Autore Topic: Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.  (Letto 2980 volte)

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Offline Vicus

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Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« il: Giugno 24, 2016, 01:24:10 am »
Di Roberto Pecchioli

La notizia non è nuova, e purtroppo non conquista le prime pagine dei giornali: i robot, tra meno di cinque anni, costeranno meno di un lavoratore “umano”. Secondo uno studio molto attendibile, un robot costa oggi mediamente ad un’impresa tra i 18 e i 20 euro orari, contro i 15 di un operatore in carne ed ossa, ma già entro il 2020 il costo per unità dei robot applicati alla logistica  sarà di 100.000 euro, il che, rapportato ad ore di lavoro, corrisponde ad un costo di soli 10 euro, contro  i 19 dell’uomo.  Il mercato dell’automazione, dunque, subirà un ulteriore balzo, oltre al già ragguardevole + 27% realizzato dal 2014. La previsione, per l’Europa, è di un mercato da 40 miliardi di euro l’anno prossimo, con l’ovvia irruzione del capitale di rischio nell’avventura robotica e cibernetica. Crescono anche i presidi chirurgici robotici, mentre in Cina la Foxconn, il gigante che produce gli i-phone, ha già acquistato un milione di robot, che affiancano un analogo numero di operai, e stanno iniziando a sostituirli.

La previsione iniziale è la perdita di un milione e mezzo di impieghi in Europa nella sola logistica, ma il problema strutturale è che il lavoro umano verrà reso obsoleto come tale , senza alternative. La velocità e l’ampiezza del fenomeno è, e più ancora sarà senza precedenti storici. Alcuni ipotizzano che oltre il 40 per cento dei lavori attualmente esistenti negli Usa corra un alto rischio di sostituzione robotica, mentre per un altro 20 % il rischio sarebbe medio.  Al di là della precisione predittiva dei cosiddetti esperti, tuttavia, il fatto è immenso, e necessita di essere analizzato nelle sue ricadute sociali, economiche, territoriali, antropologiche, addirittura esistenziali, al fine di predisporre dei paracadute , organizzare contromisure, riorientare la vita degli uomini. Questo, infine, è politica. Il resto è aritmetica, o, al più, amministrazione.

Secondo la teoria classica, il lavoro è (era) uno dei tre fattori fondamentali della produzione, con il capitale e la terra, dunque una fonte di ricchezza. Successivamente , si è trasformato in costo, componente del conto economico e non dello stato patrimoniale. Dunque, qualcosa che va ridotto, limitato , risparmiato. Da oggi, siamo oltre: se ne può fare a meno. Il primo pensatore a prendere atto della nuova realtà è stato probabilmente Jeremy Rifkin, con il suo “La fine del lavoro”, che è del 1995, pur se già Joseph Schumpeter aveva osservato come il fenomeno della mancanza di lavoro fosse un prodotto dell’industrializzazione, e quindi, della progressiva tecnologizzazione degli apparati produttivi.  La disoccupazione è un fenomeno moderno, eccetto che per situazioni determinate da catastrofi naturali  o epidemie nelle epoche preindustriali.

Un economista come Larry Summers ha tentato di disegnare lo sfondo di un’ estesa e persistente disoccupazione  da tecnologia in uno scenario di stagnazione secolare, ma l’analisi economica, per quanto seria e bene intenzionata, non è sufficiente . Rifkin, che nella Fine del lavoro fu il primo ad esaminare i risvolti del problema da un punto di vista interdisciplinare, nel suo recente “La società a costo marginale zero” fornisce un interessante arsenale di concetti, oltreché una messe di dati interessanti. Innanzitutto, dimostra che l’innovazione tecnologica  ha bruciato molti più posti di lavoro della delocalizzazione degli impianti. Poi certifica un altro dato : nel periodo preso in esame, otto anni all’inizio del millennio, l’industria mondiale ha 22 milioni di addetti in meno, ma ha aumentato la produttività del 30 per cento. Il dato comprende anche la Cina, il cui boom manifatturiero è stato largamente potenziato dall’informatica e dalla robotica.  Negli USA, in cui la produzione industriale è in ripresa, non lo è affatto l’occupazione.

Ma il lavoro è stato sempre considerato dall’economia politica ( pensiamo a Friedrich List) come un capitale sociale , dunque una società senza lavoro è un mondo in perdita. La distruzione accelerata di professionalità, conoscenze, cultura materiale e tecnica è un esito drammatico, che va evitato ad ogni costo. E’ proprio Rifkin ha fornire una prima chiave di lettura, insistendo sulla necessità di accumulare nuovo capitale sociale sotto forma di formazione  e di autoproduzione. In questo sembra di riconoscere il lato più convincente di talune tesi “decresciste”, come quelle del professor Pallante ( distinzione tra beni e merci, recupero e riuso , capacità di autoprodurre ). Tuttavia, è senz’altro da respingere il suo ottimismo circa il carattere liberatorio della fine, o della rarefazione del lavoro. L’economia di mercato, infatti, fattasi società di mercato e creatrice di diritto positivo e coercitivo, non ha alcuna intenzione di dividere i suoi profitti con alcuno, tantomeno di organizzare una vita sociale che tenga conto delle nuove condizioni della merce-lavoro, anzi della merce-uomo.

Del resto, se le innovazioni tecnologiche saranno in grado, come sembra certo, di sostituire l’obsoleto, poco produttivo e recalcitrante fattore umano non solo nella manifattura, ma anche nei servizi avanzati e persino in quelli alla persona, nonché nell’industria culturale e dell’intrattenimento, il vero problema dei detentori delle macchine e dei proprietari dei nuovi know-how sarà quello di trovare sbocchi di mercato in parti del pianeta dove esista ancora il lavoro pagato , i cui redditi possano alimentare il consumo.

Sono davvero lontani i tempi di Henry Ford e della politica degli alti salari, volti alla generalizzazione dei consumi, tanto più in un momento storico in cui la stessa industria automobilistica, storico simbolo di innovazione quanto di occupazione , sta lavorando alla realizzazione dell’auto senza conduttore.

Il progetto relativo è condiviso da Fiat Chrysler, dal colosso multinazionale del “car sharing” Uber ( in orbita saudita), criptica espressione che significa taxi “alternativi”, e, cosa assai significativa , dal gigante del commercio elettronico Amazon e da Google.  Siamo dunque entrati in uno di quelle fasi della vita economica che si definiscono tornanti della storia, e, se aveva ragione Einstein ad affermare che occorre un nuovo modo di pensare per risolvere problemi nuovi, deve mutare il paradigma corrente.

Tornare ai principi, tornare alla persona, restituire al mercato il suo ruolo di strumento al servizio dell’uomo. Sarà durissima, ma non esistono scorciatoie. In un mondo dove milioni di esseri umani saranno sostituiti nelle loro funzioni da apparati informatici, la strada obbligata è il recupero dello spazio pubblico e comunitario, anche nella sua aspetto di potere. C’è bisogno dello Stato, con le sue articolazioni, e va ridisegnato anche il principio di sussidiarietà, in senso verticale, poiché è lo Stato stesso che deve riassumere iniziative in campo economico, a tutela della coesione sociale e della sua stessa permanenza come istituzione. La quarta rivoluzione industriale, che è in pieno svolgimento, si avvia a liquidare il lavoro salariato nelle industrie e nei servizi, oltre al lavoro professionale in molti altri ambiti , anche di elevata qualificazione: si è rotto il legame tra produttività ed occupazione.

Debole , ancorché suggestiva, appare la proposta di incrementare i cosiddetti prosumers, ovvero i produttori consumatori che potranno fare da sé, proprio attraverso la generalizzazione delle tecnologie cibernetiche e robotiche , le merci che consumeranno. Tuttavia, applicando le vecchie acquisizioni del marginalismo di Jevons e Marshall, se il costo marginale dei prodotti si avvicinerà allo zero, anche l’impresa tradizionale dovrà cambiare profondamente. Forse reggeranno solo le imprese cooperative, nella più vasta accezione del termine, ed il mercato restringerà il proprio raggio d’azione. Forse, giacché l’economia di mercato ci ha abituato alla sua enorme capacità rigenerativa , mimetica ed adattiva.

La speranza ( e probabilmente la necessità) è che nasca un’economia policentrica, condivisa, nel senso della ripresa di iniziativa delle pubbliche istituzioni e di tutti noi, proprietari , difensori e utilizzatori dei beni comuni. Un piccolo esempio è la fiorente economia generata dalla custodia ed utilizzo delle risorse forestali in Val di Fiemme , affidata alle comunità locali che ne traggono benessere economico, gestione attiva del territorio, conservazione e rilancio di attività e conoscenza antiche, rielaborate con tecniche e strumenti contemporanei.  Il lavoro, dunque, torna ad essere ricchezza per l’intera comunità, a patto di considerarlo, finalmente, per quello che è, una risorsa preziosa. Il giornalista economico Giorgio Arfaras ha indicato recentemente, in un articolo su La Stampa, una ulteriore, grande questione, ovvero quella della distruzione non più di impieghi operai, come nelle fasi precedenti dell’economia industriale, ma di innumerevoli  professioni impiegatizie e dei servizi: turismo, credito, assicurazioni, presto anche il settore pubblico. Per parafrasare Karl Polanyi, un nuovo , decisivo capitolo della “Grande Trasformazione”. Arfaras, uomo del liberismo globale, teme “ la soluzione più semplice, quella di erigere muri o tornare al protezionismo”. Non si chiede affatto quale ruolo – o sacrificio- debba essere attribuito ai grandi gruppi economici, prigioniero della bibbia liberale internazionalista di cui è stipendiato corista.

Indubbiamente, se duramente colpiti , ceti importanti, oggi schierati con l’universo liberale, potrebbero ritirare il loro appoggio – od acquiescenza – al sistema vigente , ma la domanda è quella accennata all’inizio: chi mai comprerà i prodotti realizzati nell’industria robotizzata ? Il mercatismo terminale, aggrappato al dogma della scarsità monetaria, felice del “dumping” salariale , in brodo di giuggiole per la possibilità di scacciare da fabbriche ed uffici gli umani non più ricollocabili, continuerà a soffocare la domanda aggregata, cioè i consumi , di beni e servizi. Continuerà a segare l’albero su cui prospera alle spalle di miliardi di persone. Vorrà cambiare ? In attesa della risposta, che arriverà comunque in ritardo sui tempi della vita, occorrerà immaginare, e realizzare, forme di redistribuzione della proprietà e del reddito.

[...]

Naturalmente, non potranno che essere sperimentate forme di reddito sociale o di cittadinanza, e di credito sociale. La premessa, tuttavia, e dovrà essere la grande battaglia da attivare fin da oggi, è quella del ripristino della sovranità economica e monetaria dello Stato. Moneta legale e moneta bancaria devono essere espressione delle comunità nazionali, con il pieno controllo politico del popolo, attraverso il governo e specifici organi di sorveglianza. La moneta è il sangue dell’economia: nessuno può immaginare che il proprio sangue sia controllato da un estraneo, e che questi ne rivendichi, codici alla mano, la proprietà.

Le idee in materia sono molte, gli studiosi fuori dal coro stanno diventando numerosi. Il dibattito va aperto e non deve essere svilito da reciproche ostilità, scomuniche o settarismi.

I cardini non possono che essere l’emissione monetaria pubblica, la diffusione della proprietà privata ( fondiaria, immobiliare, dei “mezzi di produzione”), la definizione prima  , la difesa poi dei beni comuni e di quelle attività ( energia, credito, sanità, reti informatiche e di comunicazione) il cui controllo deve rimanere pubblico, il ripristino di un mercato aperto nemico dei monopoli, l’istituzione di un ragionevole spazio di assistenza per chi ha più bisogno. Se non ora, quando ?

ROBERTO PECCHIOLI
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline giuspal

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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #1 il: Giugno 24, 2016, 09:47:23 am »
L' "evoluzione" dell'umanità

Fase 1: Dio al Centro dell'Universo
Fase 2: Dio fatti più in là che al Centro dell'Universo ci sta l'uomo (Umanesimo)
Fase 3: Uomo fatti più in là che al Centro dell'Universo ci sta l'industria (Rivoluzione Industriale)
Fase 4: Industria fatti più in là perché sei solo un mezzo per i miei scopi bellici (Rivoluzione "Ismica" Fascismo, Nazismo, Comunismo  e anche Femminismo…)
Fase 5: Conflitti fatevi più in là che adesso è l'ora dei profitti (Rivoluzione Economica, illusione della ricchezza alla portata di tutti)
Fase 6: Profitto fatti più in là che è il momento della Crisi dell'economia e dei valori (Speciazione economica dettata dalla sola regola del si salvi chi può)
Fase 7: Ricco sopravvissuto goditi l'esistenza che al tuo benessere ci pensa la tecnologia (Rivoluzione domotica e robotica)

 «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? 18 E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? (LUCA 16,20)
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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #2 il: Giugno 28, 2016, 17:44:49 pm »
Video inquietante visto oggi su L'Eco di Bergamo

Non so se è più inquietante il video in se o il titolo che gli hanno dato: "Il sogno di ogni casalinga".  :ohmy:

http://www.ecodibergamo.it/videos/video/ecco-il-sogno-di-ogni-casalingail-robot-che-mette-ordine-in-cucina_1026541_44/
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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #3 il: Giugno 28, 2016, 18:34:59 pm »
C'è un robot per farla smettere di rompere gli zebedei all'uomo? :lol:
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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #4 il: Giugno 28, 2016, 19:08:18 pm »
Eh! Magari! Quello sí che é un sogno!  :rolleyes:
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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #5 il: Giugno 29, 2016, 00:04:46 am »
La robotica e l'automazione sono problemi seri, inseriti nel contesto economico attuale.
Questo è solo l'inizio, le macchine prenderanno sempre più sopravvento su tutte le occupazioni del mondo del lavoro.
Addirittura, anche nel campo dei controlli dei sistemi, l'uomo verrà sostituito, cioè saranno sempre le macchine ad autocontrollarsi e a decidere se i processi di produzione siano corretti.
L'evoluzione robotica sarà incontrastata e sempre più invadente e sempre più efficiente, non pensiamo solo tra 5 anni, pensiamo tra 50 anni, supermercati ipertecnologici dove è sufficiente inserire la lista della spesa in una macchina per ricevere in pochi secondi i nostri prodotti, senza cassiere, senza guardie di sicurezza.
Denaro che va a finire sempre più a poche mani, con una forbice tra ricchi e poveri che si amplifica a dismisura.
Poiché, contrastare la tecnologia è impossibile, occorre rivedere il modello economico. Il denaro va distribuito in modo diverso. Non in funzione della capacità lavorativa ma in funzione del fatto di esistere.

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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #6 il: Giugno 29, 2016, 00:53:36 am »
Sono già in progettazione le navi senza equipaggio:
http://siviaggia.it/notizie/in-arrivo-le-navi-senza-equipaggio/154735/

Gli armatori guadagneranno molti soldi in più; molta più gente piangerà fame e miseria.

Ma si dibatte solo di femminicidi, specie a sinistra.
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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #7 il: Giugno 29, 2016, 02:01:00 am »
La robotica e l'automazione sono problemi seri, inseriti nel contesto economico attuale.
Questo è solo l'inizio, le macchine prenderanno sempre più sopravvento su tutte le occupazioni del mondo del lavoro.
Addirittura, anche nel campo dei controlli dei sistemi, l'uomo verrà sostituito, cioè saranno sempre le macchine ad autocontrollarsi e a decidere se i processi di produzione siano corretti.
L'evoluzione robotica sarà incontrastata e sempre più invadente e sempre più efficiente, non pensiamo solo tra 5 anni, pensiamo tra 50 anni, supermercati ipertecnologici dove è sufficiente inserire la lista della spesa in una macchina per ricevere in pochi secondi i nostri prodotti, senza cassiere, senza guardie di sicurezza.
Denaro che va a finire sempre più a poche mani, con una forbice tra ricchi e poveri che si amplifica a dismisura.
Poiché, contrastare la tecnologia è impossibile, occorre rivedere il modello economico. Il denaro va distribuito in modo diverso. Non in funzione della capacità lavorativa ma in funzione del fatto di esistere.
Concordo al 100%: il vero dibattito non è più tra destra e sinistra, ma tra coloro che sono per l'estinzione o la sopravvivenza dell'umanità.
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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #8 il: Giugno 29, 2016, 09:15:14 am »
Concordo al 100%: il vero dibattito non è più tra destra e sinistra, ma tra coloro che sono per l'estinzione o la sopravvivenza dell'umanità.

Più che altro si vede sempre più chiaramente la tendenza a trasformare la vita da dono di Dio per tutti a privilegio esclusivo di "pochi eletti"
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Offline Sebastiano

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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #9 il: Giugno 29, 2016, 09:15:50 am »
Il dibattito è presente anche in un altro forum, io direi che un reddito minimo garantito è inevitabile.

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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #10 il: Giugno 29, 2016, 13:38:28 pm »
Il dibattito è presente anche in un altro forum, io direi che un reddito minimo garantito è inevitabile.
..Così si potrebbe vivere senza lavorare?  :)
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Offline giacca

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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #11 il: Giugno 29, 2016, 17:58:57 pm »
O se no si deve abbassare di molto l'orario di lavoro.

Offline Vicus

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« Risposta #12 il: Giugno 29, 2016, 18:17:00 pm »
Più che altro si vede sempre più chiaramente la tendenza a trasformare la vita da dono di Dio per tutti a privilegio esclusivo di "pochi eletti"
...pochi eletti ipnotizzati dalle macchine, che fanno tutto ciò che il computer (sotto forma di ROI e sondaggi) suggerisce loro.
Il dibattito è presente anche in un altro forum, io direi che un reddito minimo garantito è inevitabile.
Sono anch'io del parere, anche se il lavoro umano cambierà volto: se cibo, beni e servizi sono prodotti dalle macchine, le mansioni tradizionali diventano superflue.
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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #13 il: Luglio 05, 2016, 17:47:35 pm »
Qui un'analisi dei primi "benefici" portati all'uomo dalla tecnologia: http://www.lintellettualedissidente.it/economia/la-disoccupazione-tecnologica/

da cui cito: "il legame atavico con lo schiavismo e lo strumento del dovere non è stato spezzato, ma anzi si è rafforzato, alimentato dal culto di certe dottrine made in Usa, che hanno propagandato il mito del lavoro come riscatto sociale, allontanandolo da ogni legame col “buonsenso” necessario alla pianificazione produttiva nell’economia reale. Così, anziché lavorare tutti e meno, dedicando il tempo libero al sapere e all’istruzione, veri strumenti di liberazione dell’uomo dalla schiavitù, si è giunti al paradosso per cui alcuni lavorano troppo ed altri sono disoccupati privi di mezzi di sostentamento. Le recenti pubblicazioni della società di consulenza Roland Berger hanno svelato i progressi stupefacenti dei robot, già utilizzati in grande misura in svariati settori, tra cui la sanità, al posto della manodopera umana. Si stima che, nel giro di quattro anni, un automa costerà fino al 40% in meno di un essere umano, senza recriminazioni sindacali né previdenziali, con una perdita di oltre 1,5 milioni di posti di lavoro."
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Re:Robot al posto dell’uomo. A che punto è il discorso.
« Risposta #14 il: Luglio 05, 2016, 18:08:16 pm »
C'è un elemento chiave che farà pendere la bilancia a favore dell'uomo: la tecnologia elettronica crea decentramento, l'era dei dinosauri multinazionali è finita.
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