Autore Topic: Pensioni greche  (Letto 4275 volte)

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Online Frank

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Pensioni greche
« il: Gennaio 08, 2017, 19:21:02 pm »
http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2015/06/24/finalmente-tutto-quello-che-avreste-voluto-sapere-sulle-pensioni-greche/

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Finalmente, tutto quello che avreste voluto sapere sulle pensioni greche
scritto da Alberto Annicchiarico il 24 Giugno 2015
Draghi e gnomi

Pubblichiamo un post dal blog LOLGreece, scritto dal blogger e analista finanziario Emmanuel Schizas.

L’ALTRA VERITA’ SULLE PENSIONI IN GRECIA
di Manos Schizas

Si è fatto e si fa un gran parlare del ruolo della riforma delle pensioni nel rettilineo finale dei nostri negoziati con le istituzioni-che-non-si-chiamano-più-troika. Ma la cosa sorprendente è che la discussione si è concentrata sulle tattiche negoziali invece che sulla sostanza, vale a dire la praticabilità del sistema pensionistico greco. In questo post cercherò di fare un po’ di chiarezza sugli aspetti meno trasparenti di questo dibattito.

È necessario cominciare dal grafico interattivo (che si può vedere nella versione originale), basato su dati Eurostat, che raffigura tutte le fonti di entrata degli istituti previdenziali greci dal 2006 al 2014. Ogni area rettangolare è proporzionale alla quantità di denaro che rappresenta e offre una panoramica intuitiva delle dipendenze del nostro sistema di pensioni e indennità.

L’indicazione fondamentale che si ricava da questo grafico è l’enorme dipendenza degli istituti previdenziali dai sussidi, sia sotto forma di introiti fiscali specificamente destinati alle pensioni, sia sotto forma di «rabbocchi» diretti dalle casse dello Stato. Come si vede, la somma dei contributi versati da lavoratori e datori di lavoro agli istituti previdenziali, e il reddito derivante dagli investimenti effettuati dagli istituti (che include plusvalenze, interessi sulle obbligazioni e sui depositi e rendite fondiarie), nel 2014 ammontava ad appena il 57 per cento delle entrate.

Si potrebbe considerare il dato semplicemente come un’aberrazione provocata dalla crisi (dopo tutto l’occupazione è quasi ai minimi storici). Ma anche negli anni della crescita (il 2007) questa percentuale aveva raggiunto al massimo il 65 per cento. Per dirla in parole semplici, gli istituti previdenziali greci non sono mai stati in grado di finanziarsi da soli, e la previdenza così come la conosciamo (perfino nell’epoca dell’austerità) cesserebbe di esistere senza i trasferimenti integrativi del Governo.

Questo «sussidio di sopravvivenza» ammonta a 13 miliardi di euro l’anno, una cifra equivalente al 14-15 per cento delle entrate complessive del Governo di Atene. Alla data del 2014 questi trasferimenti superavano del 6 per cento la media 2006-2008, per compensare il calo del 23 per cento dei contributi, il calo del 74 per cento degli introiti fiscali destinati alla previdenza e il calo dell’81 per cento del reddito da investimenti degli istituti previdenziali. Complessivamente, gli afflussi di denaro verso gli istituti previdenziali sono scesi del 18 per cento.

LA PREVIDENZA E’ SOSTENIBILE?
Potrà sembrare un po’ ridondante porre una domanda del genere quando gli istituti previdenziali per quasi metà delle loro entrate dipendono dai trasferimenti integrativi dello Stato, ma margini di dibattito esistono. Il nuovo Governo recentemente ha sconfessato tutti gli studi attuariali degli ultimi anni, sostenendo che non hanno tenuto conto delle disponibilità (non finanziarie) degli istituti. Per una volta hanno ragione: la metodologia di questi rapporti non prevede di fare ipotesi di alcun genere sulla redditività delle attività (non finanziarie). Si limita a mettere a confronto il valore attualizzato degli afflussi e deflussi previsti. Ma come dimostrerò, anche mettendo nel conto queste attività non cambia praticamente nulla.

In giro esistono dati piuttosto attendibili sul patrimonio degli istituti previdenziali, perciò lo si può verificare facilmente.

Il bilancio finanziario degli istituti lo trovate qui. Queste attività, che ammontano complessivamente a circa 21 miliardi di euro, coprirebbero appena nove mesi di pensioni e indennità, anche nell’ipotesi inverosimile che fosse possibile liquidarle tutte insieme a prezzi non da saldo. Anche se gli istituti non avessero subito perdite per circa 10 miliardi di euro nel 2012, come conseguenza del coinvolgimento del settore privato nel salvataggio della Grecia (maggiori dettagli al riguardo li trovate qui), il totale ammonterebbe comunque soltanto a un anno di esborsi. Gli istituti previdenziali non potrebbero mai sperare di campare sui rendimenti di queste attività.

Le stime del valore delle attività finanziarie non sono ancora disponibili, anche se nel 2013 è stato effettuato un primo censimento nel quadro dell’implementazione della banca dati «Hestia», i cui risultati si possono consultare qui. Sfortunatamente, non si tratta di valori di mercato, ma di valori calcolati sulla base di un algoritmo, il sistema greco dei «valori oggettivi», che tutto sono fuorché oggettivi. In ogni caso, la base di calcolo dell’algoritmo dei valori oggettivi è stata da poco rivista – quando è stato intrapreso il censimento Hestia, nel luglio 2013 – per avvicinarsi maggiormente ai valori di mercato, e la stima delle attività non finanziarie degli istituti effettuata dal censimento ammonta ad appena 1,4 miliardi di euro. Questo significa che il valore dell’intero portafoglio di proprietà immobiliari degli istituti coprirebbe poco più di due settimane di esborsi per pensioni e indennità. E nemmeno sarebbe possibile coprire l’ammanco spremendo al massimo le attività e incrementando i rendimenti.

A metà 2013, soltanto il 31 per cento (per valore) delle proprietà che compongono l’impero immobiliare degli enti previdenziali era locato, e fruttava appena il 3,3 per cento del valore «oggettivo». Un decimo (sempre per valore) era sfitto e il resto (il 58 per cento) era utilizzato direttamente dagli istituti e più in generale dalle amministrazioni pubbliche. Il reddito da locazioni ammontava ad appena 20 milioni di euro, neanche un millesimo delle spese annue degli istituti.

Quanto alle attività finanziarie, qui si può vedere chiaramente che per tre quarti sono composte da titoli di Stato, liquidità e depositi, che rendono praticamente nulla. Questa distribuzione degli investimenti è dettata dalla legge e costa agli enti previdenziali 2-3 punti percentuali in meno di rendimento nei periodi di congiuntura positiva. Un sesto del bilancio finanziario degli enti è composto da crediti: contributi arretrati il cui rendimento, una volta che il debitore dichiara lo stato di insolvenza, sarà presumibilmente negativo.

Per farla breve, l’intero patrimonio degli enti previdenziali greci non basterebbe a pagare pensioni e indennità per dieci mesi, nemmeno se fosse possibile liquidarlo tutto senza trovarsi costretti a svenderlo. Io ho il massimo rispetto per i matematici che eseguono i calcoli attuariali, ma il loro lavoro in questo momento non dovrebbe essere discutere quale livello di pensioni sia sostenibile o quale dovrebbe essere l’età pensionabile, bensì quanta parte del bilancio dello Stato vada iniettata nelle casse degli istituti previdenziali per renderli passabilmente sostenibili, con risultati peraltro modesti.

NON SI POTREBBE FARE PAGARE DI PIU’ I DATORI DI LAVORO?
Uno dei miei lettori obbietta che la previdenza greca potrebbe essere più sostenibile se i datori di lavoro versassero contributi più alti (in effetti il governo Tsipras ha proposto una soluzione in questo senso, bocciata nelle controproposte dei creditori, ndr). Dopo tutto, la loro contribuzione previdenziale (il 4-5 per cento del Pil) è sempre leggermente più bassa di quella dei lavoratori, e molto più bassa (quasi la metà) della media Ue.

Migliorare il livello di contribuzione obbligatoria a carico dei datori di lavoro è un’ottima idea in linea di principio: tuttavia, come spiego qui, è molto meno frequente che i greci abbiano un datore di lavoro, rispetto agli altri europei: abbiamo il doppio dei lavoratori autonomi e il triplo dei «collaboratori familiari», in alcuni casi non retribuiti. Tenendo conto di questo, e dei fatto che i contributi a carico del datore di lavoro in Grecia sono in proporzione più bassi che in Europa, il problema attiene alla struttura del mercato del lavoro, più che alla mancanza di scrupoli dei datori di lavoro. I dati disponibili più recenti (2008 e 2012) sembrano indicare che i contributi previdenziali in Grecia non sono bassi in percentuale del costo complessivo della busta paga per il datore di lavoro rispetto ai parametri Ue (per esempio sono più alti che in Germania), e durante la crisi la loro incidenza sul costo del lavoro è cresciuta.

Insomma, aumentare la percentuale nominale o effettiva dei contributi a carico del datore di lavoro dal punto di vista finanziario farebbe poca differenza, a meno di non riuscire anche a) a incrementare i salari reali senza ridurre l’occupazione, e/o b) ristrutturare l’economia greca riducendo il peso delle piccole imprese e delle imprese a conduzione familiare in favore di aziende di più grandi dimensioni.

IL PARASTATO SOCIALE
Quando ho pubblicato inizialmente questo articolo, su Facebook ho ricevuto una risposta molto acuta, che riporto qui di seguito:

Si potrebbe dire che questi «rabbocchi» in favore degli enti previdenziali servano a compensare il livello tradizionalmente insufficiente o inesistente dei sussidi per l’alloggio, dei sussidi di disoccupazione, delle indennità di sussistenza per familiari a carico (di primo, secondo o terzo grado, forse addirittura amici). Questa spesa sociale viene invece delegata ai pensionati, che con la saggezza dell’età la distribuiscono come meglio credono all’interno della loro famiglia allargata: è un mezzo, per quanto inusuale, per sostenere la famiglia.

È verissimo. Come spiego qui, in Grecia il reddito familiare viene messo in comune più che in qualsiasi altro Paese d’Europa. Negli anni di congiuntura positiva, la gente cercava, e il Governo concedeva, indennità pensionistiche per compensare le carenze dello Stato sociale in altri ambiti: in pratica, il welfare veniva esternalizzato ai pensionati. Nella Grecia dell’austerity, lo stereotipo straziante è quello del nonno che abbassa lo sguardo pieno di vergogna perché non può permettersi neppure di comprare al nipotino una barretta di cioccolato. Ma in realtà il reddito da pensioni supportava un ventaglio più ampio di necessità di base, dall’istruzione fino alla spesa alimentare.

Ma questo «welfare delegato» ha mai funzionato? Questo post (e il grafico in alto) ne sintetizza gli esiti facendo ricorso a un’ampia gamma di statistiche sulla disuguaglianza per i greci in età lavorativa e in età pensionabile. Quanto a ridurre o contenere la disuguaglianza, lo Stato sociale greco pare aver sempre funzionato solo per i pensionati; ed è stato così anche nei primi anni della crisi.

Come ripeto continuamente, i dati più recenti, e anche quelli più vecchi, dimostrano che da anni il welfare greco, fra i paesi dell’Ocse, è quello meno efficace nel combattere la povertà (il parametro adottato è la riduzione del rischio povertà per ogni euro speso). E i «rabbocchi» per coprire il buco degli istituti previdenziali sono l’elemento centrale di questa inefficienza.

GENEROSO O INSIDIOSO?
È noto che le pensioni greche non sono particolarmente munifiche, quantomeno a livello pro capite. La Grecia ha molte più persone in età pensionabile (cioè oltre i 65 anni, secondo il parametro adottato dal Wall Street Journal) e dunque una spesa più alta a cui far fronte. Il Financial Times ha riportato recentemente le dichiarazioni del Governo di Atene secondo cui la pensione media è di 750 euro al mese, il che è più o meno vero per la pensione principale, ma trascura il fatto che un pensionato su due riceve più di una pensione (Si veda a pagina 6 di questo documento).

Come ho spiegato qui, in media i greci non vanno in pensione molto prima degli altri europei, ma di solito la loro vita lavorativa è più breve. Peggio ancora: una fetta considerevole della nostra forza lavoro, nelle grandi organizzazioni controllate dallo Stato, storicamente andava effettivamente in pensione molto presto, lasciando ai lavoratori autonomi l’onere di alzare l’età media di pensionamento.

Per verificare questa affermazione basta guardare (qui) le stime dettagliate della quota di popolazione inattiva in pensione per sesso e fascia d’età nei Paesi Ue, fornite da Eurostat. Qui Eurostat fornisce anche stime sulla quantità di popolazione inattiva. Moltiplicando le due cifre, si può ricavare la percentuale di pensionati che hanno diritto a un’indennità previdenziale di qualche genere, per fascia d’età.

Il risultato lascia a bocca aperta: poco meno di un greco su sei fra i 50 e i 59 anni percepisce una pensione, un rapporto quattro volte più alto della media Ue e inferiore solo a quello di Turchia, Croazia e Slovenia. Il valore totale delle pensioni destinate a persone fra i 50 e i 60 anni ammonta a quasi 300 milioni al mese, e gli assegni percepiti sono fra i più alti di tutte le fasce d’età (si veda a pagina 7 di questo documento).

Il problema non è solo che questi uomini (e molto spesso donne) percepiranno per anni e anni pensioni che non possono essersi guadagnati. È anche che sono intrappolati nell’inattività: una persona che lascia un lavoro impiegatizio per andare in pensione a 50 o 55 anni, quasi sicuramente non rientrerà nel mondo del lavoro, neanche se lo desidera.

E’ DAVVERO UNA PRIORITA’?
Il nostro ministro delle Finanze (Yanis Varoufakis, ndr) ha dichiarato pubblicamente che le pensioni non sono una priorità per le riforme; sostiene che spenderemmo meglio le nostre energie combattendo la corruzione, per esempio negli appalti pubblici. C’è un problema, però: la somma che lo Stato trasferisce agli enti previdenziali per rimpinguare le loro casse (13 miliardi di euro all’anno, come già appurato), è molto, molto più alta di tutti i soldi (appena 8 miliardi di euro nel 2014) che vengono spesi in appalti e forniture per la pubblica amministrazione, fino all’ultima graffetta.

La cifra, prima (fin dove sono disponibili i dati), era più alta. E mentre non tutti i soldi spesi per appalti e forniture sono spesi inutilmente o finiscono in tangenti, i soldi spesi per coprire il buco degli enti previdenziali vanno tutti alle persone sbagliate, visto che per esempio non possono accedervi i giovani disoccupati. Il risultato è che la Grecia, usando la spesa sociale, potrebbe tirar fuori dalla povertà più persone di quelle che tira fuori attualmente, ma sceglie di non farlo. Perché un Governo di sinistra non si preoccupa di questo?

COSA SUCCEDERA’ ORA?
È evidente che questo sistema necessita di una riforma radicale, di quelle che richiederebbero anni. A mio parere, le pensioni devono essere tagliate fino a livelli che gli enti previdenziali siano in grado di sostenere senza ulteriori trasferimenti (in altre parole, devono quasi essere dimezzate). Le funzioni di politica sociale che svolgono dovrebbero essere trasferite al loro ambito naturale, il bilancio dello Stato, sotto forma di un meccanismo di reddito minimo garantito tarato sull’effettiva disponibilità economica del ricevente. La Grecia aveva sperimentato un meccanismo di questo tipo, su insistenza della Troika, nel 2014. Il Fmi lo aveva proposto nel marzo del 2012 e Syriza, che oggi è al Governo, nel giugno di quello stesso anno aveva appoggiato la proposta sostenendo che si trattava di un problema urgentissimo, salvo poi liquidare con disprezzo il meccanismo sperimentale introdotto nel 2014 definendolo «briciole di carità pubblica», salvo dopo ancora reintrodurre nella sua retorica un riferimento nominale a un «reddito di base», nel febbraio di quest’anno.

La seconda parte della riforma che sarebbe necessaria consiste nel garantire agli enti previdenziali una fonte adeguata di reddito da investimenti. Il «programma di Salonicco» di Syriza proponeva di trasferire una parte delle proprietà immobiliari dello Stato agli istituti previdenziali. È un’idea più che benvenuta, ma con un valore di circa 100 miliardi di euro secondo le stime più recenti (2012), e anche ipotizzando che tutte le proprietà, fino all’ultima, possano essere locate allo stesso rendimento nominale del 3,3 per cento a cui sono locate le proprietà già nella disponibilità degli istituti, l’intero patrimonio non finanziario dello Stato greco garantirebbe agli enti previdenziali un’ancora di salvezza di appena 3,3 miliardi di euro l’anno, un quinto di quello che serve per sostituire i trasferimenti integrativi attualmente erogati dallo Stato.

Pertanto, con i tassi di interesse che si prevede resteranno bassi per un po’, è assolutamente necessario prendere in considerazione l’idea di consentire agli istituti di investire una quota maggiore del loro patrimonio in attività che non siano obbligazioni e depositi. Il mercato azionario greco è volatile e gli investimenti degli enti previdenziali provocherebbero spostamenti eccessivi; ma le azioni dei mercati esteri e le obbligazioni dei mercati emergenti potrebbero garantire rendimenti e contemporaneamente spezzare l’anello di retroazione fra lo stato dell’economia greca e il rendimento delle attività detenute dagli enti previdenziali, che in un mondo perfetto dovrebbe essere anticiclico.

La terza parte della riforma, di cui nessuno ha mai parlato in tutti questi anni, è riconfigurare lo Stato sociale greco per dare riconoscimento formale al fatto che da noi l’unità di riferimento per la gestione di patrimoni e bilanci è la famiglia (allargata), e dunque applicare soglie di esenzione fiscale al reddito familiare e non al reddito individuale, o tenere conto dell’uso comune di un immobile e del debito comune nella tassazione della ricchezza. Questo potrebbe consentire alle famiglie, per esempio, di detrarre le pendenze verso banche e aziende di erogazione di servizi pubblici dalle tasse immobiliari.

L’ultima parte consiste nel garantire assistenza alle persone intrappolate nell’inattività per effetto di un pensionamento anticipato. Anche se non ritengo che queste persone siano realmente vittime del sistema, va detto che spesso sono state invogliate ad andare in pensione con incentivi, come politica deliberata dello Stato; e in ogni caso non sono comunque più in grado di guadagnarsi da vivere, perciò, a meno di non ammazzarle a pistolettate, sono a carico dello Stato. Un reddito minimo garantito tarato sull’effettiva disponibilità economica del ricevente affronterebbe in parte il problema finanziario di questi individui, ma non è detto che sia l’unico problema sul tappeto.

Nessuna di queste cose può essere fatta in tempi rapidi o in modo indolore. Le istituzioni devono essere disposte ad aspettare, e possibilmente anche a sostenere alcuni dei costi di transizione, inclusi gli studi attuariali, la progettazione dei sistemi e la loro implementazione. Ma la situazione in cui ci troviamo è tale che nessuno si fida di concedere al Governo greco tempo o denaro, a meno di non vincolarlo alle condizioni di un programma di salvataggio. Neanch’io mi fido di loro. Un programma a lungo termine, con in prospettiva la carota di un alleggerimento del debito, potrebbe fare allo scopo; ma le cose non stanno andando in questa direzione.

In un modo o nell’altro, le pensioni rimarranno sempre tossiche, perché comportano un sussidio dagli attivi agli inattivi, e a volte da giovani più poveri ad anziani più benestanti. All’interno di uno Stato-nazione, giustifichiamo cose del genere facendo appello all’interesse egoistico delle persone e ai valori della famiglia (allargata), ed enfatizzando gli sforzi delle generazioni passate. Varcato il confine nazionale, nessuna di queste cose può funzionare.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

Offline Vicus

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Re:Pensioni greche
« Risposta #1 il: Gennaio 08, 2017, 19:40:41 pm »
Molti danno per acquisito che non riceveranno mai la pensione :lol:
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Frank

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Re:Pensioni greche
« Risposta #2 il: Gennaio 08, 2017, 23:55:21 pm »
Molti danno per acquisito che non riceveranno mai la pensione :lol:

Di certo anch'io, al pari di altri milioni di persone, riceverò una pensione da fame.

Calcola che tra non molti anni avranno problemi anche i pensionati tedeschi.
http://www.linkiesta.it/it/article/2012/09/06/bluff-germania-i-pensionati-avranno-assegni-da-fame/9119/

Citazione
Bluff Germania? I pensionati avranno assegni da fame
Il modello tedesco scopre via via le proprie magagne. A preoccupare ora sono le pensioni e a lanciare l'allarme è il governo stesso: a partire dal 2030 chi avrà lavorato per ben 35 anni con uno stipendio medio di 2.500 euro lordi, si vedrà riconosciuta una pensione di appena 688 euro al mese – es...
di Giovanni Del Re
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6 Settembre 2012 - 14:30

In Germania scatta l’allarme povertà per gli anziani. Colpa di pensioni sempre più basse, complice le riforme delle pensioni ma anche i salari in discesa, un'altra tessera nel mosaico del “modello tedesco”. Se già uno studio Onu di alcuni mesi fa ha rivelato come Berlino abbia rilanciato l’economia negli ultimi anni a spese dei vicini, soprattutto abbassando i salari a vantaggio dell’export e a svantaggio dei consumi interni, ora è lo stesso ministro del Lavoro, Ursula Von der Leyen, della Cdu come il cancelliere Angela Merkel, a lanciare l’allarme pensioni. «In gioco – scrive in una missiva inviata ai giovani del gruppo Cdu al Bundestag, rivelata dal settimanale Bild am Sonntag – è né più né meno la legittimità del nostro sistema pensionistico per le giovani generazioni».

Secondo i calcoli del suo ministero, chi ha guadagnato nella sua vita meno di 3.000 euro lordi al mese rischia la povertà, e questo a fronte di una lunghissima vita lavorativa. Stando ai dati diffusi da Von der Layen il quadro è desolante: a partire dal 2030 chi avrà lavorato per ben 35 anni con uno stipendio medio di 2.500 euro lordi, si vedrà riconosciuta una pensione di appena 688 euro al mese– esattamente alla soglia del minimo legale di sussistenza. Chi è arrivato a 2.900 euro lordi, comunque si fermerà a 798 euro. Peggio ancora per chi, come ormai sempre più accade, lavora nei servizi (settore in pieno boom per il quale non esiste un salario minimo come invece in altri comparti), con stipendi anche di 7-800 euro al mese: chi, per esempio, ha guadagnato in media 1.900 euro lordi, nel 2030, e dopo 35 anni di lavoro, si ritroverà con una pensione di 523 euro. Se sarà riuscito ad arrivare a 40 anni di contributi, non supererà comunque i 597,71 euro, comunque al di sotto del minimo di sussistenza. Colpiti da questo drastico crollo delle pensioni saranno milioni di persone, basti dire che secondo l’ufficio statistico federale nel 2010 più di un terzo dei lavoratori in Germania (oltre 10 milioni) avevano stipendi inferiori ai 2.500 euro lordi. I tedeschi, non a caso, sono spaventati, secondo un recente sondaggio pubblicato dalla Bild il 60% ha paura della povertà in vecchiaia, solo il 39% si mostra tranquillo.

Un quadro frutto, oltre che della diffusione di lavori pagati male o malissimo e della cosiddetta “moderazione salariale” (stipendi fermi da oltre 10 anni), anche e soprattutto delle riforme pensionistiche attuate da vari governi a partire dagli anni Ottanta, che hanno portato all’abbassamento progressivo dell’importo della pensione (al netto di sgravi fiscali ed eventuali sussidi aggiuntivi) da circa il 65% dello stipendio medio degli anni Ottanta al 51% attuale fino al 43% nel 2030. Questo, oltretutto, a fronte di 45 anni di lavoro, cifra ormai raramente raggiunta. La ragione delle riforme è chiara: per via dello sviluppo demografico tedesco, se nel 1970 per ogni pensionato c’erano 4,3 lavoratori a versare contributi, nel 2010 siamo scesi a 3 e, se non ci sarà un’inversione di tendenza, ne 2030 ogni pensionato sarà “sulle spalle” di solo due lavoratori.

Certo, per chi scende sotto i limite legale di sussistenza lo Stato potrà intervenire con sussidi (attualmente 374 euro al mese), come già fa al momento per 400.000 pensionati. I numeri però – avvertono il ministero del Lavoro e vari istituti di ricerca - sono destinati a esplodere: secondo un documento interno del ministero rivelato dal quotidiano Abendblatt, nel 2025 la cifra dei pensionati sotto il minimo legale di sussistenza sarà più che raddoppiata (934.000) per arrivare addirittura a 1,35 milioni nel 2030. Costi giganteschi per lo Stato, non a caso vari economisti vedono profilarsi per la Germania una bomba a orologeria sul debito pubblico.

Certo, alcuni tecnici e politici hanno accusato la Van der Layen di “terrorismo psicologico” e di dati incompleti (in moltissimi casi esistono in effetti forme di previdenza integrativa a livello aziendale più varie forme di sgravi fiscali), il problema però resta tutto. «E’ chiaro da tempo – ha dichiarato recentemente Klaus Zimmermann, presidente del Diw (Istituto tedesco per la ricerca economica, uno dei grandi think-tank che realizzano rapporti per il governo federale) – che si potranno evitare riduzioni delle pensioni o drastici aumenti dei contributi solo se l’età pensionabile sarà elevata a 70 anni entro il 2030». L’età pensionabile è stata già elevata a 67 anni, ma il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble ipotizza di aumentarla ancora, anche se per ora la cancelliera Angela Merkel non ci sente. «Dico un chiaro no – ha affermato giorni fa parlando al Dgb (la Federazione dei sindacati tedeschi) – a qualsiasi discussione che si occupi di una vita lavorativa al di là dei 67 anni. Con noi non ci sarà». Non stupisce, visto che siamo ormai in incipiente campagna elettorale in vista delle elezioni dell’autunno 2013.

Von der Layen preme per una integrazione per le pensioni più basse, a fronte di 40 anni di contributi al sistema sanitario nazionale e 30 in quello pensionistico. Secondo il modello del ministro, si riporterebbero le pensioni più basse a 850 euro – poco, ma almeno dignitoso. Eppure la Von der Layen si è trovata di fronte a un fuoco di sbarramento. Non solo di vari politici e tecnici – che parlano di “riformicchia inutile” - ma anche dei sindacati che chiedono invece semplicemente pensioni più alte per tutti, un sogno purtroppo non solo irrealizzabile, ma anche pericoloso. Soprattutto, però, una situazione che spinge a interrogarsi sempre più sul modello tedesco di rilancio economico. L’effetto pensioni da fame non farà che aumentare un fenomeno in cui, stando all’Ocse, la Germania primeggia: il crescente divario fra ricchi e poveri: il 10% più ricco nel 2008 guadagnava in media 8 volte il 10% più povero, contro un rapporto 6 a 1 negli anni Novanta. Titolo del rapporto Ocse (2011) sulla Germania: Divided we stand, why inegality keeps rising. Quasi un monito.


Online Frank

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Re:Pensioni greche
« Risposta #3 il: Gennaio 09, 2017, 00:18:53 am »
In merito aggiungo che se potessi mi farei una pensione integrativa; ma siccome campo di stipendio, vivo in affitto, devo pagare le bollette, le rate ad una finanziaria per un altro anno, etc, la suddetta pensione integrativa posso solo sognarmela.
Conseguenzialmente il mio futuro da povero è sempre più segnato.

Spesso, in passato, ho pure pensato di fare "il puttano"...  :alien: ma siccome sono attratto solo da donne giovani o relativamente giovani e possibilmente non cesse, che di sicuro non verrebbero a pagare me (anche perché le belle fiche non hanno certamente bisogno di pagare un uomo), ho lasciato perdere in partenza.  :sleep:

Offline Vicus

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Re:Pensioni greche
« Risposta #4 il: Gennaio 09, 2017, 00:27:51 am »
Meglio stare lontani dalle pensioni integrative, i fondi pensione privati finiscono tutti nel buco nero della speculazione - e anche sulle pensioni pubbliche non c'è troppo da contarci, anche lo Stato investe in derivati ed è prossimo alla bancarotta.
Per quel che mi riguarda ripongo tutte le mie speranze in una pensione minima e soprattutto nella possibilità di lavorare fino a tarda età.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Frank

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Re:Pensioni greche
« Risposta #5 il: Gennaio 09, 2017, 00:35:30 am »
Per quel che mi riguarda ripongo tutte le mie speranze in una pensione minima e soprattutto nella possibilità di lavorare fino a tarda età.

Io se potessi smetterei oggi di lavorare.
Ormai ho la nausea dei cantieri, del freddo, del caldo, delle incazzature quotidiane e del lavoro in generale.
Poi sì, è chiaro che le mie son solo parole, ché non cambiano di una virgola la situazione, poiché tra poche ore dovrò recarmi nuovamente in cantiere.

Notte, Vicus.

Offline TheDarkSider

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Re:Pensioni greche
« Risposta #6 il: Gennaio 09, 2017, 17:44:39 pm »
Anche il mio piano e' avere una pensione minima, integrata da reddito immobiliare (conto entro i 60anni di avere non solo una casa di proprieta' in Thailandia, ma anche due o tre mono o bilocali da affittare) e dal reddito della moglie cui piace cucinare e vendere cibo da strada part-time.
Ma non pensate che sia ricco: a seconda delle esigenze, una casa in Thailandia si compra ancora con 50-60mila euro, e un monolocale parte dai 10mila euro*.

Dopo i 60, se tutto va secondo i piani, vivro' 6 mesi in Italia e 6 mesi in Thailandia. I 6 mesi in Italia servono per avere la pensione (anche sociale, se mancassero i contributi) e per non perdere il diritto all'assistenza sanitaria.
E anche per arrotondare con qualche lavoretto, se del caso.



*per avere questi prezzi bisogna sapere dove e come cercare, e bisogna avere la moglie Thai fidata che compra a suo nome perche' agli stranieri fanno sempre prezzi piu' alti e mettono parecchi ostacoli burocratici
"Le donne occidentali sono più buone e tolleranti con gli immigrati islamici che le stuprano che con i loro mariti."
Una donna marocchina

Offline ReYkY

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Re:Pensioni greche
« Risposta #7 il: Gennaio 09, 2017, 17:56:04 pm »
Non per gufare... ma secondo me la pensione minima alla prossima sforbiciata (del Monti di turno) la levano... più che sicuro...

Personalmente a 30 anni, avendo lavorato sempre in nero, alla pensione manco ci penso...


Offline giuspal

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Re:Pensioni greche
« Risposta #8 il: Gennaio 09, 2017, 19:16:46 pm »
Molti danno per acquisito che non riceveranno mai la pensione :lol:

Io sicuramente non la riceverò in quanto:

1) Nonostante avessi iniziato a lavorare all'età di 14 anni (lo ammetto, non sempre mi hanno assunto subito) ho accumulato solo 20 anni di contributi

2) Oggi ho 48 anni e sono disoccupato dal 01/01/2016 al termine di un contratto d'agenzia prorogato 5 volte per un totale di 21 mesi di lavoro, poi il nulla

3) Per andare in pensione dovrei trovare seduta stante un lavoro che mi consenta di maturare senza interruzioni i 21 o 22 anni di contributi mancanti

4) In caso si realizzasse il punto 3 arriverei alla pensione a 70 anni.
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Offline TheDarkSider

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Re:Pensioni greche
« Risposta #9 il: Gennaio 09, 2017, 20:01:20 pm »
Io sicuramente non la riceverò in quanto:

1) Nonostante avessi iniziato a lavorare all'età di 14 anni (lo ammetto, non sempre mi hanno assunto subito) ho accumulato solo 20 anni di contributi

2) Oggi ho 48 anni e sono disoccupato dal 01/01/2016 al termine di un contratto d'agenzia prorogato 5 volte per un totale di 21 mesi di lavoro, poi il nulla

3) Per andare in pensione dovrei trovare seduta stante un lavoro che mi consenta di maturare senza interruzioni i 21 o 22 anni di contributi mancanti

4) In caso si realizzasse il punto 3 arriverei alla pensione a 70 anni.
Punto 3):
informati meglio, a me risulta che 20 anni di contributi effettivi bastano per maturare il diritto alla pensione contributiva secondo la legge Fornero.
Certo, poi il problema e' che:
1) il diritto alla pensione scatta a un'eta' soggetta a un costante adeguamento, e che si prevede sia intorno ai 70 anni fra 20 anni (come giustamente dici nel punto 4)
2) con soli 20 anni di contributi, rischi che la tua pensione sia piu' bassa della pensione minima o addirittura della pensone sociale, quindi poi dovrai dipendere comunque dal welfare per avere una integrazione dell'assegno
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Re:Pensioni greche
« Risposta #10 il: Gennaio 09, 2017, 20:27:24 pm »
2) Oggi ho 48 anni e sono disoccupato dal 01/01/2016 al termine di un contratto d'agenzia prorogato 5 volte per un totale di 21 mesi di lavoro, poi il nulla

Giuspal, quindi in questo momento prendi l'assegno di disoccupazione (Naspi) ?


Offline giuspal

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Re:Pensioni greche
« Risposta #11 il: Gennaio 09, 2017, 21:19:11 pm »
Giuspal, quindi in questo momento prendi l'assegno di disoccupazione (Naspi) ?

Ho esaurito la Naspi proprio a Dicembre 2016
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Offline Reanimator

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Re:Pensioni greche
« Risposta #12 il: Gennaio 09, 2017, 21:55:10 pm »
Questo mio commento sarà molto crudo e molti mi criticheranno e li capisco,però mi sento in dovere di farlo.
Ha ragione l'articolo,le pensioni purtroppo ora come ora sono deleterie e lo saranno anche in futuro perchè "purtroppo" la durata della vita è aumentata di molto perchè la scienza è avanzata,si muore di meno per le malattie mentre prima la gente moriva prima e cosi le pensioni duravano di meno.
Un altro fattore negativo dell'allungamento della vita è il fatto che la gente deve andare in pensione dopo e questo è un blocco per il mercato del lavoro,perchè dato che quei posti tardano ad essere liberati i giovani tardano anch'essi ad entrare nel mondo del lavoro.
La mia soluzione ideale purtroppo è drastica:ridurre la vita delle persona tassando fortemente la sanità per gli over[una età x],facendoli però andare in pensione prima e con una pensione leggermente più alta.E' una soluzione drastica e disumana da un certo punto di vista,però cosi facendo si permette a più giovani di iniziare a lavorare prima e a vivere prima.
So che è una soluzione drastica e da un certo punto di vista disumana però quali altre soluzioni abbiamo?I privilegi dei poteri forti sono inattaccabili perchè hanno loro in mano il potere e dietro ci sono lobby delle banche e sono tutti attaccati alla poltrona e non c'è nessuno disposto a una rivoluzione armata,perchè come disse mio nonno"fino a quando dai loro il pane e un tetto non verranno a protestare",quindi le uniche soluzioni attuabili sono quelle sui deboli,ovvero il popolo e per me bisognerebbe sacrificare chi ha già vissuto la sua vita,non chi ancora non ha iniziato a viverla!
So che verò criticato per questa mia idea dato che molti di voi sono vicini all'eta della pensione,ma spero capiate e vediate la situazione da un punto di vista oggettivo.

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Re:Pensioni greche
« Risposta #13 il: Gennaio 09, 2017, 22:05:04 pm »
Ho esaurito la Naspi proprio a Dicembre 2016

Ma non dura due anni?

http://job.fanpage.it/naspi-guida-completa/
Citazione
Naspi 2016 – GUIDA completa sull’indennità di disoccupazione
La Naspi 2016 è la nuova indennità di disoccupazione di durata fino a 24 mesi. Sostituisce l’Aspi e la Mini Aspi. Ecco la guida completa: a chi spetta la Naspi, quali sono i requisiti e come si calcolano le 13 settimane di contributi o i 30 giorni di lavoro, esempi di calcolo importo mensile Naspi, come fare domanda, la durata, la riduzione del 3%, la decorrenza, la decadenza, la sospensione in caso di nuovo lavoro autonomo o dipendente, di malattia o maternità, nonché tutte le informazioni da rispettare per avere il pagamento del nuovo assegno di disoccupazione.

continua su: http://job.fanpage.it/naspi-guida-completa/
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Offline giuspal

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Re:Pensioni greche
« Risposta #14 il: Gennaio 10, 2017, 07:24:23 am »
Ma non dura due anni?

Due anni è la durata massima.
Negli ultimi quattro anni ho lavorato solo 21 mesi da 01/04/2014 a 31/12/2015.
In precedenza ho percepito indennità di mobilità da Giugno 2011 a Giugno 2013.
Da qui ne risulta che la durata riconosciuta per la mia Naspi è stata di 333 giorni.
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