Breve studio sulla secessione
I recenti fatti di Catalogna mi portano ad approfondire il tema della secessione con una sintesi delle dinamiche ad essa sottese, sperando che il fenomeno non si ripeta in Italia.
Creazione artificiale di spinte secessioniste
La spinta secessionista può essere creata dal malfunzionamento intenzionale di istituzioni che funzionano bene ma non sufficientemente controllate dal mondialismo, per rimpiazzarle con qualcosa che il potere globale controlla meglio.
A tal fine si sostiene ad esempio che lo Stato-nazione non è in grado di contenere le minacce ai propri confini.
In tal modo si determina il cambiamento di un gruppo sociale che, di per sé, non ne sente il bisogno
Falso identitarismo
In un sistema in cui è il vostro conto in banca a definire il vostro destino, il tema dell'identità etnico-culturale si rivela puro folclore.
Senza una ristrutturazione su base locale e nazionale del sistema economico, il radicamento identitario non può che produrre che parodie e simulacri di identità.
La post modernità pare essere sotto il segno di "tribù", convinte di essere autentiche solo perché riciclano segni esteriori e sorpassati delle identità tradizionali (la Lega Lombarda, i Borboni ecc.), ma che hanno come unico esito di frammentare ancora di più il corpo sociale introducendovi sottoculture passate al frullatore dello spettacolo e del consumo.
È interessante notare che le spinte localiste sono più diffuse in regioni di importanza strategica sul piano geopolitico e talora legate a desueti miti pagani.
La comunità etnica ancestrale non ha nulla a che vedere con la sua parodia contemporanea, l'iper-complessità identitaria, che sta alla prima come la giungla amazzonica a uno o due alberi in una prateria. La natura umana non è fatta, né si può adattare alla proliferazione dei particolarismi molecolari conflittuali, che altro altro non sono che i mezzi di una guerra volta a distruggere l'umanità intera e a rimpiazzarla con il transumano e il robot.
Sovranità politica assente
Questo radicamento identitario non dà alcuna garanzia di sovranità politica. Peggio, la promozione dell'identitarismo etnico o culturale può costituire uno strumento d'alienazione politica particolarmente efficace: dalla chiusura comunitaria volontaria e dalla ghettizzazione alienata all'impotenza politica organizzata dal vertice del potere il passo è breve.
Il vero scopo del potere non è tanto lo sradicamento quanto il separatismo, da attuare in maniera apparentemente paradossale attraverso la riscoperta delle "radici".
Queste tecniche di controllo sociale sono fornite nientemeno che dalla criminologia, che usa il comunitarismo come tecnica di gestione dei gruppi. In prigione, gli individui si radicano nella loro comunità, il che li protegge da una certa violenza, ma li rende ancora meno liberi e più facili da sorvegliare, in base al noto principio del divide et impera.
La frammentazione di una massa umana in sottogruppi chiusi in loro stessi e che non comunicano, permette di garantire una migliore stabilità e prevedibilità del sistema globale.
C'è inoltre un'ambiguità di fondo nello scoprire radici regionali, che fanno perdere le radici nazionali in una via separatista che porta all'impotenza geopolitica.
Le "autonomie"? Storia vecchia
Svariati gruppi d'influenza hanno lavorato degli anni '20 alla discriminazione positiva delle minoranze europee su basi etniche e regionaliste per distruggere gli Stati-nazione. Lo scopo non era altro che favorire la digestione più rapida delle nazioni dal sistema globale.
All'indomani della seconda guerra mondiale, fu indetta in Germania una Unione federalista delle comunità etniche europee (UFCE); nel 1949 fu indetto a Parigi un congresso cui parteciparono numerosi gruppi etnici (catalani, frisoni, baschi eccetera) che portò alla fondazione dell'UFCE. Tali congressi ebbero il sostegno di François Mitterrand e del Ministero degli affari esteri tedesco.
Ingegneria sociale
Il separatismo non è altro che ingegneria sociale negativa applicata Stati-nazione. Esso si scrive in un piano di indebolimento dell'Europa, che mira alla creazione un po' dappertutto di microstati sul modello della Bosnia o del Kosovo, docili e servili al potere globale, incapaci di sviluppare una politica nazionale propria dotata di strumenti di sovranità adeguati: esercito, politica estera, politica delle alleanze, infrastrutture, forte influenza culturale e scientifica.
Tale progetto porterà alla balcanizzazione d'Europa attraverso la creazione di centinaia di Bantustan (anche musulmani) culturalmente ed etnicamente omogenei. Non è altro che una nuova applicazione del modello sudafricano di apartheid.
Lo scopo è sempre lo stesso, impedire la creazione di poli alternativi forti suscettibili di mettere in discussione l'autorità delle oligarchie dominanti.
Solo lo Stato-nazione può dire no al mondialismo
La critica al regionalismo non proviene da un principio ideologico astratto, ma da una questione molto concreta di rapporto di forze. Nessuna regione europea ha i mezzi per dire no al mondialismo. Per farlo, sono necessari come minimo i mezzi di uno Stato-nazione.
Il folcloristico identitarismo su base regionale, se non addirittura inferiore, non protegge in alcun modo dalla colonizzazione diretta o indiretta di potenze straniere, né dal globalismo economico più aggressivo.
L'esito è una forma di capitalismo integrale volto a commercializzare la totalità del globo terrestre e i minimi dettagli delle nostre esistenze. Il regionalismo porta sempre, coscientemente o no, ad abolire la protezione dello Stato e la sua funzione pubblica, esponendo le popolazioni alla predazione delle multinazionali, già evidente in alcune regioni a statuto speciale.
L'infranazionale è sempre assorbito dal sopranazionale, attraverso il sistema bancario, le lobby industriali e gli accordi di "libero" scambio mondiale come il TAFTA. Il regionalismo si mette dunque al servizio del mondialismo nella misura in cui cerca di indebolire lo Stato-nazione, la funzione pubblica e le nazionalizzazioni economiche.
Lo Stato-nazione non dovrebbe soffocare le realtà locali, ma dovrebbe al contrario permetter loro di fiorire attraverso un'azione di protezione, di regolazione, di coordinamento e ove necessario di supplenza ai limiti del governo locale.