Autore Topic: Speranza di vita: mai un miglioramento così nella storia nei primati  (Letto 925 volte)

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http://www.lescienze.it/news/2016/11/24/news/speranza_vita_primati-3323510/

Le persone in tutto il mondo vivono sempre più a lungo e sempre più in salute. Questo, che è certamente un enorme progresso sociale, da una prospettiva evoluzionistica e antropologica assume un significato ancora più ampio: in poche generazioni, infatti, gli esseri umani hanno vissuto il più grande incremento della speranza di vita alla nascita dell'intera storia dei primati.

È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato online sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” da un gruppo internazionale di ricerca, guidato da Fernando Colchero, della University of Southern Denmark, che ha raccolto i dati di nascita e morte di più di un milione di persone nel mondo, dal XVIII secolo all'epoca attuale. Il campione comprendeva individui che vivono in società post-industriali, come quella svedese e quella giapponese, oppure in società di cacciatori-raccoglitori, che hanno fornito il termine di confronto con le condizioni di vita primitive. Oltre a ciò Colchero e colleghi hanno raccolto dati simili riguardanti sei specie di primati selvatici, studiati con continuità per un periodo variabile da tre a cinque decenni, tra cui gorilla, scimpanzé, babbuini, cappuccine, murichi (scimmie platarrine che vivono nelle foreste del Brasile) e Sifaka di Verreaux (lemuri diffusi in Madagascar).

Speranza di vita: mai un miglioramento così nella storia nei primati
Credit: Christopher Furlong/Getty Images
I dati documentano che i progressi ottenuti nella speranza di vita non hanno eguali tra i primati. Per esempio, in Svezia, questo parametro statistico è passato negli utimi 200 anni da circa 35 anni a più di 80 anni. Questo divario di 40-50 anni è simile a quello esistente tra le popolazioni che hanno attualmente la più alta speranza di vita e quelle che vivono di caccia e raccolta, come gli Hadza della Tanzania o gli Aché del Paraguay.
Gli stessi appartenenti alle società di cacciatori-raccoglitori vivono in media 10-20 anni più a lungo dei primati selvatici come i murichi o gli scimpanzé, da cui i nostri antichi antenati si sono separati filogeneticamente alcuni milioni di anni fa.

Responsabili di questo incredibile progresso nella speranza di vita umana sono certamente le migliorate condizioni di vita e di igiene, nonché l'accesso alle cure mediche, che hanno consentito di diminuire la mortalità, in particolare quella neonatale, perinatale e infantile. Un dato sorprendente emerso dallo studio è che in tutti i primati, i maschi vivono in media meno delle femmine. Questo dato è evidente nelle società umane: una bambina nata in Svezia ai primi del XIX secolo poteva sperare di sopravvivere di qualche anno a un suo coetaneo maschio, e questa differenza è rimasta tutt'ora, anche se si sono aggiunti 45 anni di speranza di vita in entrambi i sessi. E anche tra gli altri primati studiati le cose cambiano di poco. Perché non si riesce a colmare questo divario nonostante il fatto che la vita dura ora così a lungo?

Per rispondere a questa domanda sono state formulate diverse ipotesi. La prima chiama in campo fattori genetici, e in particolare la presenza di un solo cromosoma X nei maschi, che non permette di compensare l'attività di un eventuale gene aberrante su questo cromosoma, come avviene invece nelle femmine. Un'altra possibilità paventata dai ricercatori è che gli uomini, nonostante l'evoluzione dei costumi nelle società moderne, continuino a esporsi a comportamenti a rischio più delle donne.
Io ho riposto le mie brame nel nulla.
(Stirner , L'Unico e la sua proprietà)
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