Autore Topic: Quando il Nobel è donna  (Letto 2138 volte)

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Offline bluerosso

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Quando il Nobel è donna
« il: Settembre 05, 2017, 14:23:56 pm »
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-09-04/il-myanmar-e-san-suu-kyi-non-ha-pieta-minoranza-rohingya-182510.shtml?uuid=AEPV2ENC


Il Myanmar e San Suu Kyi non hanno pietà della minoranza rohingya
di Gianluca Di Donfrancesco

05 settembre 2017



l nostro scopo finale dovrebbe essere creare un mondo dove non ci siano più i profughi, i senza casa e i senza speranza, un mondo in cui ogni singolo angolo sia un vero santuario, dove chi vi risiede abbia la libertà e la capacità di vivere in pace». Questo l’appello di Aung San Suu Kyi nel discorso di ringraziamento per il Nobel per la pace, tenuto a Oslo nel 2012, 11 anni dopo averlo ricevuto. Quando le fu conferito il premio, nel 1991, Suu Kyi non potè ritirarlo, perché prigioniera di quella giunta militare che per decenni ha oppresso il popolo birmano.

Oggi, all’immagine dell’eroina dei diritti umani, beatificata in patria e all’estero per avere combattuto e sconfitto la dittatura, si sovrappone il riflesso distorto della leader di un Paese buddhista che schiaccia la sua minoranza più debole, quella dei musulmani rohingya. Un milione di persone senza cittadinanza, ridotte in condizioni di apartheid nello Stato più povero del Myanmar, il Rakhine, al confine con il Bangladesh. Secondo l’ultima conta dell’Onu, negli ultimi 10 giorni quasi 90mila profughi hanno stipato la propria vita in un sacco e hanno cercato scampo oltre quella frontiera, in fuga dalle forze armate e dalle milizie paramilitari birmane.

Il pretesto della repressione è stato l’attacco lanciato il 25 agosto da gruppi di rohingya armati di coltelli, bastoni e ordigni improvvisati, contro una trentina di caserme birmane, secondo il resoconto delle autorità del Myanmar. Da allora sono morte almeno 400 persone, compresa una dozzina di uomini delle forze di sicurezza. Il Governo ripete con ostinazione che nel Rakhine sta conducendo una campagna contro terroristi islamici, che addirittura vi vorrebbero creare una roccaforte dell’Isis. Si dice incompreso dalla Comunità internazionale che gli rimprovera gli stessi abusi contro i quali i birmani hanno lottato per circa 50 anni: «Siamo noi le vittime», ribadiscono le autorità e negano l’ingresso nell’epicentro delle violenze a giornalisti e Ong, arrivando a insinuare che aiutino i «terroristi».
Senza cibo, senza acqua potabile, sotto tende improvvisate (quattro canne di bambù infilzate nel terreno e un telo), quasi 20mila profughi sono ancora ammassati ai punti di valico con il Bangladesh. Nemmeno qui i rohingya sono ben accolti: Dhaka ne ospita già oltre 400mila in campi fatiscenti ed è al limite delle sue capacità. Aveva deciso di chiudere le frontiere e ne ha respinti a migliaia, ma alla fine si sta arrendendo alla pressione di questa marea umana.
Secondo Human Rights Watch, le forze armate birmane stanno facendo letteralmente terra bruciata, appiccando il fuoco a interi villaggi. Il messaggio è chiaro: nel Rakhine, questi «immigrati illegali», che costituiscono un corpo estraneo, non devono mai più tornare. Corollario della campagna: anche 12mila birmani di etnia rakhine sono sfollati.
Scene fotocopia di quanto accadde nell’ottobre del 2016. Anche allora l’assalto a una caserma della polizia innescò la reazione delle forze armate birmane. Anche allora decine di migliaia di profughi si misero in marcia verso il Bangladesh. Qui, l’Alto commissariato Onu per i diritti umani (Ohchr) svolse un’indagine interrogando 220 di quei profughi: le raccapriccianti testimonianze - il peggio di cui l’umanità è capace - sono raccolte in un report del 3 febbraio, che parlava già di pulizia etnica e dal quale è scaturita la decisione di avviare un’indagine indipendente.
I funzionari dell’Ohchr non potranno però visitare il Rakhine: Suu Kyi non li vuole. Nemmeno dopo che a invocare un’inchiesta è stato l’ex segretario dell’Onu, Kofi Annan, che lei stessa aveva pregato di guidare una commissione sui rapporti tra musulmani e rakhine, senza però il mandato di indagare sulle violazioni dei diritti umani. Solo pochi Stati «paria», ricorda l’Ohchr, hanno chiuso le porte ai suoi ispettori: Siria, Corea del Nord, Eritrea e Burundi.
Secondo Amnesty International, l’esercito birmano sta affrontando con pari brutalità le minoranze etniche Kachin e Shan, al confine con la Cina.
Suu Kyi sta guidando il Myanmar in una difficile transizione dalla dittatura alla democrazia. La giunta militare non è stata abbattuta, ha solo fatto un passo di lato, mantenendo il controllo di tre ministeri chiave (Difesa, Interni e Confini), di un vice-presidente e assicurandosi ampie garanzie costituzionali. Suu Kyi e i suoi uomini più vicini, che la seguono come i seguaci di un culto, temono che forzare la mano possa innescare reazioni autoritarie. E in un Paese appena uscito dall’orrore della repressione, la tragedia dei rohingya non sembra scuotere le coscienze. Prendere le loro parti - cosa che Suu Kyi non ha mai fatto - non genera consenso.
La tragedia dei rohingya è però ormai sotto i riflettori e desta lo sdegno di Turchia, Arabia Saudita, Indonesia, Pakistan. In quel discorso pronunciato a Oslo cinque anni fa, c’è un passaggio che suona come un monito per Suu Kyi e il suo Paese: «Ovunque la sofferenza venga ignorata, ci saranno i semi del conflitto, perché la sofferenza degrada, inasprisce e genera rabbia».











Offline bluerosso

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Re:Quando il Nobel è donna
« Risposta #1 il: Settembre 05, 2017, 14:32:56 pm »
Correva l'anno 2012....


http://27esimaora.corriere.it/articolo/figli-e-marito-sacrificati-per-un-ideale-san-suu-kyi-eroismi-a-caro-prezzo/

Figli e marito “sacrificati” per un ideale San Suu Kyi: eroismi a caro prezzo?
di Giovanna Pezzuoli

Sono tanti gli episodi drammatici ed emozionanti nel film “The Lady”, da oggi nelle sale italiane, che racconta la straordinaria avventura umana e politica del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi: ti tengono con il fiato sospeso la scena dove l’esile eroina birmana attraversa da sola a Danubyu un muro di soldati armati o i massacri degli studenti e dei monaci che la travolgono nel 1988, quando torna a Rangoon per assistere la madre colpita da un ictus.

Ma più di ogni altro, mi ha fatto venire i brividi il momento della scelta tra l’amore per il marito Michael Aris e l’assoluta dedizione a un ideale, la libertà per il suo popolo.

Lui, che da molto tempo non può riabbracciarla, scopre di essere ammalato di cancro senza speranze: e dopo aver tentato in ogni modo di raggiungerla a Rangoon, dove Suu Kyi è agli arresti domiciliari da quasi 10 anni, con infinita generosità non le chiede neppure una volta di andare a Oxford. Sa che questo significherebbe per lei l’impossibilità di ritornare in patria, la rinuncia alla sua lotta. E’ il marzo del 1999, Michael ormai sta morendo: Kim, il figlio più giovane, lo dice per telefono alla madre lontana. Lei gli risponde affranta “cerca di capirmi”. E lui si rivolge al padre con le parole “la mamma ti saluta” che ti raggelano. Solo quando, poco dopo, sa che il marito si è spento, proprio nel giorno del suo 53esimo compleanno, Suu Kyi si lascia andare al dolore, invocando il suo nome.

Non so che cosa ne pensate voi, ma per me è una scelta abbastanza sconvolgente.

Ha detto la produttrice del film Virginie Besson-Silla: “Mentre leggevo il copione non potevo fare a meno di chiedermi come una madre potesse fare una scelta simile… ed era così lontana dalla mia natura che volevo capire cosa l’avesse portata ad abbandonare tutto per la patria.

Dopo aver fatto delle ricerche ma soprattutto dopo averla incontrata di persona ho capito che era stata guidata dall’amore.

Ha deciso di non tenere conto dei propri sentimenti per aiutare milioni di persone”.

Racconta Michelle Yeoh, la star di Hong Kong che nel film di Luc Besson interpreta l’”orchidea di ferro” con incredibile immedesimazione: “Mentre suo marito stava morendo, Suu Kyi era intenta a preparare un discorso e a compiere i suoi doveri di attivista. A prima vista si potrebbe pensare che sia fredda e scostante, ma in un secondo momento diventa chiaro che la sua è una personalità molto forte che non si può fare a meno di ammirare”. Certo non è facile identificarsi con una donna che a 2 anni è rimasta orfana del padre, il generale Aung San, assassinato in un agguato, a pochi mesi dalla dichiarazione di indipendenza della Birmania, e che per gran parte della sua vita ha condiviso le sofferenze e il martirio di un popolo in lotta per la democrazia. Anche per David Thewlis, il versatile attore inglese che ha il ruolo del marito devoto, non è stato facile capire una persona che ha vissuto all’insegna dell’abnegazione: “E’ capitato che i coniugi passassero anni senza vedersi e senza parlarsi, cosa che per me è impensabile…“.

Ma forse è il regista Luc Besson che ancora più degli altri ha intuito l’eccezionalità di questa donna. Come ha raccontato Paolo Salom nel suo post di qualche giorno fa, Besson ha confessato di aver pianto leggendo per la prima volta la sceneggiatura di Rebecca Frayn. E quando finalmente ha incontrato Aung San Suu Kyi, gli sembrava di essere di fronte a Gandhi.

“E’ impossibile non sentirsi piccoli e stupidi al cospetto di questa donna che irradia cortesia, gentilezza e semplicità – ha detto -. Non ha paura di niente, neanche sessant’anni di prigione le farebbero cambiare idea

Non ha interessi personali, per lei conta solo che la sua gente sia libera di avere accesso in egual misura alle ricchezze del suo paese”.

Anche senza averla conosciuta è quello che pensano le decine di persone che hanno aderito alla campagna “Send a message” ispirata alla celebre frase della dama di Rangoon “Usa la tua libertà per promuovere la nostra”. Un’iniziativa realizzata da Good Films con il sostegno della sezione italiana di Amnesty International. Sono personaggi noti, da Roberto Baggio, che ha avuto il primo contatto con lei nel 2007, a Emma Bonino, che l’ha incontrata nel 1996, da Piero Fassino a Lapo Elkann. E poi imprenditori come Renzo Rosso, attrici come Cristiana Capotondi e Bianca Nappi, modelle come Eva Riccobono. Ancora, artisti, reporter, gastronomi, mamme, studenti, pensionati… Tutti pronunciano poche, intense parole di solidarietà: i video messaggi, raccolti in un’unica clip, verranno consegnati a Aung San Suu Kyi la prossima settimana da una delegazione italiana, in attesa delle elezioni che si terranno in Birmania il primo di aprile. E che vedono come candidata Suu Kyi, che già nel lontano 1990, prima di essere reclusa dai militari, aveva conquistato con la sua Lega Nazionale per la Democrazia 392 seggi ottenendo una schiacciante vittoria.

Ma torniamo al dilemma che mi ha colpito:

che cosa ne pensate della scelta dolorosa fra patria e famiglia? E’ un atto di eroismo che richiede un prezzo troppo alto?

E forse lo è tanto più per chi, come donna, è abituata a privilegiare gli affetti privati rispetto alla dimensione pubblica… E’ giusto negare l’estremo conforto (a se stessa) e alla persona forse più amata perché sai che questo comprometterebbe la tua possibilità di lottare? E i figli che hanno rivisto la madre solo dopo 10 anni di lontananza, quando lei, nel  2010, è stata infine liberata, che cosa hanno provato? Per loro la madre sarà un’icona da ammirare e amare o le serberanno rancore per avere anteposto al loro affetto un ideale più grande?



Da non perdere la visione del video incorporato. Non anticipo nulla. Da vedere....


Offline Salar de Uyuni

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Re:Quando il Nobel è donna
« Risposta #2 il: Settembre 05, 2017, 16:58:13 pm »
Sai bluerosso non è tanto il fatto che è donna,quanto il fatto che è asiatica,e gli asiatici hanno un modo diverso di ragionare da noi occidentali,per noi l'individuo è il centro dell'universo per loro una pedina sacrificabile per qualche cosa di più vasto.
Da quando dio e' morto in occidente,pare aver prestato la sua D maiuscola al nuovo oggetto di culto la ''Donna''

Offline bluerosso

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Re:Quando il Nobel è donna
« Risposta #3 il: Settembre 05, 2017, 17:46:58 pm »
Sai bluerosso non è tanto il fatto che è donna,quanto il fatto che è asiatica,e gli asiatici hanno un modo diverso di ragionare da noi occidentali,per noi l'individuo è il centro dell'universo per loro una pedina sacrificabile per qualche cosa di più vasto.


Concordo.....
Però guarda caso era diventata un'icona del femminismo....
http://movimentofemminista.blogspot.it/2012/08/daw-aung-san-suu-kyi.html

Perchè era asiatica?
Perchè era stata in carcere per anni e anni?
Perchè lottava per i diritti civili?
Perchè aveva vinto il nobel per la pace?

Certo che no...!

Perché aveva (ha) una vagina tra le gambe.

Se fosse stata un uomo asiatico, incarcerato per anni, paladino dei diritti civili e vincitore di un premio nobel, non se lo sarebbero filato di striscio.

Sarebbe stato un asiatico, incarcerato per anni, paladino dei diritti civili e vincitore di un premio nobel oppressore del genere femminile.

Quindi credo sia opportuno evidenziare che il dogma femminista " Eh!…se le donne avessero governato il mondo…..chissà oggi…" ha avuto la sua ennesima sconfessione.
(Golda_Elizabeth_Margaret_Condoleeza_Hillary.....)

Offline TheDarkSider

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Re:Quando il Nobel è donna
« Risposta #4 il: Settembre 05, 2017, 19:27:52 pm »
Quindi credo sia opportuno evidenziare che il dogma femminista " Eh!…se le donne avessero governato il mondo…..chissà oggi…" ha avuto la sua ennesima sconfessione.
(Golda_Elizabeth_Margaret_Condoleeza_Hillary.....)
Non so bluerosso.
Certamente il dogma "il mondo sarebbe un Eden se solo le donne lo governassero" va denunciato e sconfessato come una ridicola panzana ad ogni occasione possibile. E la feroce repressione dei rohingya in Myanmar e' un'occasione buona come un'altra.

Pero', ed esito un po' a dirlo su un forum QM-ista, questa San Suu Kyi mi sembra una delle poche donne dei nostri tempi degna di rispetto.
Innanzitutto e' asiatica, e questo per me e' un buon punto di partenza, perche' proviene da una societa' non femminista. Poi e' asiatica di un paese tradizionalista che, proprio per questo, e' definito "arretrato" dai nostri media.
Ma soprattutto, la scelta di preferire un ideale superiore agli affetti famigliari e' una scelta tipicamente maschile. E' maschile seguire il principio generale, l'ideale astratto, la legge universale, invece dei propri affetti particolari. E' un comportamento molto maschile.

Se davvero ha rinunciato a marito e figli per amore del suo popolo, si e' comportata da grande leader uomo, pure se e' una donna.


Quanto alla vicenda dei rohingya, il motivo di tanta durezza e' presto detto: il popolo birmano, come ogni popolo tradizionalista, non e' inquinato dalla deriva del politicamento corretto come l'occidente, e quindi non ha alcuna remora a difendere con ferocia e determinazione i propri interessi nazionali. Semplicemente, i birmani non ritengono che dare la cittadinanza a milioni di mussulmani in un paese tradizionalmente buddhista sia una buona idea.

E io sono d'accordo con loro.
"Le donne occidentali sono più buone e tolleranti con gli immigrati islamici che le stuprano che con i loro mariti."
Una donna marocchina

Offline bluerosso

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Re:Quando il Nobel è donna
« Risposta #5 il: Settembre 05, 2017, 19:58:02 pm »
Dopo due cartellini gialli è meglio che mi spieghi... :lol:


Il mio topic serviva per evidenziare che le donne quando arrivano al potere utilizzano le stesse dinamiche e finanche gli stessi mezzi (la violenza) al pari degli uomini.
Nessuna differenza.
Io non ho nulla contro San Suu Kyi.
Quello che contesto è che sia stata arruolata di diritto nell'olimpo femminista in quanto donna.
E in quanto donna di potere si sarebbe comportata in maniera diametralmente opposta ad un uomo di potere.
Ora dovranno farla scendere di corsa da questo olimpo. Credo.
Per me (noi) invece se ne può stare tranquilla li dov'è.
Personalmente considero un buon esempio di politico anche Margaret Thatcher se è per questo.
Può fare lo stesso anche la Zanardo. Può la Lanfranco?
Possono farlo le 1000 e 1000 blogger femministe della rete?

Non siamo certo noi che dobbiamo fare marcia indietro.
Non abbiamo mai definito gli uomini portatori di chissà quale specificità. Positiva o negativa che fosse.
Il femminismo ha teorizzato differenze strutturali e culturali tra uomini e donne

E ora stanno sbattendo il naso.


Il femminismo non ha mai fatto differenza tra donne d'occidente e d'oriente. Del sud e del nord del mondo.
Tutte indefettibilmente portatrici degli stessi valori...

Offline TheDarkSider

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Re:Quando il Nobel è donna
« Risposta #6 il: Settembre 06, 2017, 00:48:20 am »
Dopo due cartellini gialli è meglio che mi spieghi... :lol:
Nessun cartellino giallo, figurati, solo uno scambio di opinioni.


Il mio topic serviva per evidenziare che le donne quando arrivano al potere utilizzano le stesse dinamiche e finanche gli stessi mezzi (la violenza) al pari degli uomini.
Nessuna differenza.
Ma infatti, assolutamente.


Non siamo certo noi che dobbiamo fare marcia indietro.
Non abbiamo mai definito gli uomini portatori di chissà quale specificità. Positiva o negativa che fosse.
Il femminismo ha teorizzato differenze strutturali e culturali tra uomini e donne

E ora stanno sbattendo il naso.
Certo, fai bene a rimarcare la fallacia delle tesi femministe. E' che io, frequentando da tanto tempo la QM, tendo a dare per scontato che la tesi femminista della "bonta' strutturale della leadership femminile" sia una boiata epocale.

Ma tu fai bene a portare controesempi per sbugiardare tale tesi, ci mancherebbe :ok: :ok:




"Le donne occidentali sono più buone e tolleranti con gli immigrati islamici che le stuprano che con i loro mariti."
Una donna marocchina

Offline Sardus_Pater

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Re:Quando il Nobel è donna
« Risposta #7 il: Settembre 06, 2017, 09:31:01 am »
Citazione
Certo, fai bene a rimarcare la fallacia delle tesi femministe. E' che io, frequentando da tanto tempo la QM, tendo a dare per scontato che la tesi femminista della "bonta' strutturale della leadership femminile" sia una boiata epocale.

Perché lo è. E a proposito di doppi standard, vorrei vedere il gotha dei Paesi islamici chiedere scusa per le numerose violenze contro le comunità cristiane o buddhiste presenti in territori a maggioranza musulmana. Ma mi sa che rimarrà una pia illusione
Il femminismo è l'oppio delle donne.