Considerarlo nullità mi sembra prematuro, deve ancora iniziare a governare, un politico si giudica alla prova dei fatti!
Intanto ha battuto la Le Pen in maniera schiacciante, quindi, perlomeno in campagna elettorale, tanto inetto non è stato(o forse è la Le Pen ad esser particolarmente scarsa)
Tornando al discorso principale, per farti capire quanto è sciocco giudicare un politico dalla vita privata, ti faccio un esempio.
Mettiamo che tu sia un ammiratore di Putin(è solo un esempio, non importa se lo sei davvero, o no)
Domani esce un filmino hot, in cui si vede Putin che si fa cagare in bocca da una prostituta durante un festino privato.
Penso che siamo quasi tutti d'accordo che la coprofagia faccia molto più schifo del fare sesso con una over 60! ok?
Cambierebbe qualcosa nella tua opinione politica su Putin, il fatto di scoprire questa sua perversione? sarebbe un politico peggiore?
Naturalmente tu esalti Macron e ti dichiari antifemminista, giusto?
Ecco cosa dice il tuo amato Macron...
https://www.vanityfair.it/news/politica/2017/05/02/emmanuel-macron-donne-moglie-presidenzialiUna cosa almeno accomuna Emmanuel Macron alla sua sfidante Marine Le Pen e agli altri pretendenti alla Presidenza francese eliminati nel primo turno elettorale: tutti hanno celebrato, quest’anno, la Festa della donna. L’8 marzo, François Fillon e Benoît Hamon hanno twittato vibranti appelli all’uguaglianza; Nicolas Dupont-Aignan si è impegnato a combattere la misoginia; Jean-Luc Mélenchon ha incontrato un gruppo di pugilesse della periferia di Marsiglia. E Macron ha fatto un bagno di folla femminile al Théâtre Antoine.
Nella sala parigina, proprietà di due suoi amici, ha lasciato la parola ai suoi compagni di lista prima di prendere il microfono.
«Sono femminista». Gli occhi azzurri accarezzano il pubblico.
«Lo dico da pentito». Pausa a effetto.
«Sono femminista perché credo al confronto con chi è diverso da sé. E per un uomo, il diverso da sé è prima di tutto la donna». Promessa solenne di rispettare i punti «femministi» del programma elettorale: maternità pagata per tutte (stipendiate e no), lotta contro la violenza di genere, controlli rigorosi sulle discriminazioni salariali, parità a tutti i livelli, amministrazione pubblica compresa – perché non una donna Primo ministro, per dire? «L’emancipazione è en marche», scandisce, usando lo slogan che dà nome al suo movimento. Poi, la mano tesa verso la prima fila: «Vieni, Brigitte. Sì, vieni!». La moglie scuote le chiome bionde per rispondere no, ma poi si alza sulle gambe snelle da cavalletta. «Bibi», come la chiamano gli amici, sembra sciallissima nel suo giubbotto di denim, ma sul palco si tormenta la frangetta con le mani, a disagio sotto i riflettori: è la sua prima comparsa sulla scena pubblica. «Si fa sempre finta che i candidati siano unità autonome che non condividono la vita con nessuno», continua Macron. «Ma se verrò eletto, lei avrà un posto e un ruolo. Non si nasconderà dietro un tweet, non si chiuderà in un appartamento». Stoccata acidissima contro Hollande, il Presidente che tre anni fa lo nominò ministro dell’Economia, sputtanato su Twitter dalla ex Valérie Trierweiler dopo che era stato beccato all’uscita del pied-à-terre dove frequentava di nascosto l’attrice Julie Gayet. Applausi scroscianti.
Due settimane più tardi ci riceve nel quartier generale della sua campagna presidenziale, una palazzina moderna in una via silenziosa del quindicesimo arrondissement. «Non era in programma che Brigitte salisse sul palco», ricorda, «però ho sentito che il pubblico lo desiderava». Ma la conversione al femminismo è sincera o dettata da un semplice calcolo elettorale? Per scoprirlo, siamo venuti qui a conoscere e interrogare le donne del suo team, che si muovono negli open space affollati di giovani volontari armati di MacBook. Lui, invece, ha un ufficio ampio e luminoso al sesto piano. Indossa una camicia celeste e un sorriso aperto. Alle sue spalle, una Marianne disegnata da Shepard Fairey, quello del famoso poster di Barack Obama con la scritta Hope.
«Sono un convertito tardivo al femminismo», mette le mani avanti.
«Ma come ogni convertito tardivo, sono determinato. Ho davvero voglia di cambiare le cose, di fare meglio». La sua addetta stampa Sibeth Ndiaye – figlia di dignitari senegalesi cresciuta dalla scuola politica del partito socialista, abituata a dargli del tu e a tirargli le orecchie quando serve – fa cenno di sì con la testa coperta di dreadlocks. «Sono cresciuto con figure femminili importanti», prosegue. «Mia nonna. Mia moglie che è la mia migliore amica. Mi sono sempre trovato a mio agio con l’intelligenza delle donne».
Nei fatti, in realtà, lo stato maggiore di Macron – tutto riunito qui, negli uffici del sesto piano, il sancta sanctorum dove si entra solo con un badge – è fatto quasi totalmente di uomini in grisaglia. Solo due assistenti donna, tra cui l’indispensabile e veterana Valérie Lelonge, e il capo di gabinetto Sophie Ferracci. Che a un curriculum prestigioso – laurea in business alla prestigiosa Grande école HEC, master in diritto fiscale – aggiunge il fatto di essere la moglie del professore di economia Marc Ferracci, migliore amico del candidato. «Siamo praticamente di famiglia», dice la bionda spumeggiante. «Marc ed Emmanuel si sono conosciuti sui banchi di Sciences Po, sono stati l’uno testimone di nozze dell’altro». Macron ha letto una poesia di Éluard nel 2005 al matrimonio di Sophie con Marc, che due anni dopo ha ricambiato il gesto di amicizia.
I Ferracci sono stati i primi a condividere il sogno presidenziale di Macron, la scelta di smarcarsi dal Partito Socialista e di fondare En Marche! Oggi Marc è il suo consigliere economico e Sophie ha il compito strategico di amministrare la sua agenda, tenere in riga l’entourage, anticipare i pericoli, gestire le gaffe. Come la discussa scelta di definire la colonizzazione dell’Algeria «un crimine contro l’umanità». «Ha un po’ esagerato», ammette Sophie, «ma si è preso la responsabilità delle sue parole. Al comizio successivo c’erano ad aspettarlo dei veterani dell’OAS (i paramilitari francesi che combattevano contro gli indipendentisti algerini, ndr) e lui, invece di evitarli o di annullare l’impegno, è andato da loro, ci ha discusso, si è spiegato. È coraggioso, Emmanuel. Sempre in prima linea». Come quando ha fatto infuriare le associazioni Lgbt per aver detto di «comprendere» la mobilitazione contro i matrimoni gay, e il giorno dopo è andato a parlarne nella redazione del mensile progressista Causette.
Nei due anni da ministro (si è dimesso l’estate scorsa per lanciare la campagna), il suo angelo custode era Anne Rubinstein, veterana socialista. «Tra noi l’intesa è stata immediata», racconta, quasi commossa, in un bistrot di rue de Vaugirard. «Emmanuel è sinceramente interessato agli altri. Ti dà la possibilità di essere te stesso, e con la sua intelligenza ti spinge a metterti in gioco. Questa cosa del femminismo però, a essere sinceri, non è che saltasse agli occhi. Non si poneva davvero il problema, soprattutto nel reclutare la squadra. A costo di fare la parte della rompiballe ufficiale, gliel’ho spesso fatto notare: non ti accorgi che intorno a te ci sono solo uomini?».
Nell’aprile del 2016 nasce En Marche!, ed è sempre lo stesso centrifugato di testosterone. «Emmanuel», lo martella Anne, «se lanci un movimento senza che le donne se ne accorgano, sei morto». Sei mesi più tardi gli manda qualche riga, l’embrione del futuro femminismo macroniano: «Non ci basta più che la classe politica si degni di rivolgersi a noi donne in modo condiscendente, quasi fossimo un pubblico diverso». Il candidato, grande produttore di sms, le risponde con entusiasmo: «Go go!». Ma c’è bisogno di ambasciatrici riconoscibili perché il messaggio passi, e Anne Rubinstein raccoglie a dicembre cento firme di donne più o meno famose: nascono così le marcheuses di cui oggi Macron è tanto orgoglioso. «Sono cresciuto professionalmente in ambienti molto misogini», ammette. «Le banche d’affari, l’Eliseo (prima di diventare ministro è stato sottosegretario alla Presidenza della Repubblica, ndr). Le donne erano pochissime: quelli sono mondi costruiti attorno al falso mito del superuomo che resta in ufficio fino a tardi. Ma una riunione dove ci sono donne ha molto più sapore».
Così, alla vigilia dei quarant’anni, Macron ha capito l’importanza politica del «secondo sesso». In parte, certo, per motivi di opportunità politica, e per evitare le sanzioni finanziarie che colpiscono i candidati meno attenti alle quote rosa.
«Bisogna promuovere le presenze femminili, farle crescere in cordata, passo dopo passo». Lui si è tenuto alla larga dalle primedonne alla Ségolène Royal, ma ha fatto una discreta incetta di candidate di tutto rispetto: due europarlamentari, l’ecologista Corinne Lepage e la centrista Sylvie Goulard (già collaboratrice di Prodi in Commissione europea), la deputata socialista Corinne Erhel, la moderata Anne-Marie Idrac, che ha avuto un ruolo fondamentale nell’alleanza tra Macron e il centrodestra di François Bayrou. A sinistra, un simile lavoro di tessitura è affidato alla sessantottenne Catherine Barbaroux, che molti indicano come possibile Primo ministro («Non esiste», si schermisce lei, «bisogna fare spazio ai giovani»).
E poi ci sono le macronnettes, una squadra di trentenni, da poco in politica, che Macron sta facendo emergere. Come Axelle Tessandier, che lo scorso 12 luglio, davanti a 3.500 persone riunite per un comizio alla Maison de la Mutualité, era «morta di fifa». Non aveva ancora aderito al movimento, ma uno dei giovani dell’ufficio stampa l’aveva contattata via social network. Questa brunetta trentacinquenne alla Sigourney Weaver aveva tutte le carte in regola: ex blogger, reduce da una startup di Silicon Valley. «A Emmanuel piaceva il fatto che fossi di nuovo in Francia, un “cervello ritornato”. Mi ha subito proposto di presentarlo in quel suo primo grande comizio. Il giorno fatidico, prima di salire sul palco, mi ha chiesto di recitargli il mio discorsino. E poi: “Perfetto, grazie di esserci”».
Da allora, Axelle è una figura importante nel movimento. Come Cécile Avia, 31 anni, avvocato d’affari, e Houda Khammari, elegante ingegnera di origini tunisine, responsabile dei comitati locali. Che si è fatta subito notare quando le telecamere della rete TF1 hanno inquadrato il suo volto sorridente dietro Macron durante il primo dibattito televisivo: «A volte mi fermano per strada, mi chiedono un selfie», arrossisce. Ma la vera star è l’ex pubblicitaria Marlène Schiappa, 34 anni, una specie di Esmeralda moderna – boccoli castani, grinta infernale –, militante per i diritti delle giovani mamme: sito web, libri, dibattiti, una petizione per rendere più trasparenti i meccanismi di assegnazione dei posti negli asili nido. Ha «arpionato» Macron mentre lui era in visita nel dipartimento della Sarthe. Gli ha allungato il suo primo libro (titolo eloquente, Massimo quattro ore di sonno), gli ha detto «Lo dia a sua moglie», e lui: «Veramente interessa anche a me». È grazie a lei se il candidato è ormai ferratissimo sul «soffitto della maternità» che blocca l’ascensore di carriera delle donne nel posto di lavoro, e sull’altro problema femminile dell’autocastrazione aziendale.
Di questi temi a volte Emmanuel parla, nei fine settimana a Le Touquet, sulla Manica, con Tiphaine Auzière, la trentenne figlia minore di Brigitte, che lavora come avvocato nella vicina Boulogne-sur-Mer e cresce due figli piccoli con il compagno. Tiphaine stava appena entrando nell’adolescenza quando Macron sconvolse la vita e il matrimonio della madre. «Ma si è inserito nella nostra famiglia in modo naturale, senza affrettare le cose», ci racconta. «Se rientravo troppo tardi, mi rimproverava ma con tenerezza: “Fai la brava, la mamma si preoccupa per te”. Le mie amiche lo trovavano bellissimo, lui neppure faceva caso a loro. Con mia madre sono “saldati”, come una persona sola. Abbiamo festeggiato insieme il mio diploma di maturità, e Emmanuel ha sempre seguito i miei studi: mi ha incoraggiato lui a fare l’esame per diventare avvocato, mi ha anche aiutato a preparare l’orale».
Non è riuscito a convincerla a sposarsi («Quando sarai Presidente», gli ha detto lei una volta scherzando, senza rendersi conto che la prospettiva non era così remota), in compenso le ha fatto aprire, nel suo paese di mille abitanti, un comitato locale del movimento. «Vede la differenza?», sottolinea Marlène Schiappa. «Quando il figlio di Sarkozy vuole debuttare in politica, lo mettono a capo della gestione commerciale di un polo commerciale come La Défense. Tiphaine comincia dal primo gradino della scala».
In squadra c’è anche un coach per preparare chi deve parlare in pubblico. Si chiama Sylvie Kohler, è regista teatrale per formazione e moglie di uno stretto collaboratore di Macron, «lavora sulle emozioni per liberare il corpo e la voce». Sembra abbia fatto miracoli per Axelle, Marlène e le altre. Non per il grande capo, che ha preferito allenare la voce con un baritono, Jean-Philippe Lafont. Lei non gliene vuole, e capisce: «Emmanuel e Brigitte hanno paura della parola coach. Partono dal sano principio dell’autenticità. Sono ossessionati dal bisogno di mantenersi naturali, di non diventare come gli altri».
È nato un nuovo homo politicus? Alcune sue collaboratrici lo definiscono «un Ufo»: uno sguardo incapace di equivoci, un vocabolario incapace di commenti sul fisico delle donne. «È il solo che non ci guardi tutte come potenziali prede», dice Sibeth Ndiaye che nel Partito Socialista ne ha conosciuti di predatori. Sentimenti condivisi da Aurore Bergé, che a 30 anni è scappata invece dal Partito Repubblicano, «inorridita» dal conservatorismo di Fillon e dalla sua posizione personale sull’aborto: «Emmanuel invece ha un rapporto sano con le donne».
Questione di generazione, certo, ma anche di temperamento. Per Macron, il desiderio di seduzione passa attraverso l’intelletto e trascende il genere o l’età. È così da sempre: da quando, bambino, scriveva poesie alla prima innamorata o, studente, ai bagordi alcolici preferiva le letture di filosofia. «Non ho mai amato i luoghi affollati», ci racconta, seduto nel suo ufficio. «Non vado in vacanza con gli amici: fondamentalmente, sono un solitario». Degli studi nel collegio gesuita della Providence, ad Amiens, gli restano un forte pudore e ottime maniere: si offre sempre di portare le valigie delle sue collaboratrici, non manca mai di ringraziarle quando le deve far lavorare nei fine settimana, e spesso chiama i loro mariti/compagni con una frase tipo «Mi rendo conto del sacrificio che chiedo alla vostra famiglia». «Nel nostro mondo», osserva Valérie Lelonge, «è rarissima questa gentilezza, questa attenzione per gli altri». «È il solo politico di questo livello che si sia mai offerto di andarmi a prendere una birra al bar del treno alta velocità», racconta Anne-Marie Idrac.
A commuovere Catherine Barbaroux, invece, sono le parole affettuosissime che Macron – totalmente silenzioso su sua madre – spende per la nonna «Manette», morta nel 2013, che con il suo passato di istitutrice gli ha trasmesso l’amore per la letteratura, e che si è presa cura di lui quando i genitori l’hanno mandato in esilio a Parigi, al Lycée Henri-IV, nella speranza di fargli dimenticare Brigitte. «Non passa un giorno senza che io pensi alla nonna e cerchi il suo sguardo», ha scritto l’anno scorso nell’autobiografia-manifesto Révolution. «Prima della pubblicazione», ricorda Catherine Barbaroux, «mi ha fatto leggere quei passi. Anche io sono nonna, e lui fa da nonno acquisito ai nipotini di Brigitte. Con lui, le barriere generazionali spariscono, si può parlare di tutto. Emmanuel è questo: apertura e delicatezza».
A parlare con le ragazze del team, si rischia l’eccesso di zuccheri. «Ma non siamo groupie», si difendono. E, messe alle strette, qualche difetto glielo trovano. Una pignoleria folle, e un tono sferzante, violento addirittura, quando la pressione monta. Ma lo salva il senso dell’umorismo, la capacità di ridere di sé, della sua abitudine di mettersi a braccia conserte, della lunghezza eccessiva dei suoi discorsi. Pare che con Hollande, anche lui un buontempone, all’Eliseo scherzassero parecchio. «Con Emmanuel ci si prende parecchio in giro», conferma Axelle Tessandier. «Gli piacciono le barzellette e anche le critiche. Alla fine della fiera è un perfezionista, un artista, un ansioso».
C’è una domanda che fa regolarmente prima di salire su un palco: «Brigitte c’è?». Ufficialmente la signora non ha alcun ruolo, il suo nome non compare nell’organigramma di En Marche! Ma tutti sanno quanto è indispensabile. «Complementari», «simbiotici», «fusi in una cosa sola»: il concetto viene ripetuto, con parole leggermente diverse, da tutte le donne del team, che manifestano una grande ammirazione per l’enigmatica coppia. «Tra di loro, il meccanismo di dominazione è reciproco», dice Catherine Barbaroux, «l’uno ha bisogno dello sguardo dell’altro. Hanno una tensione positiva».
Al quartier generale, anche l’ultimo dei volontari conosce Brigitte. La vediamo apparire anche noi, bellissima in azzurro, tacchi stiletto, alle calcagna una guardia del corpo che regge il suo porta abiti Louis Vuitton. La sua silhouette dinamica porta elettricità in tutti i piani della palazzina: Bibi infonde calore e buonumore. Porta praline e macarons per sollevare il morale della truppa, scambia qualche piccola confidenza sullo stato d’animo di Emmanuel. «Ma non esagerate con la pizza, eh? E cercate di dormire». A volte, se un volto famoso della Tv è venuto a intervistare Macron, per fare colpo sui nipotini – che anche loro ogni tanto passano – chiede un selfie. E i giornalisti sbarrano gli occhi davanti a tanta freschezza, ingenuità quasi. Brigitte Macron umanizza la politica, anche se in teoria non la fa. E, senza darlo a vedere, vigila su tutto. È stata lei, per esempio, a rimettere armonia tra il resto della squadra e Laurence Haïm, che si era fatta detestare per qualche tweet di troppo.
In pubblico, però, l’ex professoressa di teatro è meno a suo agio. L’8 marzo è giusto riuscita a farfugliare qualche ringraziamento e a dire, a proposito di suo marito, che appartiene alla «razza dei tipi estremamente utili alle donne» (in francese: Meufs, les mecs extrêmement utiles aux femmes). A questo punto, rifugge le attenzioni: le copertine di Paris Match le sono state rinfacciate, le è stato prescritto un digiuno mediatico, e infatti non ha accolto la nostra richiesta di intervista. Alcuni sondaggi di opinione la definiscono «divisiva»: troppo rock per l’elettorato conservatore, troppo glamour con i suoi leggings di pelle e i suoi abiti haute couture. Gli esperti di immagine vorrebbero che tirasse fuori l’insegnante che c’è in lei, la cultura.
C’è un certo fastidio, in sostanza, per questa presenza inafferrabile che è al tempo stesso la forza di Emmanuel e il suo tallone d’Achille. Ma tra le donne del quartier generale il sentimento prevalente è la fascinazione: lei, dicono, ha fatto bene a Macron, è la dimostrazione della sua libertà, della sua capacità di sfidare le regole, anche in amore. «In fondo», osserva Marlène Schiappa, «la dimostrazione ultima del femminismo di Emmanuel è Brigitte. Ha presente il proverbio corso? Se vuoi sapere come un uomo tratta le donne, guarda come tratta sua moglie».
La campagna è stata dura con lei. Malgrado i suoi sorrisi, soffre delle caricature cattive che le vengono dedicate, delle battutacce sulla «nonnina». E la prospettiva di diventare Première Dame la elettrizza e terrorizza al tempo stesso. Valérie Trierweiler, che ha spesso frequentato con Hollande, non è sopravvissuta al palazzo. Carla Bruni, che non vi si è mai trasferita, è invece riuscita a interpretare la parte con dignità. Mesi fa, infatti, Brigitte le ha mandato un sms amichevole, chiedendole qualche consiglio.
Madame Macron cerca un suo ruolo. Marlène Schiappa, appassionata di First Lady, la vorrebbe moglie impegnata, capace di portare avanti cause che sente sue. «Serve una moglie all’americana», concorda Laurence Haïm, che avendo lavorato da giornalista come corrispondente della Casa Bianca le ha spesso parlato degli Obama, «e del ruolo di Michelle, che all’inizio non era evidente, ma che poi lei ha saputo riempire». «Se verrò eletto, Brigitte ovviamente non avrà funzioni politiche, tanto meno un compenso», ci dice Emmanuel Macron. «Ma un ruolo ufficiale, all’interno di parametri trasparenti, quello sì. Non prendiamoci in giro: io non intendo stravolgermi la vita, e lei è mia moglie, non un vaso di fiori. Sarà al mio fianco».