Autore Topic: Il miracolo economico italiano  (Letto 1753 volte)

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Offline Frank

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Il miracolo economico italiano
« il: Dicembre 19, 2016, 21:08:04 pm »
http://www.treccani.it/enciclopedia/il-miracolo-economico-italiano_(Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Tecnica)/

Citazione
Il miracolo economico italiano
Il Contributo italiano alla storia del Pensiero - Tecnica (2013)
di Andrea Villa

Il miracolo economico italiano

Lo storico britannico Eric J.E. Hobsbawm (1917-2012), nel suo celebre volume Age of extremes. The short twentieth century, 1914-1991 (1994) ha definito il secondo dopoguerra una nuova «età dell’oro», mettendo in evidenza che si trattò di anni di «straordinaria crescita economica e di trasformazione sociale, che probabilmente hanno modificato la società umana più profondamente di qualunque altro periodo di analoga brevità» (trad. it. Il secolo breve, 1995, p. 18).

La definizione di Hobsbawm pare particolarmente centrata per l’Italia: questa, infatti, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta conobbe un periodo di crescita economica accelerata (che sarà soprannominato miracolo economico o, ancora più sinteticamente, boom), che ne trasformò in maniera profonda il volto, facendola passare da Paese a economia prevalentemente agricola a una delle principali potenze industriali dell’Occidente.

Un altro storico britannico, Paul Ginsborg, profondo conoscitore della storia italiana tra Otto e Novecento, ha scritto che in quel periodo «il paesaggio rurale e urbano, così come le dimore dei suoi abitanti e i loro modi di vita, cambiarono radicalmente» (1990; trad. it. 1989, p. 622).

Questa fase di crescita costituisce ancora oggi un oggetto di studio nelle università di tutto il mondo. È sufficiente, infatti, una breve analisi di tre manuali di storia contemporanea o di storia dell’economia – tutti pubblicati in anni recenti e adottati in prestigiosi atenei stranieri – per rendersi conto dell’importanza di un periodo della storia italiana che presenta molti aspetti ancora da studiare.

In Gran Bretagna, la International history of the twentieth century and beyond (2004, 20082) – di Anthony Best, Jussi M. Hanhimäki, Joseph A. Maiolo e Kirsten E. Schulze, docenti della London school of economics e del King’s college di Londra – parla di uno «straordinario successo», che ebbe profonde ripercussioni non solo sull’economia e la società italiane, ma anche sulla politica del vecchio continente, dal momento che contribuì a fare dell’Italia una della nazioni che più contribuirono al processo di creazione della Comunità economica europea e di integrazione fra gli Stati.

In Francia, la Histoire économique et sociale du XXe siècle (2002, 20062) – una raccolta di saggi di vari autori, curata da Jean-François Muracciole, dell’Università di Montpellier –, riferendosi alla situazione italiana nel secondo dopoguerra sottolinea il pragmatismo che accomunò i protagonisti del processo di ricostruzione, e si sofferma in particolare sulle figure di Luigi Einaudi – promotore nel 1947 di un’importante riforma monetaria – e di Enrico Mattei – che tra il 1945 e il 1962 portò avanti strategie industriali e politiche spregiudicate e innovative.

Negli Stati Uniti, Iván Tibor Berend – direttore del Center for European and Eurasian studies nella facoltà di Storia della UCLA (University of California, Los Angeles) –, nel suo libro An economic history of twentieth-century Europe: economic regimes from laissez-faire to globalization (2006) individua i settori trainanti dello sviluppo italiano nelle industrie che fabbricavano automobili, elettrodomestici, mobili e macchine per ufficio, tutti prodotti che in breve tempo divennero un punto di riferimento a livello mondiale sia per le innovative soluzioni tecnologiche sia per la qualità della progettazione e del lavoro di design. Ed è proprio lo studio dell’attività dei maestri italiani dell’interior e dell’industrial design, dei loro stili e delle tecniche da essi impiegate nel realizzare oggetti d’arredamento e macchine, il tema che maggiormente continua ad affascinare gli studenti dell’UCLA, ma anche di numerose università straniere, dall’Europa all’Asia.

Nelle pagine che seguono si analizzeranno alcuni aspetti del boom da un punto di vista statistico, politico e soprattutto sociale per rilanciare la riflessione su un periodo di particolare rilievo per il nostro Paese ed estremamente significativo al confronto con quello attuale, in cui l’Italia è colpita da una crisi economico-finanziaria che ha notevoli ripercussioni sui nostri stili di vita e sui nostri comportamenti sociali.

La crescita demografica e i diversi settori produttivi

Come primo elemento di analisi può essere preso in considerazione l’andamento demografico della popolazione italiana, che dopo la Seconda guerra mondiale conobbe un lungo periodo di crescita, almeno sino all’inizio degli anni Settanta, quando si verificò un assestamento.

La guerra aveva comportato un elevatissimo costo in vite umane, calcolato attorno alle 450.000 persone. A tale cifra, già di per sé considerevole, va aggiunto l’alto numero dei feriti, dei mutilati e dei bambini rimasti orfani. La situazione era stata ulteriormente aggravata dagli spostamenti forzati di popolazione che si erano verificati tra il 1945 e il 1950, coinvolgendo centinaia di migliaia di ex soldati – che rientravano in patria dai lager nazisti o dai campi di prigionia alleati – e decine di migliaia di civili – in fuga dai territori dei Balcani un tempo appartenenti all’Italia.

La fase dell’emergenza postbellica si concluse intorno al 1949, quando tutti gli indicatori economici si riportarono ai livelli d’anteguerra e in qualche caso addirittura li superarono.

Quegli stabilimenti industriali che erano stati lasciati indenni dai bombardamenti aerei delle ‘fortezze volanti’ alleate e dalle distruzioni e razzie operate dalle truppe tedesche, ripresero a lavorare a pieno ritmo sin dal 1945, pur se con macchinari ormai obsoleti e senza le ricche commesse militari su cui avevano potuto contare in precedenza. Ritornarono in piena attività anche gli istituti bancari, compresi quelli che avevano assecondato le politiche dei nazifascisti – per es., portando a termine la confisca dei beni degli italiani di religione ebraica. Ne furono creati anche di nuovi, come la Banca di credito finanziario, in seguito conosciuta come Mediobanca; primo direttore ne fu Enrico Cuccia (1907-2000), che negli ultimi venti mesi del conflitto aveva sostenuto la Resistenza e che in seguito, con la sua discreta presenza, avrebbe dominato la scena del capitalismo italiano.

Grazie a un’energica ricostruzione – sospinta dalla voglia di vivere che aveva ampiamente contagiato le persone uscite indenni dalla guerra –, nel 1950 venne registrato un primo significativo innalzamento dei valori demografici.

Il censimento del 1951 mostrò che la popolazione residente in Italia (nei confini dell’epoca) risultava di 47.516.000 unità; queste sarebbero salite nel 1961 a 50.624.000. La crescita demografica venne favorita da vari fattori, come la contrazione del tasso di mortalità – il rapporto tra le morti e la popolazione totale –, sceso dal 14,28‰ del 1937 al 9,72‰ del 1950, e dagli elevati livelli mantenuti dal tasso di natalità, che tra il 1949 e il 1967 oscillò costantemente tra il 18 e il 20‰ circa.

Nel biennio 1963-64 il numero dei matrimoni e quello delle nascite raggiunsero valori mai più toccati in seguito, segno di un’aspettativa di benessere e di un’inedita propensione a investire nel futuro.

Nel 1963 si celebrarono 420.300 matrimoni, con un tasso di nuzialità – il numero di matrimoni per 1000 abitanti residenti – dell’8,2‰. Solo nel 1947 i matrimoni erano stati più numerosi (438.000), ma si era trattato allora di una ripresa della nuzialità di carattere ‘fisiologico’, cioè tipica degli anni immediatamente successivi alla fine di una guerra.


Nel 1964 i nati vivi superarono il milione (precisamente furono 1.016.120), un fatto che non accadeva dal 1948 e che non sarebbe più accaduto in seguito. Nello stesso anno le morti furono 490.000 e, di conseguenza, si registrò la più alta eccedenza delle nascite sulle morti mai verificatasi nella storia italiana. Interessante è anche il dato relativo al tasso di fecondità totale – il numero medio di figli per donna in età feconda –, che misura il livello di riproduzione della popolazione: salì progressivamente, fino a raggiungere nel 1964 il valore di 2,70.

Passata la fase del boom, i dati sulla vitalità demografica cominciarono a scendere sempre più rapidamente, soprattutto dopo la crisi petrolifera del 1973. Eppure quella breve ‘fiammata’ bastò per cambiare profondamente i modi e i tempi della vita degli italiani, la cui speranza di vita alla nascita salì dai 63,7 anni del 1950 ai 69,0 del 1970 (un valore, quest’ultimo, da confrontare anche con i 42,6 anni del 1899). La speranza di vita è poi ulteriormente cresciuta, fino agli 81,86 anni del 2011 (ultima stima ufficiale disponibile); questo, unito alle pochissime nascite – a partire dalla metà degli anni Ottanta il tasso di fecondità totale è oscillato costantemente tra 1,2 e 1,4 circa, valori tra i più bassi del mondo –, ha contribuito a fare dell’Italia un Paese molto ‘vecchio’.

Per quanto riguarda la distribuzione degli occupati tra i diversi settori di attività economica, secondo il censimento generale della popolazione nel 1951 lavoravano nell’agricoltura 8,261 milioni di persone (pari al 42,2% del totale degli occupati), nell’industria 6,290 milioni (32,1%) e in «altre attività» – prevalentemente i servizi e la pubblica amministrazione – 5,026 milioni (25,7%). L’economia italiana sembrava dunque basarsi ancora prevalentemente sull’agricoltura, ma in realtà si trattava di una situazione in via di cambiamento, tanto che un decennio più tardi i rapporti risultavano completamente ribaltati.

Nel 1958, per la prima volta il numero degli addetti all’industria superò quello degli agricoltori, rendendo in tal modo evidente un processo – iniziato con l’industrializzazione di fine Ottocento – che consentì all’Italia di diventare un Paese prevalentemente industriale. Nel 1961 gli addetti all’agricoltura erano ormai scesi a 5,657 milioni (il 29% del totale), mentre gli addetti all’industria erano saliti a 7,886 milioni (40,4%) e gli addetti ad altre attività a 5,976 milioni (30,6%). Prolungando l’analisi fino al 1971, si vede che rispetto a vent’anni prima gli occupati in agricoltura erano scesi di oltre il 60% (da 8,261 milioni a 3,243).

Con la crisi del mondo rurale si sgretolarono un sistema produttivo e un sistema di relazioni sociali fondati sul predominio della forza lavoro umana, sul tempo scandito dalle stagioni e sul ruolo centrale della famiglia contadina. La polarizzazione delle proprietà agricole – iniziata negli anni in cui la Democrazia cristiana (DC) si presentava come un ‘partito contadino’, attento al territorio, che controllava attraverso organizzazioni collaterali come la Coldiretti – portò al progressivo crollo della mezzadria, che, secondo il censimento generale dell’agricoltura, nel 1961 riguardava ancora 3,125 milioni di ettari (l’11,8% del totale) e oltre 316.000 aziende (il 7,4%).

L’accelerazione del processo di abbandono della terra venne favorita dalla diffusione delle macchine e della chimica. I trattori – sempre più simili, come dimensioni e potenza dei motori, a quelli prodotti negli Stati Uniti – passarono dai 57.000 del 1950 ai 1.072.000 del 1980, e al contempo comparvero moderne macchine operatrici (mietitrebbie, motofalciatrici, motozappe); per la raccolta dei cereali, se nel 1950 erano necessarie trenta ore di lavoro per ogni quintale di prodotto, nel 1980 bastavano appena trenta minuti (Leonardi, Cova, Galea 1997).

Contemporaneamente, l’impiego di concimi, antiparassitari e diserbanti – per lo più di produzione statunitense – consentì di raddoppiare e persino triplicare le rese dei prodotti agricoli.

Il boom economico in cifre

Il miracolo economico italiano appare ancora oggi un fenomeno di notevoli dimensioni, qualunque dato numerico si voglia prendere in considerazione.
Rilevante è il fatto che tra il 1951 e il 1963 il prodotto interno lordo (PIL) aumentò in media del 5,9% annuo (con un picco dell’8,3% nel 1961). Grazie a tale accelerazione, l’Italia riuscì a superare nazioni europee come i Paesi Bassi (che nello stesso periodo conobbero un tasso medio del 4,9%), la vicina Francia (4,4%) e persino la Gran Bretagna (2,6%).

Nel medesimo lasso di tempo, il reddito nazionale lordo italiano passò da 14.900 miliardi di lire a 31.261, mentre gli investimenti lordi salirono da 2300 miliardi a 7700. Significativo appare l’andamento dei consumi privati che, se tra il 1950 e il 1953 erano stati in media ogni anno di 10.380 miliardi, in seguito crebbero fino ad arrivare nel 1963 a 20.500 miliardi, segno che in poco più di un decennio gli italiani avevano raddoppiato la spesa, soprattutto per spostarsi.

Offline Vicus

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Re:Il miracolo economico italiano
« Risposta #1 il: Dicembre 19, 2016, 23:15:08 pm »
Bisognerebbe prendere esempio per riprodurre questa situazione favorevole.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Sardus_Pater

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Re:Il miracolo economico italiano
« Risposta #2 il: Dicembre 19, 2016, 23:33:29 pm »
Son cambiati i tempi ed è cambiato il contesto internazionale. Con la globalizzazione certe occasioni non saranno più presentabili.
Il femminismo è l'oppio delle donne.

Offline Vicus

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Re:Il miracolo economico italiano
« Risposta #3 il: Dicembre 20, 2016, 00:58:25 am »
Son cambiati i tempi ed è cambiato il contesto internazionale. Con la globalizzazione certe occasioni non saranno più presentabili.
L'elemento-chiave è proprio la globalizzazione: dove sta scritto che sia irreversibile, o meglio che sia questa l'unica globalizzazione possibile?
L'iper-apertura globale (commercio, esseri umani) è senz'altro un fattore destabilizzante. Se vogliamo evitare la dissoluzione pura e semplice della nostra società, dobbiamo essere capaci di mettere in piedi dei meccanismi di chiusura a diversi livelli. Data la connotazione negativa che non a caso ha oggi questa parola, si potrebbe parlare di "delimitazione/tutela del territorio" (che altrimenti non sarebbe territorio ma solo zona di attraversamento, terra di nessuno). È questa la sfida imprescindibile che ci attende.
« Ultima modifica: Dicembre 20, 2016, 12:17:48 pm da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline freethinker

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Re:Il miracolo economico italiano
« Risposta #4 il: Dicembre 20, 2016, 11:04:09 am »
L'elemento-chiave è la proprio globalizzazione: dove sta scritto che sia irreversibile, o meglio che sia questa l'unica globalizzazione possibile?
L'iper-apertura globale (commercio, esseri umani) è senz'altro un fattore destabilizzante. Se vogliamo evitare la dissoluzione pura e semplice della nostra società, dobbiamo essere capaci di mettere in piedi dei meccanismi di chiusura a diversi livelli. Data la connotazione negativa che non a caso ha oggi questa parola, si potrebbe parlare di "delimitazione/tutela del territorio" (che altrimenti non sarebbe territorio ma solo zona di attraversamento, terra di nessuno). È questa la sfida imprescindibile che ci attende.
Ben detto Vicus, da scolpire nella pietra!
Those who would give up essential liberty to purchase a little temporary safety deserve neither liberty nor safety.
Benjamin Franklin, Historical Review of Pennsylvania, 1759

Offline Vicus

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Re:Il miracolo economico italiano
« Risposta #5 il: Dicembre 20, 2016, 11:57:59 am »
 :drinks:
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Sardus_Pater

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Re:Il miracolo economico italiano
« Risposta #6 il: Dicembre 20, 2016, 21:05:30 pm »
Non posso che concordare con te.
Il femminismo è l'oppio delle donne.