sollevare dal dolore o dalla sofferenza, non c'era modo per prevenire infezioni, febbre, complicanze e morire era la norma, è anche curioso notare come non vi fosse praticamente nessuna protesta da parte del paziente o dei suoi parenti, l'esito, davanti ad una malattia, era praticamente scontato, sorprendeva il contrario, la sopravvivenza, la guarigione, tanto che i medici, soprattutto i luminari, che vantavano una minima sopravvivenza di poco superiore agli altri colleghi, si vantavano continuamente e destavano sorpresa ed ammirazione.
Questa panoramica sulla medicina dei "bei tempi andati" dovrebbe essere molto più ampia ed approfondita ma vi ruberebbe troppo tempo. Lo scopo di questo post è quello di far percepire i "vecchi tempi" per quello che erano, un'epoca senza i mezzi, le possibilità e le comodità di cui disponiamo oggi. Non so per cosa varrebbe la pena tornare indietro, di sicuro non per la medicina.
Molto probabilmente i nostri eredi resteranno allibiti leggendo come ci curiamo oggi, è quasi inevitabile ma questa è una caratteristica della scienza, non inventa e non promette ma si mantiene oggettiva ed aderente al tempo che vive. Non è molto logico ricordare con nostalgia quei tempi, dimostra solo che non li conosciamo bene. Allo stesso tempo questo può servire per apprezzare i nostri tempi, forse sempre di corsa e frenetici ma alla fine ricchi di possibilità, cosa che non avevano i nostri predecessori

Ecco, bisogna prendere la medicina come una "possibilità", non è scritto da nessuna parte che sia obbligatorio curarsi o che guarire sia una garanzia, lo vorremmo tutti, per noi e per i nostri cari ma è un vantaggio che abbiamo e che i nostri predecessori non avevano. Guardiamo la realtà per quella che è e ringraziamo gli uomini che hanno speso la loro vita ed il loro tempo per garantirci questa possibilità. D'altronde, in un'umanità che ha poca memoria, almeno la scienza ha un obiettivo preciso: non tornare indietro.
Alla prossima.

Offline Vicus

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Re:Si stava peggio quando si stava peggio.
« Risposta #1 il: Giugno 19, 2016, 21:10:07 pm »
Ogni epoca ha i suoi pro e i suoi contro, ma perché non dovrebbe essere possibile prendere il meglio dall'una e dall'altra?
« Ultima modifica: Giugno 21, 2016, 02:54:38 am da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Hector Hammond

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Re:Si stava peggio quando si stava peggio.
« Risposta #2 il: Giugno 21, 2016, 02:02:48 am »
Ogni epoca ha i suoi pro e i suoi contro, ma perché non dovrebbe essere possibile prendere il meglio dall'una e deall'altra?
Dovresti avere qualche punto fisso , non vivere in un mondo fluido come questo , fluido come una sciolta  :lol: .

Online Frank

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Re:Si stava peggio quando si stava peggio.
« Risposta #3 il: Giugno 21, 2016, 06:45:58 am »
Ogni epoca ha i suoi pro e i suoi contro, ma perché non dovrebbe essere possibile prendere il meglio dall'una e dall'altra?

Sì, ma secondo me le epoche passate avevano molti più contro di oggi.
Nonostante tutto mi reputo fortunato ad esser nato nel 1971 piuttosto che nel 1871 o nel 1271.
Io (noi) non ho mai sofferto la fame, non ho mai visto una guerra né sono stato costretto a farla, etc etc.
Poi sì, è chiaro che ogni epoca ha le sue rogne, ma ti chiedo: a te piacerebbe vivere nell'anno mille? (è un esempio).
A me no.

Offline Vicus

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Re:Si stava peggio quando si stava peggio.
« Risposta #4 il: Giugno 21, 2016, 10:48:39 am »
Bisognerebbe anche chiedere a uno dell'anno mille se gli piacerebbe vivere in quest'epoca.
Secondo me la domanda fondamentale è questa: il progresso tecnico, medico, agricolo ecc. è possibile solo con la società dei consumi e col femminismo?
Se la risposta è sì, e la nostra epoca è davvero migliore delle altre, hanno ragione le femministe e tantovale chiudere bottega e ingrossare le fila degli zerbini che le seguono.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Jason

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Re:Si stava peggio quando si stava peggio.
« Risposta #5 il: Giugno 21, 2016, 13:53:11 pm »
Io penso che il progresso tecnologico , medico ed agricolo possano assolutamente esistere senza femminismo e consumismo .
«La folla che oggi lincia un nero accusato di stupro presto lincerà bianchi sospettati di un crimine».
Theodore Roosvelt, Presidente degli Stati Uniti d’America

Offline Vicus

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Re:Si stava peggio quando si stava peggio.
« Risposta #6 il: Giugno 21, 2016, 18:03:22 pm »
 :drinks:
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Frank

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Re:Si stava peggio quando si stava peggio.
« Risposta #7 il: Giugno 21, 2016, 18:40:18 pm »
Bisognerebbe anche chiedere a uno dell'anno mille se gli piacerebbe vivere in quest'epoca.
Secondo me la domanda fondamentale è questa: il progresso tecnico, medico, agricolo ecc. è possibile solo con la società dei consumi e col femminismo?
Se la risposta è sì, e la nostra epoca è davvero migliore delle altre, hanno ragione le femministe e tantovale chiudere bottega e ingrossare le fila degli zerbini che le seguono.

Vicus, dove ho scritto che il progresso tecnico, medico, agricolo, etc, deve andare di pari passo col femminismo e tutta la compagnia cantante ?  :cool:
Da nessuna parte, mi pare.


Citazione
Bisognerebbe anche chiedere a uno dell'anno mille se gli piacerebbe vivere in quest'epoca.

Beh, son sicuro che per molti aspetti gli piacerebbe vivere in questa epoca.
Esempio banale: se io vado dal dentista per devitalizzare un dente o per toglierlo, mi fanno l'anestesia locale; un tempo potevi pure scordartelo.
Oggi ci laviamo tutti i giorni, abbiamo il bagno in casa, l'acqua corrente, la luce elettrica, i riscaldamenti, mangiamo più volte nell'arco della giornata, non moriamo per una rosolia (perlomeno in questa parte di mondo), etc etc.
Sembrano cose banali, ma non lo sono affatto, caro Vicus.

Non bisogna guardare solo i lati negativi di questa epoca, ma anche quelli positivi, che son sicuramente maggiori rispetto a quelli di cento o mille anni fa.
Poi sì, ok, c'è il femminismo e tutto il resto.

Offline Vicus

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Re:Si stava peggio quando si stava peggio.
« Risposta #8 il: Giugno 21, 2016, 22:33:56 pm »
Vicus, dove ho scritto che il progresso tecnico, medico, agricolo, etc, deve andare di pari passo col femminismo e tutta la compagnia cantante ?  :cool:
Da nessuna parte, mi pare.
In vari post dove dicevo che talune società del passato (e del presente) sono migliori sotto il profilo umano, dicevi che quest'epoca è migliore delle altre. L'impressione è che bisogni accettare il progresso "in blocco", deducendone logicamente che senza femminismo la rosolia non si cura (mentre è il femminismo a farla venire :lol:)
Oggi abbiamo il progresso materiale, ma ci siamo disfatti senza alcuna ragione di secoli di civilizzazione. Sarebbe il caso di riscoprire equilibri sociali che hanno funzionato per millenni in ogni parte del mondo. Questo non è un ritorno al passato (che il femminismo ha falsato facendone la caricatura), perché certe norme sono senza tempo e si possono adattare ad ogni epoca.
Oggi uomini e donne hanno mansioni molto simili e vanno verso "un'umanità comune", ma bisogna comunque riscoprire una sana "polarità" nei ruoli e nei rapporti tra i sessi, come nel modo specifico in cui uomini e donne interagiscono con la società.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Si stava peggio quando si stava peggio.
« Risposta #9 il: Giugno 21, 2016, 23:47:28 pm »
In vari post dove dicevo che talune società del passato (e del presente) sono migliori sotto il profilo umano, dicevi che quest'epoca è migliore delle altre.

Ed infatti per molti aspetti lo è.  :cool:
Ma questo non equivale a dire che sia migliore in tutto, tantomeno che l'odierna società somigli ad una sorta di "paradiso in Terra",  :lol: che comunque non esisterà mai.


Citazione
Oggi uomini e donne hanno mansioni molto simili e vanno verso "un'umanità comune", ma bisogna comunque riscoprire una sana "polarità" nei ruoli e nei rapporti tra i sessi, come nel modo specifico in cui uomini e donne interagiscono con la società.

Vicus, salvo sconvolgimenti sociali, negli anni a venire la società sarà sempre più femminilizzata - in tutti i sensi -, perciò se e quando accadrà ciò che tu auspichi, io (e non solo) avrò salutato questo mondo già da un bel pezzo.

Offline Vicus

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Re:Si stava peggio quando si stava peggio.
« Risposta #10 il: Giugno 22, 2016, 00:03:11 am »
Ed infatti per molti aspetti lo è.  :cool:
Ma questo non equivale a dire che sia migliore in tutto, tantomeno che l'odierna società somigli ad una sorta di "paradiso in Terra",  :lol: che comunque non esisterà mai.


Vicus, salvo sconvolgimenti sociali, negli anni a venire la società sarà sempre più femminilizzata - in tutti i sensi -, perciò se e quando accadrà ciò che tu auspichi, io (e non solo) avrò salutato questo mondo già da un bel pezzo.
Il mondo procede a salti, non in modo graduale e nella stessa direzione come sognano per esempio gli eurocrati.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.