La donna emancipata e intelligente è la peggiore compagna possibile per l’uomo?
di Francesco Lamendola - 17/02/2011
Abbiamo già avuto occasione di riflettere su quel che succede quando la donna, con tutta la seduzione del suo fascino, esercita un influsso malefico sul suo compagno di vita, castrandone le energie profonde e rendendogli difficile anche la semplice esistenza quotidiana (cfr. l’articolo «Quando la donna è il cattivo genio dell’uomo (e di se stessa)», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 09/07/2008; naturalmente esiste anche la situazione opposta, e pure di essa ci siamo a suo tempo occupati).
In particolare, avevamo preso come caso esemplare di tale situazione la vicenda di August Strindberg e della sua bella e problematica moglie, l’attrice Siri von Essen. Ma colui che più di ogni altro ha saputo vedere per tempo l’avanzare di questa nuova figura femminile, la donna emancipata e nevrotica, freddamente egoista, che non sa fare dono di sé ad alcuno, né aprirsi al mistero della maternità, e che, tutta protesa all’affermazione del proprio ego, semina dolore e amarezza introno a sé, è stato Friedrich Nietzsche, che di Strindberg fu estimatore ed amico, sia pure solo per via epistolare.
Nietzsche aveva sperimentato sulla propria pelle tutta la carica distruttiva di questa donna “moderna” che usa la propria bellezza per farsi strada e che lusinga l’uomo per servirsene e procedere oltre; l’aveva sperimentata nel disastroso incontro con Lou Salomé, l’ambiziosa e colpevolmente leggera ebrea russa che, dopo averlo illuso e canzonato alle spalle con il falso amico Paul Rée, sarebbe stata più tardi l’amante del poeta Rainer Maria Rilke e una delle maggiori allieve di Freud.
Ne abbiamo già parlato a suo tempo («Se una donna ambiziosa non può eccellere cerca il trionfo nell’umiliare chi è più grande di lei», apparso su Arianna il 04/11/2008), per cui non riapriremo il discorso in termini meramente biografici: del resto, molto è già stato detto in proposito, forse anche troppo.
Ci interessa piuttosto, liberandoci da un biografismo troppo riduttivo, riflettere sulle idee di Nietzsche a proposito di questo nuovo tipo femminile; un tipo che uno scrittore ancora più acuto di lui, Dostojevskij, aveva già incontrato qualche decennio prima (nella persona della giovanissima Apollinarija Suslova), e che aveva rappresentato in tanti enigmatici ritratti delle sue eroine o piuttosto delle sue anti-eroine, a cominciare dalla indecifrabile Polina de «Il giocatore», fino alla imperiosa Katerina Ivanovna de «I fratelli Karamazov».
Così scrive Friedrich Nietzsche in «Ecce homo» («Perché scrivo libri così buoni», 5; in: F. Nietzsche, «L’Anticristo. Crepuscolo degli idoli. Ecce homo. La volontà di potenza», Roma, Newton Compton Editori, 1989, pp. 259-60):
«…Bisogna essere ben fermi IN SE STESSI, bisogna essere valorosamente saldi sulle proprie gambe, altrimenti non si PUÒ amare affatto. E lo sanno troppo bene le femminette: non sanno cosa farsene degli uomini disinteressati, semplicemente obiettivi… Posso azzardare a questo proposito la presunzione di CONOSCERE le femminette? Fa parte della mia dote dionisiaca. Chissà? Forse sono il primo psicologo dell’Eterno Femminino. Mi amano tutte - una vecchia storia; escluse le femmine FALLITE, le “emancipate”, a cui manca la capacità di fare bambini - Per fortuna non ho intenzione di farmi sbranare: la donna perfetta sbrana quando ama… Conosco queste amabili Menadi. Ah, che perfetta, sotterranea, strisciante piccola belva! E con tutto ciò piacevole! Una piccola donna che insegue la sua vendetta manderebbe all’aria anche il destino - La donna è indicibilmente più cattiva dell’uomo, e più intelligente; la bontà della donna è già una forma di DEGENERAZIONE… In fondo a tutte le cosiddette “anime belle” c’è un malessere fisiologico - non voglio dire tutto, altrimenti diventerei medi-cinico. La lotta per l’UGUAGLIANZA dei diritti è addirittura un sintomo di malattia: ogni medico lo sa. - La donna, quanto più è donna, si difende a pugni e calci contro i diritti in generale: lo stato di natura, l’eterna GUERRA - tra i sessi e la pone di gran lunga al primo posto -. Si è saputo comprendere la mia definizione di amore? È l’unica che sia degna di un filosofo - Amore - nei suoi mezzi, la guerra; nel suo fondo, l’odio mortale tra i sessi… Qualcuno ha udito la mia risposta alla domanda: come si CURA, come si “redime” una donna? Le si fa fare un bambino. La donna ha bisogno di bambini, l’uomo è sempre soltanto strumento: così parlò Zarathustra. “Emancipazione della donna” è l’odio istintivo della donna MANCATA, cioè inidonea alla procreazione, verso la donna realizzata, la lotta contro “l’uomo” è sempre soltanto strumento, pretesto, tattica. Mentre SI innalzano , rispetto alla donna, a “donna in sé”, a “donna superiore”, a “idealista”, vogliono ABBASSARE la condizione generale della donna; non c’è mezzo più sicuro della cultura ginnasiale, i pantaloni e i diritti politici della mandria. In fondo le donne emancipate sono le ANARCHICHE nel mondo dell’Eterno Femminino, quelle finite male, il cui istinto più baso è la vendetta. Un’intera categoria dell’”idealismo” più maligno - che d’altra parte si presenta anche negli uomini, ad esempio in Henrik Ibsen, questa tipica vecchia zitella - ha lo scopo di CONTAMINARE la buona coscienza, la natura, nell’amore sessuale…»
E nella «Volontà di potenza», 27 (ed. cit., pp. 338-39):
«Cosima Wagner è la sola donna di stile elevato che ho imparato a conoscere; ma le faccio carico di aver ROVINATO Wagner. Come è potuto accadere questo? Lui non “meritava” una donna simile: per riconoscenza SI VOTÒ a lei. - Il “Parsifal” di Wagner fu innanzitutto e originariamente un accondiscendere del gusto di Wagner agli istinti cattolici della moglie, la figlia di Liszt, una sorta di gratitudine e di devozione da parte di una creatura più fragile, più fragile e più tormentata verso una che era capace di dare protezione e coraggio, vale a dire verso una più forte, più limitata: - in fondo un atto di quell’eterna VILTÀ dell’uomo nei riguardi di ogni “eterno-femminino”. Forse che tutti i grandi artisti non sono stati ROVINATI da donne adoranti? Quando queste scimmie irragionevolmente vanitose e sensuali - perché tali sono nella quasi totalità - vivono per la prima volta e in strettissima vicinanza l’IDOLATRIA che la donna è capace di suscitare in casi simili con tutti i suoi più bassi e più elevati desideri, allora è ormai la fine: l’ultimo residuo di critica, di disprezzo di sé, di modestia e pudore di fronte a ciò che è più grande è svanito: da quel momento in poi sono capaci di ogni DEGENERAZIONE. - Questi artisti che nel periodo più acerbo e più forte della loro evoluzione avevano sufficienti motivi per disprezzare in blocco i loro sostenitori, questi artisti divenuti taciturni diventano irrimediabilmente la vittima di quel primo amore INTELLIGENTE (- o meglio di ogni donna che sia sufficientemente intelligente da DARSI intelligentemente a ciò che di più personale è dell’artista, “da comprendere” la sua sofferenza, “da amarlo”…).»
Per concludere, sempre in un appunto de «La volontà di potenza», il numero 175, con lapidaria asciuttezza (ibidem, p. 383):
«Noi amiamo le donne quanto più ci sono estranee. AIMER LES FEMMES INTELLIGENTES EST UN PLAISIR DE PÉDÉRASTE.»
Un Nietzsche irrimediabilmente misogino, dunque, spaventato dalle donne intelligenti e perciò miseramente aggrappato all’immagine rassicurante della donna tuta casa e figli; un Nietzsche, magari, ancora sanguinante per le ferite dell’affaire Salomé?
Sono molti gli elementi che ci suggeriscono di scartare come rozza e superficiale una simile interpretazione.
Quando si citano le idee di Nietzsche sulla donna, e particolarmente sulla moderna, bisogna citarle tutte, e non solo quelle che fanno comodo alla Vulgata democratica e femminista per propalare l’immagine di un filosofo paralizzato dalla propria timidezza e reso perciò aggressivo e sprezzante dalla propria paura dell’altro sesso.
Tanto per cominciare, osserviamo che non vi è disprezzo per la donna nei brani citati: vi è una idea della donna che si può condividere o meno, ma non vi è nulla di sprezzante verso di essa, a differenza dei tanti nietzschiani pasticcioni, uno dei quali, il nostro Filippo Tommaso Marinetti, nel suo «Manifesto futurista» del 1909, afferma, evidentemente dopo aver fatto una indigestione di quello «Zarathustra» che non era in grado di capire minimamente, di cantare il disprezzo della donna, sentendosi così pure lui - c’è chi si accontenta di poco - un po’ Superuomo.
Ma, dicevamo, Nietzsche bisogna leggerlo tutto, prima di credere d’aver capito e prima di sbilanciarsi a trarre conclusioni forse indebite e frettolose.
In «Umano, troppo umano», ad esempio (Parte settima, 377, 378; da: F. Nietzsche, «Opere», Roma, Newton Compton, 1993, vol. 12 (1870/1881, p. 648), scrive queste parole da cui traboccano rispetto, delicatezza, ammirazione e imparzialità:
«LA DONNA PERFETTA. - La donna perfetta è un tipo di umanità più alto dell’uomo perfetto, e anche qualcosa di molto più raro. La zoologia offe un mezzo per rendere verosimile questa proposizione.
AMICIZIA E MATRIMONIO. - Il migliore amico avrà anche la moglie migliore, perché un buon matrimonio si basa sula disposizione all’amicizia.»
Come si vede, l’atteggiamento di Nietzsche verso la questione della emancipazione femminile può piacere o non piacere, ma non è sprezzante: egli è convinto che, in effetti, tale emancipazione sfocerà in un abbassamento, e non in un innalzamento, della condizione della donna, considerata da un punto di vista generale e non solo limitatamente a questo o quell’aspetto dell‘esistenza, e ciò particolarmente nella sfera interiore.
In effetti, si potrebbe considerare l’intera impostazione del “problema” della emancipazione femminile come una delle molte facce dell’avvento del regno della quantità, tipico dell’era moderna, a discapito della qualità; come caratteristica espressione di quel materialismo secondo il quale, ottenute migliori condizioni materiali di esistenza, ne dovrà conseguire necessariamente un benessere complessivo; di quel democraticismo in base al quale il conseguimento di sempre nuovi diritti o, quanto meno, la loro solenne e pomposa enunciazione, significano “eo ipso” una promozione sociale, culturale ed umana.
Tuttavia, sviluppare questo genere di considerazioni ci porterebbe piuttosto lontano dal nostro assunto iniziale, per cui non procediamo oltre in tale direzione, ma torniamo a Nietzsche e all’altro aspetto della questione che egli pone sul tappeto: se, cioè, la donna “intelligente”, libera, emancipata, indipendente, sia da considerarsi come una compagna ideale per l’uomo e particolarmente per l’uomo di genio; o non, piuttosto, come la maggiore sciagura che si potrebbe abbattere su quest’ultimo.
Nietzsche non solo risponde affermativamente alla seconda alternativa, ma si spinge anche oltre. Lo abbiamo visto; per lui, un uomo che ricerca l’amore di una donna “intelligente” è, sostanzialmente, un omosessuale che non sa di esserlo: una lettura psicologica che, ironia della sorte, crediamo sarebbe piaciuta a Lou Salomé, almeno dopo che ella si fu convertita al Verbo psicanalitico, diventando una delle più apprezzate discepole e collaboratrici di Freud.
Resta da vedere che cosa possa diventare, sessualmente parlando, una donna del genere, cioè una donna che possiede tutto per attrarre a sé proprio gli uomini meno virili: nel migliore dei casi, una seminatrice di sofferenza, per gli altri e, in fondo, anche per se stessa. Le lettere private in cui Nietzsche parla di Lou Salomé, dopo la rottura con lei, indicano che egli aveva le idee chiare in proposito: ma non solo, come si usa dire, «per fatto personale», dal momento che mostrano una capacità di riflessione molto più ampia di tale problematica.
Ebbene, che cosa pensare di questo secondo aspetto della riflessione del filosofo tedesco sulla questione della donna “intelligente”?
Ci siamo permessi di mettere fra virgolette questa espressione, perché profondamente persuasi che si farebbe un torto troppo grave alla lucidità ed alla chiarezza di idee del filosofo tedesco, se si pensasse che egli aveva una tale opinione della donna intelligente “tout-court”; mentre abbiamo visto che, nei confronti del tipo femminile superiore, egli nutriva una stima e una ammirazione incondizionate, al punto da riconoscerne l’eccellenza rispetto al tipo maschile superiore.
No: la donna “intelligente” di cui parla Nietzsche non è, semplicemente, la donna dotata di un’alta capacità di comprensione, di ragionamento e di analisi, bensì la donna che rivolge queste potenzialità in senso distruttivo per se stessa e per gli altri; che non sa farne uso, se non per tormentarsi e tormentare; che rimane chiusa nel cerchio stregato di una intelligenza sterile, prigioniera del proprio orgoglio, incapace di donarsi e, soprattutto, incapace di aprirsi al mistero di una nuova vita, di cui ella è depositaria: in breve: la donna moderna che, per dirla con Oswald Spengler, al posto dei figli ha solo dei “problemi”.
In altre parole, Nietzsche ci ricorda che l’intelligenza è una qualità a doppio taglio e che essa, di per sé, non garantisce l’equilibrio, e tanto meno la felicità, a coloro cui è data in dono; e che, nella difficile e delicatissima dialettica fra i due sessi che egli, per paradosso, chiama “guerra” (ma non senza un fondo di verità, che i nietzschiani a un tanto il chilo, come i D’Annunzio o i Marinetti, non potevano cogliere, se non nell’aspetto più esteriore e fuorviante), l’incontro di una dominatrice intelligenza femminile con una sottomessa sensibilità maschile non potrà che portare a entrambi i sessi infelicità e dissipazione dei tesori della mente e del cuore.
Tuttavia, non vogliamo tentare di nasconderlo, vi è un ulteriore elemento, nell’analisi psicologica delineata da Nietzsche, che potrebbe non piacere ai raffinati ed ipocriti palati moderni: l’aver messo l’accento sulla sensualità della donna e sulla tendenza di lei a “divorare” il maschio, specialmente se questi le si abbandona totalmente “grato”, ossia inerme e fiducioso.
A prescindere dal fatto che la “gratitudine”, in un sano rapporto affettivo e sessuale, dovrebbe esistere nei due sensi (veramente disastroso è l’atteggiamento dell’uomo che, come Wagner, si sente indegno dell’amore della propria donna, e passa perciò la vita a cercare di “sdebitarsi” con lei per averlo scelto), alle moderne femministe e ai loro amici maschi “progressisti” e “illuminati” non viene in mente che il riconoscimento di tale dimensione non è indice, di per se stesso, di alcun disprezzo nei confronti della donna e che, se essi ne traggono questa conclusione, forse è perché non sanno misurarsi con il problema ulteriore che tale analisi pone.
Il problema ulteriore è il seguente: posto che la natura della donna sia più sensuale di quella dell’uomo (contrariamente a ciò che sostengono le due Vulgate opposte e complementari, la femminista e la maschilista) e posto che ella tende a fagocitare il maschio che le si consegni disarmato per pura gratitudine: tanto la donna che l’uomo sapranno ritrovarsi su di un piano di autentica comprensione e reciproco completamento, facendo sì che quegli aspetti della femminilità siano adeguatamente controbilanciati da una sufficiente energia virile da parte dell’uomo?
Abbiamo visto che Nietzsche, in proposito, non è del tutto pessimista: secondo lui, anzi, esiste una strada sicura che conduce all’unione felice fra l’uomo e la donna, e che tale strada è l’amicizia. E, quando si porta la relazione tra i due sessi sul piano dell’amicizia, una amicizia, beninteso, che includa e none escluda tutto il resto, a cominciare dalla sessualità, si ragiona in termini di innalzamento e di arricchimento reciproco fra uomo e donna, non c erto di abbassamento.
Con buona pace di tutte le femministe che, donne mancate, blaterano di emancipazione per mascherare la loro inadeguatezza in quanto donne; e di tutti gli uomini “progressisti”, “democratici” e “libertari”, che, quando le seguono nei loro vaneggiamenti, tentano spesso, forse inconsciamente, di nascondere a sé e agli altri il loro problema inconfessabile: l’omosessualità repressa che provoca in loro una “falsa coscienza”, nel senso sveviano di “cattiva coscienza”.
Questo, crediamo, ha voluto dire Nietzsche a proposito della donna “intelligente” ed emancipata e a proposito della sua relazione con l’uomo: e ci sembra che, anche in questo caso, abbia saputo cogliere con estrema lucidità una dinamica psicologia che è tipica della modernità inoltrata.