Nel pieno rispetto delle idee altrui, e ricordando che ognuno qui esprime opinioni personali e non quelle del forum, ritengo importante citare un resoconto dal vivo degli effetti della legalizzazione della cannabis, che la versione ufficiale vuole più salutare del tabacco (considerato a sua volta "salutare" fino a pochi decenni fa):
L’ESEMPLARE, CIVILE OLANDA
Ad Amsterdam, non so dove trovare un coffee-shop, ma penso di non sbagliare facendomi portare dal taxi nel celebre quartiere a luci rosse. E infatti lì, tra vetrine oscene e ristorantini turchi che puzzano di carne allo spiedo, ne trovo uno. Si chiama Choice-Exact, e l’insegna è un disegno psichedelico e stravolto, una faccia umana che urla a bocca aperta. Dentro, un po’ bar e un po’ sala di videogiochi, un ciccione biondastro dietro il banco, ragazzotti in jeans stinti; e, in generale, un’aria losca e buia, da bordello. Non so bene cosa chiedere. Poi mi viene in mente: “Nederweed”, ordino. È la
canapa indiana coltivata in Olanda, settimo prodotto dell’agricoltura nazionale per volume, rinomata per il suo altissimo contenuto (25%) di tetra-idro-cannabinolo, che è la sostanza stupefacente. “Quanto?”, mi chiede il ciccione. So che posso chiederne anche quindici grammi, ma ne chiedo uno solo. Sguardo di compatimento del ciccione. Pago dieci fiorini (9 mila lire) ed esco con la bustina. La butto nel primo bidone della spazzatura.
Un’ora dopo
Hein Schaaij, un settantenne che è stato eroe della Resistenza olandese ed oggi è impegnato nella lotta alle tossicodipendenze (è il vice-direttore del Comitato Nazionale Olandese per la Prevenzione della Droga), mi dice: “È dal ‘76 che in Olanda si possono fare acquisti come questi. Fino a due anni fa, avrebbe potuto chiedere anche trenta grammi di hascisc, del tutto legalmente. Ma non si deve parlare di “legalizzazione”: secondo il nostro governo, si tratta di altro.” E mi regala una
relazione del Ministero della Sanità del 1995, che spiega la “filosofia” che ha portato l’Olanda alla libera vendita della canapa. “Se dei giovani adulti desiderano consumare delle droghe leggere (e l’esperienza acquisita è che sono numerosi a sentirne il bisogno)”, vi si legge, “è meglio che lo facciano in un contesto che eviti di metterli in contatto con la sottocultura criminale che tratta le droghe pesanti”.
Vent’anni dopo, ha funzionato questa filosofia? “Il governo inonda i media di notizie positive sui risultati della sua politica. Bisogna leggere tra le righe delle pubblicazioni ufficiali”, replica Schaaij. Difatti, nel rapporto ‘95 della Sanità olandese, apprendo che “la mortalità per overdose è bassa: 42 morti nel ‘91 contro gli 82 del Belgio, i 1382 dell’Italia, i 479 in Spagna”. E anche: “Nei Paesi Bassi, il numero di persone infette da Aids è proporzionalmente basso”, il numero dei consumatori di hascisc cresce lentamente”...
Il signor Schaaij ride amaro: “Nel 1983, i fumatori abituali di cannabis erano il 4,8% della popolazione; nel 1992, il 6,5%. Poi non sono più state pubblicate statistiche. La cifra ufficiale è di 700 mila fumatori, su una popolazione totale di 15 milioni di olandesi. Ma si crede che i consumatori di cannabis siano un milione almeno.” Però, almeno, fumano “in un contesto che evita il contatto con la sub-cultura criminale che tratta droghe pesanti”? Altra risata amara. Schaaij mi mostra una rivista della polizia, International Journal on Drug Policy, dove il criminologo Dirk Korf dell’Università di Amsterdam ammette che numerosi coffe-eshop hanno dovuto esser chiusi perché vi si vendevano sottobanco droghe pesanti.I
coffee-shops, dove non si va a bere il caffè, sono oggi circa tremila, di cui 800 solo ad Amsterdam. Tenuti, come le case di tolleranza, da
gestori privati. Ai quali è consentito detrarre dalla dichiarazione dei redditi le spese affrontate per il loro “mestiere”: compreso l’acquisto del
revolver e cani da guardia. Nel’94, di fronte alle proteste per questi privilegi fiscali, la stampa liberal ha sostenuto il principio che “diritto penale e diritto fiscale sono separati”, e che “non spetta al fisco giudicare della moralità delle imprese economiche”. Insomma, l’Olanda ha fatto il possibile per considerare questi signori rispettabili contribuenti, di farli emergere alla legalità. Nonostante ciò,
l’Olanda ha il tasso di criminalità più alto d’Europa (in cinque anni, le aggressioni a mano armata sono aumentate del 102%) , e metà dei delitti paiono legati alla droga. Negli ultimi dieci anni il numero dei posti nelle carceri ha dovuto essere aumentato da 5 a 12 mila. Niente di strano: il mercato “legale” delle droghe leggere, che ha come terminali i coffee-shops, smercia 62 mila chili di cannabis all’anno. A dieci fiorini il grammo, spesi da 600 mila fumatori che consumino 2 grammi a settimana, significa un giro d’affari di 500 miliardi di lire: una bella cifra, che molti si contendono. “
C’è nei Paesi Bassi un centinaio di organizzazioni criminali, nella maggior parte implicate nelle droghe leggere”, si legge (fra le righe) nel già citato rapporto della Sanità.
L’ha ammesso anche la signora Winnie Sordrager, ministro della Giustizia nel ‘94, così riferendosi ai gestori dei coffee-shops: “All’inizio pensavamo di avere a che fare con degli idealisti (sic). Ma con gli anni, questo commercio ha finito con l’attrarre spacciatori professionali, il cui solo fine è di guadagnare il più possibile”. Così,
si cerca di ricorrere ai ripari. Il già citato rapporto della Sanità propone di “scoraggiare al massimo il consumo, per esempio riducendo il numero di coffee-shops, vietandone l’apertura in prossimità di scuole, fissando limiti di età per gli acquirenti”. Oltre tutto, “la popolazione si lamenta del fatto che i coffee-shops attirano frotte di visitatori dai comportamenti antisociali, molti anche stranieri”, ossia narco-turisti francesi, tedeschi e italiani attratti dai prezzi bassi e dall’alta qualità della “roba” olandese. “Sì,
la tolleranza della gente verso i drogati è diminuita con questa semi-legalizzazione”, mi conferma Frans Koopmans, portavoce del centro luterano per la riabilitazione dei tossicodipendenti “De Hoop”, il più importante del Paese: “
A Rotterdam c’è stata quasi una rivolta popolare contro questi spacci, e la polizia ha dovuto chiuderne parecchi”.Resterebbero da conoscere gli effetti sulla salute della gioventù di vent’anni di facile accesso alla canapa. “Metà dei giovani sotto i 24 anni ne fa uso”, sostiene Winnie Brower, “e ogni anno 25 mila di loro accusano problemi legati alla droga: abbandoni scolastici, isolamento e disadattamento sociale, turbe psichiche.” Ma la signora Brower lavora in un centro di disintossicazione, il Jellinek Outpatient Treatment, potrebbe avere una visione distorta. Inutile cercare conferme ufficiali.
“Legga tra le righe delle statistiche”, mi dice Schaaij: “In Olanda, l’assenteismo sul lavoro è doppio che in Germania e in Belgio, il nostro più prossimo vicino.” E l’Olanda conta un numero enorme, 800 mila persone, dichiarate “invalide” e inette al lavoro: il 15% sulla popolazione attiva. Le spese per questi invalidi toccano il 6.5% del Prodotto interno lordo, contro il 2,25% del resto dei Paesi europei. “Nessun elemento obbiettivo giustifica questo scarto”, ha scritto l’Ocse nel suo rapporto ‘93. Forse possono spiegarlo le droghe “leggere”?