Autore Topic: Gender Gap 2017  (Letto 5113 volte)

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Offline ilmarmocchio

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Gender Gap 2017
« il: Novembre 02, 2017, 19:58:36 pm »
http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/gender-gap-nel-2017-l-italia-fa-peggio-di-rwanda-grecia-e-filippine_3104223-201702a.shtml

Come va negli altri paesi - La graduatoria - che fotografa la differenze di opportunità all'interno di ogni singolo Paese e non il livello di crescita - è guidata dall'Islanda, davanti a Norvegia, Finlandia, Rwanda e Svezia. La situazione italiana è peggiore anche di quella di Grecia (78esima), Belize e Madagascar e supera di poco Birmania e Indonesia. In Europa solo Cipro (92esima) e Malta (93esima) sono più in basso in classifica.


 :doh: :doh: :doh:

Online Frank

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #1 il: Novembre 02, 2017, 20:06:08 pm »
Sì, vabbè... siamo alle solite puttanate.

Citazione
Alla voce "istruzione" il gap è apparentemente quasi chiuso, ma alcuni campi restano di appannaggio maschile, come l'Information and Communication Technology dove le donne sono una minima frazione dei laureati.

Eh, e allora?
Le femmine sono o non sono la maggioranza degli studenti universitari, in Italia come altrove?
Chi gli impedisce di frequentare certe facoltà?
Ah già, "il famigerato patriarcato".

Offline ilmarmocchio

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #2 il: Novembre 02, 2017, 20:13:42 pm »
Sì, vabbè... siamo alle solite puttanate.

Eh, e allora?
Le femmine sono o non sono la maggioranza degli studenti universitari, in Italia come altrove?
Chi gli impedisce di frequentare certe facoltà?
Ah già, "il famigerato patriarcato".

ormai è una follia conclamata

Online Frank

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #3 il: Novembre 02, 2017, 20:29:07 pm »
Anche 'sto Ruanda, che viene ficcato ovunque in ogni occasione, non è che sia un "paradiso" come ce lo raccontano i media.
Poi, che sia un paese in crescita è un altro paio di maniche.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-04-08/rwanda-inferno-miracolo-economico-150107.shtml?uuid=AB0uhK9

Citazione
Rwanda, da inferno a boom economico, ma senza benessere
di Roberto Bongiorni
8 aprile 2014


Quando, nel luglio del 1994, le milizie tutsi del generale Paul Kagame entrarono vittoriose a Kigali, si trovarono davanti solo distruzione. Il Rwanda del dopo genocidio era un Paese in ginocchio. Il più povero del mondo – secondo quanto denunciava un rapporto diffuso dalla Banca mondiale l'anno seguente - con un reddito medio pro capite di 21 centesimi al giorno (oggi è superiore ai due dollari). Il nuovo governo di unità nazionale si trovò davanti a una situazione desolante: nelle casse del Tesoro non c'era un dollaro.

Gli uffici governativi erano stati quasi tutti saccheggiati. «Se era rimasta qualche penna, non c'era carta su cui scrivere. Avevano rubato anche le porte», ci ricordava un funzionario governativo. Le latrine pubbliche erano spesso intasate di cadaveri, come i pozzi. L'acqua era contaminata, la rete elettrica inesistente. I raccolti di tè e caffè, una delle risorse nazionali di un Paese a quei tempi dalla spiccata vocazione agricola, erano andati distrutti. «Giravamo come un esercito di zombie. Avevamo visto l'inferno, non avevano più voglia di vivere», ci raccontava Claude, uno dei tutsi sopravvissuti, mentre attendeva il minibus. La conversazione durò poco. Il minibus arrivò puntuale, così come gli altri mezzi pubblici che oggi affollano le vie della vivace capitale.

Girando per Kigali non si può non notare la pulizia. Ogni ultimo sabato del mese, tutti i ruandesi, dal manager al lavapiatti, si ritrovano con scopa e guanti per ripulire le strade. In nessun altro Paese africano sono stati vietati i sacchetti di plastica; dal 2006 qui si usano solo quelli di carta.

Quanto al crimine, è quasi assente. Criticato dall'opposizione per aver instaurato una "democrazia" con ancora molte falle – un vero sistema multipartitico è ancora di là da venire, i dissidenti non possono esprimere liberamente la proprio opinione, la libertà di stampa è severamente limitata, così come diversi altri diritti – il presidente Paul Kagame ha comunque portato il Paese a traguardi impensabili 20 anni fa: la mortalità infantile è crollata del 70%, i decessi legati alla malaria, una piaga ancora per molti Paesi africani, sono caduti verticalmente dell'80%, il 92% dei bambini frequenta le scuole elementari. Dal 2005 ogni cittadino ruandese ha diritto al servizio sanitario pubblico. Nessun Paese al mondo può vantare un Parlamento con una presenza femminile così alta: le onorevoli sono il 64 per cento. Qui, le donne sono una colonna portante della società e ricoprono incarichi di rilievo in ogni settore.

I dati economici non sono meno incoraggianti: negli ultimi cinque anni il prodotto interno lordo è cresciuto a un media dell'8 % e secondo la Banca mondiale il Rwanda è il secondo posto migliore dell'Africa per aprire un'attività di business, e ancora al secondo posto – puntualizza Transparency International – per il basso livello di corruzione. Da anni il Paese ha investito molto sui servizi e sull'Information technology, divenendo il riferimento per l'Africa orientale in questo settore.

«Ci chiamavano il Paese delle mille colline, noi ci definiamo il Paese dei mille miracoli», spiegava François, piccolo imprenditore. Nell'anno corrente il Pil dovrebbe crescere ancora, oltre il 7 per cento. Eppure, anche nel settore economico vi sono forti criticità. Il 63% della popolazione vive ancora con 1,25 dollari al giorno e l'82% con meno di due dollari. Insomma, per ora si tratta di un boom senza benessere, dove le sperequazioni sociali ed economiche sono ancora alte. Solo per avere un'idea, nel 2011 nelle mani del 10% della popolazione più agiata si trovava il 43% del Pil.

Le critiche più accese sono concentrate quasi esclusivamente su Paul Kagame, il signore del Rwanda. Cinquantasei anni, al potere da 20, ha trionfato nelle due ultime elezioni presidenziali (2003 e 2010) con percentuali bulgare, più del 90% dei consensi. E, per quanto la Costituzione lo preveda, non sembra aver intenzione di mettersi da parte quando scadrà il suo secondo mandato, nel 2017, accusano diversi esponenti di alcuni partiti dell'opposizione che sono stati messi fuori gioco. E se parlare di appartenenza etnica è ora proibito – probabilmente per non accendere rancori mai sopiti e promuovere la riconciliazione nazionale – molti hutu ruandesi lamentano discriminazioni ai loro danni.

La maggior parte delle migliori opportunità di lavoro e le migliori posizioni finiscono per andare in mano ai tutsi, che rappresentano il 14 % della popolazione. Il processo di riconciliazione, comunque,ha compiuto passi da gigante. Ma il difficile viene ora. Passare da un governo che ha fatto molto dal punto di vista sociale ed economico a un vero sistema multipartitico. Il Paese delle mille colline ha bisogno anche di questo.



Citazione
Nessun Paese al mondo può vantare un Parlamento con una presenza femminile così alta: le onorevoli sono il 64 per cento.

Cosa c'è da "vantare" ?

@@

Per inciso: in Rwanda la vita media è intorno ai 63,8 anni.
In Italia è di 80,3 anni per gli uomini (la più alta in Europa) e di 84,6 anni per le donne, inferiore solo al dato spagnolo, 86,1 anni, e francese, 85,6 anni.
Ora, siccome l'aspettativa di vita è un indicatore del benessere relativo di un popolo, se le donne italiane fossero così fortemente discriminate, umiliate e trattate continuamente di merda, dovrebbero vivere decisamente meno non solo degli uomini italiani ma anche degli abitanti del Rwanda, sia uomini che donne.

Offline ilmarmocchio

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #4 il: Novembre 02, 2017, 20:35:26 pm »
in pratica il Ruanda è una dittatura mascherata , però, visto che utilizza molte donne , va bene.
la Russia, invece, è cattiva.
certo, il Ruanda è in crescita, ma era possibile decrescere , visto da dove è partito ? :lol:

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #5 il: Novembre 02, 2017, 20:39:18 pm »
in pratica il Ruanda è una dittatura mascherata , però, visto che utilizza molte donne , va bene.
la Russia, invece, è cattiva.


Ovvio...  :cool2:
Due pesi e due misure: come sempre.


Citazione
certo, il Ruanda è in crescita, ma era possibile decrescere , visto da dove è partito ?

Ma infatti è proprio questo il punto che mi fa girare di brutto i maroni, quando questi "esperti" portano come termine di paragone quel cazzo di Rwanda... (o Ruanda)

Offline ilmarmocchio

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #6 il: Novembre 02, 2017, 20:53:31 pm »
a me quello che incazzare è che si pagano un  sacco di tasse per finanziare  i media che ci rifilano queste stupidate, ovviamente a loro interesse

Online Frank

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #7 il: Novembre 02, 2017, 21:21:35 pm »
Per inciso: in Rwanda la vita media è intorno ai 63,8 anni.
In Italia è di 80,3 anni per gli uomini (la più alta in Europa) e di 84,6 anni per le donne, inferiore solo al dato spagnolo, 86,1 anni, e francese, 85,6 anni.
Ora, siccome l'aspettativa di vita è un indicatore del benessere relativo di un popolo, se le donne italiane fossero così fortemente discriminate, umiliate e trattate continuamente di merda, dovrebbero vivere decisamente meno non solo degli uomini italiani ma anche degli abitanti del Rwanda, sia uomini che donne.

Parole di Warren Farrell, tratte da Il Mito del potere maschile.

Citazione
Il potere della vita
"Negli Stati Uniti, nel 1920, le donne vivevano un anno più degli uomini. Attualmente le donne vivono sette anni di più. Il gap nella speranza di vita tra uomini e donne è aumentato del 600 per cento".
Riconosciamo che il fenomeno dei neri che muoiono sei anni prima dei bianchi riflette l'impotenza dei neri nella società americana. Ma il fatto che gli uomini muoiano sette anni prima delle donne raramente viene considerato un riflesso dell'impotenza degli uomini nella società americana.
E biologico quel gap di sette anni? Se così fosse, non sarebbe stato di un anno soltanto nel 1920.
Se fossero gli uomini a vivere sette anni di più, le femministe ci avrebbero aiutato a capire che la speranza di vita è il metro migliore per misurare il potere. E avrebbero perfettamente ragione. Potere è capacità di controllare la propria vita. La morte tende a ridurre il controllo. La speranza di vita è la linea di demarcazione - il rapporto tra gli stress e le gratificazioni.
Se potere significa avere il controllo della propria vita, allora, forse, per valutare l'impatto dei ruoli sessuali e del razzismo sul potere sulle nostre vite non esiste metro migliore che la speranza di vita. Ecco il quadro della situazione:

Speranza di vita alla nascita come indice per stabilire chi ha il potere
Femmine (bianche) 79
Femmine (nere) 74
Maschi (bianchi) 72
Maschi (neri) 65
La femmina bianca vive quasi quattordici anni più del maschio nero. Provate a immaginare quali sarebbero le reazioni se una quarantanovenne dovesse presumibilmente morire prima di un sessantaduenne.

Offline ilmarmocchio

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #8 il: Novembre 02, 2017, 21:38:48 pm »
Citazione
Se fossero gli uomini a vivere sette anni di più, le femministe ci avrebbero aiutato a capire che la speranza di vita è il metro migliore per misurare il potere. E avrebbero perfettamente ragione. Potere è capacità di controllare la propria vita. La morte tende a ridurre il controllo. La speranza di vita è la linea di demarcazione - il rapporto tra gli stress e le gratificazioni.

giustssimo

Alberto1986

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #9 il: Novembre 02, 2017, 22:26:35 pm »
Tanto, oramai, ogni giorno ce n'è una. Femmine italiane = piagnisteo continuo.  :sick: Solo quello solo in grado di fare le moderne femminucce: piagnucolare e rompere i coglioni incessantemente col falso vittimismo.

Online Frank

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #10 il: Novembre 03, 2017, 19:04:12 pm »
Questo è un altro brano tratto dal vecchio libro di Farrell, cioè Il Mito del potere maschile.

Citazione
Potere netto
«L’U.S. Census Bureau rileva che le donne capifamiglia hanno un’entrata netta che è il 141 per cento di quella degli uomini capifamiglia.»
(Il valore delle statistiche sul netto è che ci consentono di valutare che cosa a lui e a lei resta una volta adempiuti i rispettivi obblighi finanziari. Il netto medio delle donne è di 13.885 dollari, quello degli uomini di 9883 dollari. Ciò accade perché, sebbene i capifamiglia maschi abbiano entrate lorde più elevate, hanno anche obblighi economici molto più pesanti. È più probabile che siano loro a mantenere la moglie, o la ex moglie, e non le mogli a mantenere loro, e pertanto con le entrate devono provvedere a sé, alla moglie e ai figli - non solamente al cibo e alla casa, ma anche all’istruzione, le assicurazioni e le vacanze. Il divorzio spesso significa che la donna ottiene la casa, che l’uomo paga, e anche la custodia dei figli, che l’uomo mantiene. L’obbligo per la donna di passare più tempo con i figli fa sì che guadagni meno, mentre l’uomo guadagna di più ma spende anche di più.)
«In quell’1,6 per cento di persone ricchissime che fanno parte della popolazione americana (quelle con disponibilità di 500.000 dollari e oltre), il patrimonio netto delle donne è superiore a quello degli uomini.»

Com’è possibile che tante delle persone più ricche siano donne, se poi le donne non occupano nessun posto chiave nelle società? In parte perché scelgono gli uomini che quei posti occupano, e a loro sopravvivono. E in parte perché possono spendere di più e hanno meno obblighi finanziari…
Il potere di spendere

Uno studio sui grandi centri di vendita (compresi i negozi di abbigliamento maschile e di articoli sportivi) ha rilevato che lo spazio riservato agli articoli femminili è in genere sette volte superiore a quello riservato agli uomini. Entrambi i sessi comprano di più per le donne. La chiave della ricchezza non è quanto si guadagna, ma piuttosto quanto si spende per sé, a propria discrezione - o quanto viene speso per noi, su nostro suggerimento.
Nell’insieme, le donne controllano i consumi con ampio margine e quasi in ogni settore. Con il potere di spendere arrivano altre forme di potere. Il controllo sulla spesa da parte delle donne dà loro il controllo sui programmi televisivi, perché la TV dipende dagli sponsor. Quando a ciò si aggiunge il fatto che le donne guardano di più la TV in tutti i momenti liberi, è chiaro che gli spettacoli non possono permettersi di mordere la mano che li nutre. Le donne sono per la televisione quello che i boss sono per i dipendenti. Il risultato? La metà dei 250 film girati per la televisione nel 1991 mostrava le donne come vittime - sottoposte a «una qualche forma di maltrattamento fisico o psicologico».
Il «gap negli oneri finanziari»
Al ristorante, gli uomini pagano per le donne all’incirca dieci volte più spesso di quanto non tocchi alle donne, e più il ristorante è costoso più di frequente è l’uomo a pagare. Capita spesso che una donna dica: «In fondo, gli uomini guadagnano di più». Ma quando due donne vanno insieme al ristorante, nessuna delle due dà per scontato che sarà quella che guadagna di più a pagare il conto. L’aspettativa che gli uomini spendano di più per le donne crea il «gap negli oneri finanziari».
Ho avuto una prima avvisaglia di questo gap ripensando al mio primo appuntamento. Quando ero un teenager, mi piaceva fare il baby-sitter. (Amavo davvero i bambini, e inoltre era l’unico modo per essere pagato per svuotare il frigorifero!) Ma poi arrivò l’età dei primi appuntamenti. Purtroppo, come baby-sitter mi pagavano solamente 50 cent l’ora. Per tagliare l’erba, invece, si guadagnavano 2 dollari l’ora, ma io detestavo tagliare l’erba. (Vivevo nel New Jersey, dove le cimici, l’umidità e il sole di mezzogiorno rendevano quest’operazione decisamente molto meno gradevole della razzia di un frigorifero.) Ma non appena passai ai primi appuntamenti, cominciai anche a dedicarmi al taglio dell’erba.
Per i ragazzi, tagliare l’erba è una metafora del fatto che dobbiamo imparare presto a fare i lavori che ci piacciono meno solo perché rendono di più. Negli anni del ginnasio, i ragazzi cominciano a reprimere l’interesse per le lingue straniere, per la letteratura, la storia dell’arte, la sociologia e l’antropologia perché sanno che un laureato in storia dell’arte guadagna meno di un ingegnere. In parte a causa della prospettiva di futuri obblighi finanziari (con buone probabilità dovrà mantenere una donna, mentre non può aspettarsi di essere mantenuto da una donna), negli Stati Uniti 1′85 per cento degli studenti che frequentano la facoltà di ingegneria è costituito da maschi; oltre l’80 per cento degli studenti della facoltà di storia dell’arte sono invece femmine.
La differenza di stipendio tra una insegnante di storia dell’arte femmina e un ingegnere maschio sembra una forma di discriminazione, mentre in realtà entrambi i sessi sanno già in anticipo che una laurea in ingegneria rende di più. In effetti, la donna ingegnere che comincia a lavorare senza avere alcuna esperienza, guadagna mediamente 571 dollari all’anno in più della controparte maschile.
In breve, gli impegni finanziari che inducono un uomo a scegliere una carriera che gli piace di meno ma rende di più sono un segno di impotenza e non di potere. Ma quando s’impegna in quel lavoro, spesso le donne danno per scontato che pagherà lui perché «dopo tutto, guadagna di più». Pertanto, le aspettative di entrambi i sessi rafforzano la sua impotenza.


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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #11 il: Novembre 03, 2017, 21:55:29 pm »
E' in atto una recrudescenza del fenomeno male-bashing, che fino a non molto tempo fa sembrava aver segnato un pò il passo.
E' in atto una nuova offensiva, come dimostra anche tutto il bailamme su Holliwood e corollario
Lotta senza quartiere contro le molestie.
Ma ogni donna, in vita sua, ha subito alemno una molestia, tipo un invito a cena o una mano sulla spalla. E' così che da sempre va il mondo, è per questo che ci siamo moltipilicati e per questo esistiamo: perchè i nostri padri, un giorno, hanno "molestato" le nostre madri.

E' in atto una nuova dura propaganda contro il genere maschile. Una vera e propria strategia, ingegneria sociale, molto intelligente, efficacissima, del tutto inattaccabile (perchè non riconosciuta) a livello di massa.
"La realtà risulta spesso più stupefacente della fantasia. A patto di volerla vedere."

Alberto1986

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #12 il: Novembre 03, 2017, 23:19:44 pm »
Si, certamente questo nuovo teatrino creato ad arte dai media sulle "molestie", segna un nuovo livello di propaganda e lavaggio del cervello anti-maschile. Non so come finirà questo occidente sempre più folle, deviato, malato e non più in grado di arginare la pazzia femminista e politicamente corretta, ma una cosa è certa: l'uomo medio occidentale primo o poi dovrà fare i conti con ciò che ha fatto finta di non vedere e con ciò che credeva non lo avrebbe mai riguardato di persona. Ciò che hanno assecondato ed avallato le generazioni di maschietti castrati femministi, verrà pagato dai loro figli, i quali, a loro volta, dovranno saper dare adeguata risposta alle pesantissime colpe dei loro pseudo padri.

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #13 il: Novembre 04, 2017, 08:19:40 am »
Tuttavia, certe ossessioni, infarcite di mistificazioni, riguardano ormai anche i Paesi non occidentali.

http://www.eastjournal.net/archives/80014

Citazione
Differenziale salariale di genere, la situazione in Europa orientale
Gian Marco Moisé 23 gennaio 2017   


Fonte: UN campaign

Secondo le stime di Eurostat che si rifanno ai dati del 2013, e alla più recente indagine di Expert Market che si basa sui dati dell’Unione Europea del 2015, le donne europee sono pagate meno delle loro controparti maschili. Se la notizia in sé non è una novità, conoscere l’entità della differenza tra paghe maschili e femminili nei vari paesi europei è rilevante.

La situazione nei paesi europei

Qual è il giorno dell’anno in cui le donne europee possono smettere di lavorare? Nella classifica tra i paesi europei con la maggiore differenza tra la retribuzione femminile e maschile il paese a risultare più virtuoso è la Slovenia, dove il gap è pari al 3,2%. Questo significa che a differenza degli uomini, le donne slovene durante l’anno smettono di essere retribuite il 18 dicembre. Anche il paese europeo più virtuoso risulta essere sostanzialmente discriminatorio nei confronti della propria popolazione femminile, per la quale la paga oraria è talmente inferiore a quella maschile da rendere irrilevanti 15 giorni di lavoro durante l’anno.

La situazione diventa peggiore scorrendo la classifica. La Polonia, paese in cui le donne occupano gran parte delle posizioni manageriali, il gap è al 6,4%. L’Italia si colloca sorprendentemente in alto, con un 7,3% di differenza che significa che le donne italiane lavorano a titolo gratuito nel mese di dicembre. Molti paesi est europei si collocano davanti a quelli occidentali, tra questi la Croazia, subito dietro l’Italia, la Romania all’ottavo posto, la Serbia, la Moldavia e la Bulgaria. Quasi metà dei paesi ha un gap che si aggira intorno al 15%, cioè in questi paesi le donne, rispetto agli uomini, smettono di essere pagate negli ultimi due mesi dell’anno.

Tra i peggiori troviamo la Gran Bretagna con il 19,7%, la Germania con il 21,6% e l’Austria con il 23%. L’est Europa apre e chiude la classifica. Infatti la Slovacchia si colloca poco prima della Germania con un gap del 19,6%, e la Repubblica Ceca poco prima dell’Austria con il 21,6%.

Il peggior paese dell’Unione Europea è l’Estonia, con un gap del 29,9%. Alle ultime posizioni troviamo Georgia, Ucraina e Bosnia ed Erzegovina. Quest’ultima colpisce in modo particolare con una differenza del 46%. Ciò significa che a parità di condizioni le donne bosniache lavorano per la metà della paga degli uomini.

Le ragioni

Secondo Luboš Sirota, CEO e presidente dell’agenzia di consulenza in risorse umane McROY, la differenza di paghe si deve a stereotipi di genere consolidati storicamente. Tutto ciò avviene nonostante le donne siano più istruite degli uomini. Infatti, secondo uno studio di Sberbank Slovacchia il 36% delle donne tra i 25 e i 34 anni ha conseguito un titolo universitario contro il 24% degli uomini.

Per Ladislava Molnárová, senior manager all’Amrop, la differenza si deve anche alla mancanza di flessibilità dovuta al periodo di maternità. Spesso le donne accettano paghe ridotte per poter avere orari più flessibili. Come confermato da Anna Klimáčková, membro del board esecutivo della Piattaforma Donne Slovacchia, il gap più grande si ha nella fascia di età tra i 35 e i 39 anni: “il che denota gli sforzi delle giovani madri ad accettare qualsiasi lavoro pur di avere un reddito.” A differenza della Polonia, dove le madri hanno diritto alla totalità del loro stipendio durante le prime 24 settimane di maternità, in Slovacchia nello stesso periodo lo stipendio viene ridotto al 60%.

La questione di genere è da tempo sull’agenda dell’Unione Europea. Nel 2010, a Bruxelles, è stata approvata la Carta delle Donne, che propone soluzioni e descrive le misure necessarie a garantire l’uguaglianza di genere nelle politiche sociali. Ciononostante i paesi membri sembrano incapaci di metterla in atto. Non valorizziamo più di metà dell’intera popolazione, inconsapevoli del ruolo fondamentale che le donne hanno nelle nostre società.

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Re:Gender Gap 2017
« Risposta #14 il: Novembre 04, 2017, 08:25:50 am »
https://spectator.sme.sk/c/20057380/gender-pay-gap-remains-a-problem.html

Citazione
Gender pay gap remains a problem

SLOVAK women earn 20 percent less than men on average, a statistic that is worse than the European Union average, and part of a global trend that Pope Francis recently called a “pure scandal”.


“The difference in pay between men and women is closely linked to the gender segregation on the labour market and participation of women in public and business life,” Anna Klimáčková, member of the executive board of Women Platform Slovakia, told the Slovak Spectator. “It is a long-term problem that affects all of Europe.”

Based on Eurostat data from 2013, women in Slovakia earn 19.8 percent less than men. It is more than the European average of 16.4 percent, but less than in Estonia, which has the EU’s biggest gap — 29.9 percent. Among neighbouring countries, Austria and Czech Republic are worse than Slovakia with 23 percent and 22.1 percent, respectively. Hungarian women earn 18.4 percent less. The greatest equality was reported in Slovenia (3.2 percent), Malta (5.1 percent) and Poland (6.4 percent).

Slovakia is still lagging behind in gender equality, mainly in comparison to western Europe. Luboš Sirota, CEO and board chairman of HR consultancy McROY, attributes it to traditional gender stereotypes, reinforced during the previous regime.

“Women have been associated with the role of child carers and this outlook persisted during socialism,” Sirota told The Slovak Spectator. “The state required full employment but accepted the position of women as in the household, which strengthened the gender roles.”
Historical stereotypes

Historical gender stereotypes associated men with the dominant position, which was also reflected in earning potential. The Gender Pay Gap (GPG) represents the difference in the average hourly wage of men and women, expressed as percentage.

“Since long ago, women in Slovakia have been earning less than men, regardless of overall comparison or even with identical positions,” said Sirota.

According to Sirota, cultural stereotypes can later affect the choice of secondary education and determine the person’s professional development.

“Although some jobs are based on the physical predispositions of the men; these stereotypes should not cause that we consider each driver or builder to be a man,” said Sirota.

Nevertheless, it is a common practice that females prefer business colleges whereas males go for technical colleges. The situation is similar with universities. Results of a survey by the Slovak arm of Sberbank indicate that women are more educated but earn less. Amongst the young generation between 25 and 34 years, survey reported that 36 percent of women had a university education but only 24 percent of men.

Ladislava Molnárová, senior manager at Amrop consulting firm, also attributes the gap to the gender stereotypes, together with social development and career path interrupted by maternity leave.

“Women work in sectors with lower average pay, for example education, health care, services, travel industry and retail,” Molnárová said. Because of maternity duties, they prefer flexible hours and shorter working times to pay conditions.”

“The highest pay differences, 31.5 percent, were reported in the 35-39 age category, which points to the efforts of young mothers to take up any work in order to have an income,” Klimáčková confirmed.

When compared with neighbouring countries, the situation in Poland is better because Slovak industry is dominated by the automobile industry which is not the first choice for women. Moreover, with a population of nearly 40 million, the job market offers more variety. Women enjoy better wage conditions, keeping 100 percent of their pay during the first 24 weeks of maternity leave, compared to 60 percent in Slovakia, with a cap also set by law.

“Apart from that, Poland belongs amongst the top countries with women in managerial positions,” Klimáčková pointed out.

“There is still a low number of women entrepreneurs,” said Ivana Vačoková from the personal agency Adecco. “The traditional perception that a woman is a mother comes first, the role of an employee comes just second.”

The situation is better in international companies and the non-manufacturing sector, but still there is room for improvement.

“Many times, women aren’t hired because the employer is afraid that they will leave for maternity leave,” said Vačoková. “This, together with the problematic return from maternity leave, results in higher unemployment rates among women. Maternity leave can slow down women’s progress towards the top management. On the other hand, women who prefer work are often perceived as careerists and viewed negatively.”
What is being done

The gender pay gap has been on the agenda of the EU for a long time. Five years ago, in 2010, Brussels came up with the Women’s Charter that proposes solutions and describes the measures supporting gender equality in social politics.

On April 11, the German daily Die Welt wrote that the current economic order and open market helps push equality. It forces women to enter the labour market in order to help the family to meet the basic needs. As evidence they list the Scandinavian countries with the highest tax expenses that usually have the highest rate of employment amongst women.

Although there have been efforts to improve the situation in Slovakia, none of the initiatives have developed into a systematic policy. Significant changes have been made only since 2013, under pressure from the EU. Two controls found 44 cases of payment discrimination of women, which encouraged more women to actively engage in their rights.

“In 2014, government passed the gender equality strategy which includes the measures towards solving the most serious problems,” Klimáčková said. “Slovakia is amongst the signatories of the Convention to Eliminate All Forms of Discrimination Against Women and optional protocol from 1999, which binds us towards meeting the international agreements.”

The Women’s Platform also supports the creation of commissioner for gender equality who actively mediates gender mainstreaming.

“The role would be to communicate with government, parliament, private and non-profit sectors,” Klimáčková specified.

The government has promised to invest in pre-school facilities and motivate employers to take on mothers with small children. Improving the system of education would help the problem. The parents must postpone their return to work due to low capacity of kindergartens and inconvenient opening times.

“They aren’t customized to the new trends on the labour market when the parents leave work between 17:00-18:00,” said Vačoková.

A larger number of part-time or flexible contracts would also help women to get back to work after maternity leave.

“Return to work after maternity leave was amended by the labour code,” confirmed Molnárová from Amrop. “It guarantees a woman not only the original working conditions negotiated before the maternity leave but also further improvements she is entitled to.

Regardless of the legislation, jobs are created by companies, not government. Therefore the gender equality must be solved elsewhere.

“The measures are restricted only to supporting pro-gender measures at the employers and better coordination of professional and private lives,” said Sirota. “But it isn’t enough.”
Future

The Labour, Social Affairs and Family Ministry’s gender equality department has already launched a project called Family and Work that is part of the long term objective of the EU operational programme Employment and Social Inclusion. It targets the women and small children, who are the most underprivileged groups on the labour market. In particular, it tries to provide flexible employment for the women who are at home with small children.

“The situation has improved; many companies experienced larger numbers of women at the top positions, as well as proportional remuneration of the employees of the same level,” said Vačoková.

She attributes it to the foreign companies that inspired also the Slovak ones. Ten years ago, women held only about 10 percent of the positions in the top management, nowadays it is around 25 percent, confirmed Sirota.

“Women are doing well in spheres such as marketing, human resources, customer care and retail. Companies value the higher degree of empathy and often also high level of creativity,” said Sirota.

25. May 2015 at 5:30  | Erik Rédli